Vola Gigia, vola!

La gazza emise un stridìo acuto.
George alzò la testa, come se stesse annusando l’aria. Inclinò leggermente la testa da un lato e si voltò in direzione dell’uccello chiuso nella gabbia.
«Che c’è Gigia, eh? Che c’è?»
Mentre faceva questa domanda George sorrideva e, spingendo a colpi decisi la sedia a rotelle verso la parete opposta, si portò accanto alla gabbia.
«Lo so io che cosa significa quando diventi così smaniosa… vuoi uscire per un po’ eh?… lo capisco, accidenti se lo capisco…» fece lui scuotendo la testa e pensando a se stesso. La gazza aveva infilato il lungo becco attraverso le sbarre come per toccare l’uomo. Poi si mise saltellare sul fondo della gabbia rimestando la lettiera e facendo suoni più brevi e gravi.
«Ma sì, la mia brava Gigia… è giusto, hai bisogno anche tu di distrarti… altro che stare sempre qui ad ammuffire con un vecchio cieco.»
George rovistò con il gancio che teneva chiuso lo sportello e lo aprì. La gazza saltò sul bordo di metallo della gabbia e si guardò attorno assaporando quel momento; quindi spiccò il volo nella stanza.
George nel frattempo aveva guadagnato la finestra spalancandola e subito entrò l’alito gelido della sera, carico di profumi per la pioggia del pomeriggio. L’uomo si sorprese per tutte le immagini mentali che la memoria gli richiamò. Ne rimase quasi stordito.
Nel frattempo la gazza, dopo aver fatto un paio di voli di ricognizione, infilò decisa lo specchio aperto della finestra e si ritrovò nel cielo libero.
«Vola Gigia, vola…» le disse dietro l’uomo invidiandola «ma non fare tardi come il tuo solito…»
La gazza prese il vento che spirava da nord-est e in un momento le si gonfiarono le piume delle ali. No, non poteva sbagliare. Quel rumore che ben conosceva lo aveva sentito per tutto il pomeriggio: avevano lavorato sodo per alcune ore laggiù nel camposanto. Avevano scavato nonostante la pioggerellina insistente. Ma ciò che davvero era adesso inconfondibile era l’odore di morte fresca. Un odore inebriante, stordente perché era quello di un corpo che si stava disfacendo ad ogni ora, ad ogni minuto tanto più che, come si usava in quel paese e in quel cimitero, il cadavere veniva seppellito in piena terra. ‘Finalmente’ sembrò pensare la gazza planando impaziente verso i margini del borgo: era trascorsa un’intera settimana dall’ultima inumazione, e tanta attesa ora era premiata.
In pochi minuti arrivò a Clutthamborough; fece ala dietro al campanile di pietra nera, oltrepassò il muro di cinta, sorvolò le tombe sbilenche della parte vecchia e subito gli apparve il cumulo fresco di terra vicino alle querce imponenti. Zampettò sulla massa scura di terriccio ancora umido per capire meglio come era stata direzionata la salma ma poi non ebbe più dubbi. Raspò con forza in un punto preciso facendo scivolare di lato la terra; sarebbe stato un lavoro lungo e non facile, ma non aveva fretta e poi George l’avrebbe aspettata fino a quando non avesse fatto rientro.
Dopo una buona mezz’ora finalmente eccolo. Il viso della morta gli apparve all’improvviso dalla terra brunita, come se le venisse incontro dagli abissi del nulla. Bastarono pochi rapidi colpi del possente becco e l’occhio di sinistra saltò via dall’orbita. Con un movimento rapido lo afferrò con sicurezza e, mentre l’occhio ceruleo e spalancato nella campagna scura della sera si volgeva di qua e di là atterrito, Gigia lo ingurgitò con un colpo secco all’indietro del collo. Il sapore era quello, se lo ricordava bene, ma questa volta era più sapido e profumato per il fatto di appartenere al cadavere di una donna giovane. La gazza ebbe un fremito di godimento: era tanto che non gustava un boccone simile. E subito si mise all’opera per cavare l’altro occhio. Anche qui la sua maestria la trasse subito d’impaccio; sapeva che il bulbo era molto morbido e delicato sicché dovette far piano desiderando mantenerlo integro nella sua consistenza: sarebbe stato più buono ingurgitarlo tutto assieme. Ma quando lo ebbe saldo nel becco avvertì un rumore. Si accucciò all’interno della buca che aveva creato scavando. Dalla sua destra vide arrivare lentamente un uomo con una vanga sulla spalla. Non avrebbe dovuto esserci nessuno a quell’ora: eppure quell’uomo veniva proprio nella sua direzione. Per un po’ la gazza rimase ferma ma poi fu più forte di lei e spiccò il volo con il bulbo sradicato ben stretto nel becco. Fece alcuni giri attorno al cimitero in attesa che la situazione si calmasse. L’uomo per fortuna non l’aveva vista, ma si era messo ad armeggiare in un ripostiglio e non sembrava intenzionato ad allontanarsi. L’uccello decise di tornarsene a casa.
«Ehi Gigia, com’è andata? Hai fatto il tuo voletto?» gli disse George appena la sentì arrivare. L’uccello rimase sulla soglia della finestra indecisa sul da farsi.
«Come mai così silenziosa?» fece il vecchio che la accarezzò. «E qui cos’hai?» George prese tra la dita l’occhio levandolo delicatamente dal becco della gazza preoccupata. «Uhmm…» fece dubbioso l’uomo «… un pomodorino… e dove l’hai trovato un pomodorino di questa stagione?»
Gigia gracchiò sommessamente.
«Magari brillava alla luce della luna piena e te lo sei portato via. Sei proprio una ladra! È per questo che quando torni dai tuoi giretti non hai mai fame, eh?. Sembra proprio appetitoso, mi verrebbe voglia di rubartelo a mia volta e di mangiarmelo, ho ancora giusto un languorino…» le disse George con tono di finto rimprovero posando l’occhio sul davanzale. «E adesso fila dentro, su, basta per questa sera… che poi mi diventi grassa. Lasciati qualcosa anche per domani…»
E la gazza, ripreso nel becco il bulbo, se ne volò dritto e in silenzio nella sua gabbia.
[space]

