Kaplan

Kaplan aveva telefonato nel tardo pomeriggio; si era capito molto poco di quello che aveva detto sia perché aveva farfugliato a bassa voce e sia perché a Trigger Point la trasmittente prendeva pochissimo e solo a tratti. Ma John Kaplan non era tipo da chiedere aiuto inutilmente e a quel modo poi; Maggie Stark e Thorvald Olsen lo sapevano bene, tanto che, nonostante stesse iniziando a fare buio, si erano preparati a partire.
In caserma, Olsen lasciò di guardia il giovane Jeremiah Spencer che a quell’ora, anche volendo, non avrebbe potuto far eccessivi danni; preparò con cura la motoslitta aggiungendo una tanica di gasolio, un paio di fucili in soprannumero e una scorta di viveri. Non poteva sapere cosa avrebbe potuto trovare lassù. Anche perché ci sarebbe voluta un’ora buona con il mezzo per arrivare alla baita intermedia e poi da lì a piedi in direzione nord-est per il capanno di Kaplan. Peraltro era anche iniziato a venir giù acqua gelata e in vista di Pine Cross si era ormai trasformata in neve.
Mentre guidava sulla pista ghiacciata, Olsen pensò che non era mai riuscito a farsi spiegare da Kaplan perché un uomo ricco e di successo come lui, una rockstar internazionale acclamata e osannata dal pubblico, si fosse all’improvviso ritirato dal bel mondo per vivere in cima a una montagna; e lontano, non solo da qualunque comfort, ma anche da qualsiasi contatto umano. Ma erano trascorsi oramai una decina d’anni da allora e forse, dopo tutto, non valeva nemmeno più la pena saperlo.
Erano le 11 di sera quando Stark e Olsen arrivarono al capanno. Sembrava tutto tranquillo.
«La porta è aperta» se ne uscì d’un tratto Olsen illuminando l’ingresso con la torcia.
«Non è affatto un buon segno» gli fece eco la donna dietro di lui. «Con questo freddo!»
L’uomo si trattenne sull’uscio e vi diresse il fascio di luce. C’erano strisciate di sangue fresco che dall’interno della casa puntavano verso il bosco. Caricò il fucile e, fatto segno a Maggie di fare attenzione, entrò lentamente.
Il capanno era formato da una sola stanza immersa nel buio: il lume sulla tavola era spento e il fuoco nel caminetto stava languendo. Non c’era nessuno. Apparentemente non c’era neppure alcun segno di lotta. Olsen si inoltrò nella stanza e vicino al divano vi notò posato il fucile di Kaplan e quel che restava della sua mano destra; c’era tanto sangue dappertutto, sull’assito. La sergente, quando vide la scena, si girò di scatto portandosi la mano alla bocca.
«Se vuoi puoi uscire, Maggie, non fare complimenti, posso fare da solo.»
«No no, sto bene… grazie Capo» disse lei senza esserne convinta.
Olsen controllò attentamente tutta la stanza e poi, con il fascio di luce proiettato su Maggie, rimasta in disparte, le disse:
«Due lupi, massimo tre. Lo hanno aggredito proprio lì, vicino al divano, entrati però da non so dove, non credo dalla porta. Anche se se lo aspettava, Kaplan è stato preso alla sprovvista. Con la sua arma ha sparato un solo colpo e il proiettile si è conficcato su quel trave laggiù. Poi i lupi hanno avuto la meglio e se lo sono trascinato via nella foresta, forse per nutrire il resto del branco» concluse girandosi e indicando la porta aperta.
«Con questo gelo, spinti dalla fame, hanno pensato bene di fargli visita» fu d’accordo lei, scuotendo la testa.
«Tu rimani qui, Maggie. Io vado a vedere se riesco a riportare indietro il corpo. Non possiamo lasciarlo a loro…»
«No, non possiamo» disse Maggie assentendo nel buio come un automa.
Subito dopo Olsen spalancò la porta d’ingresso e un fascio di luce lunare fece brillare lo sguardo della donna diventata pallida. Aveva smesso di nevicare ed era tutto un bagliore.
«Non ci dovrei mettere molto» fece l’uomo allungando un primo passo sulla neve fresca; e sotto gli occhi di Maggie, che nel frattempo si stava chiedendo fino a quando sarebbe dovuta restare lì al buio da sola, Olsen sparì nella foresta.
Le macchie di sangue erano state coperte dalla neve ma nel sottobosco vi erano comunque i segni del passaggio del branco. Il povero Kaplan non doveva essere morto subito, rifletté Olsen camminando con circospezione: era stato probabilmente divorato vivo.
Camminò una buona mezz’ora, prima in direzione della cima del Trigger Point e poi leggermente verso valle. Superato un ruscello, forse il Wichita Creek, all’improvviso, in una radura circondata da eriche rosa, vide il corpo straziato di Kaplan. Da lontano sembrava solo un mucchio di stracci gettato via come fosse spazzatura poi, avvicinandosi, si accorse che, ad occhio e croce ne era rimasto solo una buona metà; la testa era quasi staccata dal collo, mancava un braccio e gli arti inferiori finivano malamente alle ginocchia. Si guardò in giro: di lupi nessuna traccia.
In quel preciso istante sentì il gelo di una lama di coltello sotto la gola. Il taglio era affilato e lo stava lacerando sotto alla barba. Un uomo, molto più grosso di lui, lo teneva fermo con un solo braccio. Poteva sentire il suo alito sul collo che sapeva di selvatico, di muschio e di sangue rappreso.
«No, non erano stati i lupi» fece appena in tempo a pensare Olsen. E poi fu tutto buio.
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dietro il racconto
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12 pensieri su “Kaplan

  1. Ottimo, io avrei scommesso sul branco di lupi affamati o, al massimo, su un licantropo. Ma no, l’essere umano è peggio delle bestie selvagge: il serial-killer uccide per piacere e attira le sue vittime nei luoghi più impensabili…geniale. Questo tipo di racconto mi ricorda la narrativa di Serge Brussolo (autore francese conosciuto in Italia con la serie “Peggy Sue e gli Invisibili”), una vecchissima serie Marvel con delle storie strane, senza supereroi, ma anche la serie “The Twilight Zone” (quella bellissima in bianco e nero). Complimenti Briciola e grazie per i tuoi recenti like sul mio blog!

  2. M.a.g.i.s.t.r.a.l.e. Solo mi stupisce che Olsen possa credere che i responsabili siano dei lupi, visto che per loro sarebbe un comportamento del tutto inusuale. A parte questo però, hai dato un tale spessore al racconto che al termine si rimane persino delusi perché è finito troppo presto. Così non stupirti se in una notte di Luna piena, in cui sono solito trasformarmi in loup garou, sfogherò la mia delusione venendo a ululare sotto la tua finestra.

    ^_-_^

  3. Poveri lupiii…accusati ingiustamente… si sa che i lupi moderni vanno alla macelleria…tutto questo scempio potevano farlo solo gli umani di oggi…perla di sagacia…CIAO

  4. Ecco lo sapevo… era meglio se restava al capanno… anzi no, era meglio non andarci proprio… e Maggie?
    Complimenti per il racconto e per il “dietro al racconto” è stato interessante leggere come è nato 🤗
    Buona domenica 😘

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