L’orto

Erano tanti anni che non tornavo al mio paese. Trentuno per l’esattezza. E probabilmente non ci sarei nemmeno tornato più se non fosse stato per quella telefonata. Qualcuno voleva comprare il mio terreno a sud di Cosbee. Quel qualcuno aveva detto per telefono di chiamarsi Jacky Naf, un grosso imprenditore della regione, così almeno mi disse lui e mi confermò internet. Ha detto che conosceva bene mio padre e che si ricordava di me quando, ancora ragazzino, partii per il Canada con mio zio George ad aprire la mia prima segheria. Voleva insomma comprare quei miei trenta ettari di terreno incolti. La città si era espansa verso Mougham Creek, mi diceva al telefono Jacky Naf con il forte accento di lì; avevano reso legale il gioco d’azzardo e questo aveva attirato in città un mucchio di gente nuova: c’era necessità di costruire grandi case e grandi casinò e Jacky Naf mi avrebbe pagato molto bene e tutto sommato valeva la pena starlo a sentire.
Sceso dal treno, mi sono accorto di avere davanti un luogo che non avrei mai riconosciuto se non avessi letto il nome sull’insegna della stazione. Le case rustiche in legno e i fienili costruiti alla bell’e meglio avevano lasciato il posto a ville e hotel; le strade erano oramai ampie, asfaltate e la gente andava di fretta come in tutti i posti importanti.
Mi sono allora messo a gironzolare per un po’, incuriosito, perché era presto per incontrare Naf e il suo ufficio dopotutto non era poi così tanto lontano. Presi alcune vie traverse per perdermi nella mia infanzia; riconoscevo a stento il mio vecchio paese tra strade, piazze mai viste e vetrine moderne, piene di luce e di merce.
Mi diressi verso il fiume. Le case diradavano pian piano tra il verde ordinato e ben tenuto. Mi imbattei nella Chiesa evangelica di Saint Thomas con le sue pietre scure e severe; mi ricordai della prima volta in cui vi entrai con il vestito buono della festa.
«Buongiorno» sentii dire alla mia sinistra. Era un vecchio contadino, in salopette di jeans e la zappa in mano. Si era tolto il cappello come per vedermi meglio. «Cerca qualcuno?» chiese con il forte accento di lì.
«No, nessuno di preciso… stavo solo ammirando la chiesa.»
«Ora non è più una chiesa… lei sta guardando la mia casa.»
«Casa sua?»
«Già, da quasi vent’anni…» Poi il contadino ricalcandosi il cappello in testa mi guardò meglio. «Ma tu sei il piccolo John?»
«Beh mi chiamo in effetti così» ho fatto io avvicinandomi.
«Ma perbacco, io sono Mathias, Mathias Appleworth» disse come se a quel punto dovessi ricordarmi di lui. «Conoscevo benissimo tuo padre. Gli assomigli tantissimo. Soprattutto per gli occhi. Andavamo spesso a pesca di trote insieme, laggiù nel Mougham Creek. E quando è morto mi è dispiaciuto davvero tanto» fece un sorriso di circostanza che mise in evidenza denti giallo paglierino.
«Ha un orto bellissimo» feci sincero io, anche per tagliar corto. L’appezzamento vasto di terreno era diviso in numerose aiuole tutte delimitate da pietre posizionate con cura. Ogni aiuola aveva una coltivazione diversa: fagiolini, carote, cavoli, melanzane, patate, zucchine per citarne solo alcune. Tutto era pulito e rigoglioso.
«Ti piace davvero?» chiese Mathias accendendosi di entusiasmo.
«Sì, certamente, mi diletto anch’io un po’, ma vedo che lei è un maestro…»
«Non startene lì, vieni vieni dentro… che ti mostro il resto.»
E così Mathias mi fece vedere gli alberi da frutto, l’area delle piante di tabacco, la serra con le primizie…
«Meraviglioso» dissi stupefatto di quella geometria di colori e piante. «Semplicemente meraviglioso. Certo che le deve portar via un mucchio di tempo!»
«È passione, credimi, solo autentica passione. E ciò che non mangio lo vendo al mercato rionale al lunedì e ci campo…»
«Davvero complimenti» gli feci eco annuendo.
«E non hai ancora assaggiato niente… prendi» mi disse staccando un pomodoro maturo dalla pianta. «È una coltivazione biologica. Ciò che vedi qui non conosce insetticida.»
Raccolsi dalle sue mani il pomodoro rosso e rigonfio di nettare. Lo assaggiai. Era dolce, profumato, gustosissimo. Non avevo mai assaporato nulla di simile.
«E allora, che mi dici?»
Avevo la bocca piena di succo ma feci un gesto della mano eloquente. Il paradiso in bocca. Poi qualcosa mi si mise tra i denti scricchiolando. Lo afferrai con le dita osservandolo subito dopo alla luce del sole. Sembrava un nocciolo, anche se non avrebbe potuto esserlo trattandosi di un pomodoro. Era grigio e la forma oblunga…
«Ah, quello?» mi anticipò Mathias indicando l’oggetto misterioso che avevo tra le dita «vedi qui una volta c’era il cimitero annesso alla chiesa. È per questo che la terra è così grassa e ricca di humus. Quando ho fatto l’orto ho pulito ben bene l’area, setacciandola zolla per zolla, ma qualche osso, soprattutto quando piccolino, è rimasto qua e là e ogni tanto viene inglobato nei frutti. Insomma basta non farci caso e, all’occorrenza, sputare…»
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27 pensieri su “L’orto

  1. Bello, ma l’osso “inglobato” non mi sembra possibile.Mi chiedo quanti orti di questo tipo ci sono… dopotutto, qualcuno ha sicuramente lavorato la terra abbandonata di un campo di battaglia o di una palude bonificata (con tanto di resti animali e non solo… )

  2. Ho pensato che il pomodoro con l’osso incorporato potrebbe essere un buon investimento…dove sta quest’orticello? …Facciamo una permuta?

  3. Ciao Briciola che dolce atmosfera hai creato creato in questo racconto..leggendo vivevo lo stupore negli occhi del protagonista che torna dopo anni al paese natale. Non mi aspettavo alla fine di farmi una risata però! Piacevolissimo, a rileggerti presto. Complimenti! Sono anni che ti leggo e sai sempre sorprendermi

  4. Ahah, scusa se rido, ma nella verdura non e’ possibile che venga inglobato cio’ che sta nel terreno! 🙂

    Io suggerirei una cosa piu’ verosimile: …mentre staccava il pomodoro dalla pianta per porgermelo, notai una strana sequenza di pietre bianche che affioravano dal terreno. “Ma che strane pietre bianche sotto la pianta! – dissi io, abbassandomi ad afferrare il pomodoro che era enorme, rosso, gonfio e succoso. “Ah, niente, non farci caso.” – disse Mathias, che si affretto’ a dare un calcio alle pietre per nasconderle nel terreno. Ma nel fare cosi’ invece di nasconderle le mise maggiormente in evidenza e cosi’ vennero alla luce le ossa di un’intera mano umana. ….

    Beh, dopo si puo’ procedere in qualsiasi direzione, gli elementi per incuriosire sono gia’ tutti piazzati. 🙂

    • Ottimo finale alternativo, complimenti.

      ^_-_^

      In effetti, e Briciolanellatte non ce ne voglia, il racconto è bello e ben scritto, però il pomodoro per sua natura nasce nel sole, e non è credibile che inglobi un osso dal terreno. Al limite una carota o una rapa potrebbero crescere all’interno di un anello d’oro… ma questa è un’altra storia.

  5. un osso da morto nel pomodoro???? veramente la fantasia dello scrittore non ha limiti, escamotage sufficiente per creare un minimo di attesa e alla fine anche qualche risata. Simpatico e coinvolgente racconto!

  6. complimenti, sempre un piacere leggerti…
    … ormai sei l’appuntamento fisso della domenica mattina 😊

  7. Nel film “Una cena quasi perfetta”, con Cameron Diaz, un gruppo di amici si ‘fa prendere la mano’ cominciando a invitare a cena rappresentanti di varie categorie umane e finendo puntualmente per accoppare e seppellirle nell’orto dei pomodori che, guarda caso, comincia a offrire raccolti ottimi e abbondanti… 😀

  8. BEL PEZZO…finalmente una visione tranquilla e naturale…peccato per quei picchi di horror che non puoi fare a meno di far spuntare di qua e di là (gli ossetti intendo!)…sembra che ci prenda gusto ad incutere terrore nel lettore…ahahahah…comunque non ho capito perché i gatti del paese non hanno ripulito l’area…ahahahah

  9. Forse Array vuol dire ( in riferimento a : ma qualche ossa, soprattutto quando piccolina) che al plurale è ossa e sl singolare dovrebbe essere osso? Buona giornata, a domenica prossima!

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