dietro il racconto
Leggi –> Dietro al racconto

26 pensieri su “Vola Gigia, vola!

  1. sì, uno dei pregi dei tuoi racconti è che si possono leggere…al volo, come dice univers81. E se l’uomo con la vanga fosse un serial killer che, frettolosamente decide di seppellire la povera vittima di turno nel piccolo e abbandonato cimitero di campagna? Fortunata la gazza che approfitta di un attimo di tregua dell’assassino per uno snack serale…

  2. Ciao Briciola!
    Hai fatto centro ricordando alla gente che le gazze ladre si nutrono anche di cadaveri (come i loro cugini cornacchie e corvi).
    Un racconto bello che narra una vicenda che alcuni qualificherebbero “horror” o “splatter”, ma non è così: è la vita quotidiana di un animale selvatico che va alla ricerca di cibo.
    Mi è piaciuto la spontaneità e la naturalezza con le quali hai scritto questo racconto: niente ambientazioni “cupe” o “gotiche”, ma luoghi che fanno parte della vita ordinaria, un animale che conosciamo bene che bada alle sue faccende ordinarie.
    Penso che la morale di questa storia sia che la morte, l’orrore e tutto quel che consideriamo “buio” (il cimitero) e “orribile” (la gazza che si nutre dell’occhio di un cadavere di donna, penso come allegoria della vita) sono parte del nostro mondo. Ma attenzione, non giustifico le azioni criminali, ma solo la presenza della morte nella vita.

  3. Accipicchia…andiamo sul truculento…ahaha…la gazza dovrebbe mirare alle cose che luccicano…mi giunge davvero insolita che miri all’occhio… Cmq avevo un gran male alla tempia sinistra… forse una gazza mi aveva colpito nel sonno?Meno male che è rientrata…adesso sto più tranquilla… Ahaha

  4. Racconto interessante, che forse avresti veramente dovuto presentare a un concorso letterario. Solo permettimi di dirti che mi lascia perplesso il fatto che in quel cimitero i cadaveri vengano sepolti in modo così approssimativo. E a questo proposito, sbaglio o anche tu ritieni che questa sia una pecca?

    • In verità avevo immaginato i fatti come ambientati nell’Ottocento quando a queste cose, nella campagna inglese, forse ci badavano un po’ meno. Probabilmente avrei dovuto renderlo esplicito nel racconto, ma non è mai semplice introdurre queste genere di informazioni nel ritmo del narrato.

      • Volendo si potrebbero mettere i corpi nelle bare, e lasciare che ad aprirle sia l’uomo con la vanga, e a questo punto ci sarebbero diverse opzioni che ne spiegherebbero il comportamento. Per esempio lo scavatore, che magari è il guardiano del cimitero, può essere impazzito o sonnambulo, e potrebbe essere diventato succube del maligno corvo che lo obbliga a nutrirlo.
        Però in effetti la storia si allungherebbe, e visto che va bene anche così…

        ^_-_^

        … grazie e alla prossima.

        • L’idea che il necroforo con la vanga scavi per la gazza perché succube della stessa è intrigante.
          E’ che si scivola nel fantasy e diventa un po’ difficile gestire la verosimiglianza della narrazione. L’equilibrio si fa più delicato.
          E poi, sicuramente, diventerebbe un racconto ben più lungo di 5.000 caratteri perché costituirebbe un tema da chiarire e sviluppare. Ma potrebbe valerne la pena. Bella idea davvero.

          • Temo che il ruolo dello scavatore dovrebbe essere chiarito molto brevemente, altrimenti il racconto si amplia troppo. Vabbè, diciamo che l’uomo aveva appena finito di riempire la fossa, ma sentendo l’uccello fischiare cade in trance, e senza rendersene conto la riapre. Poi ci sarebbe da informarsi sulla reale consistenza dei bulbi oculari, perché credo siano fin troppo duri perché un uccello possa inghiottirne uno intero. Infine la gazza porta l’occhio restante a casa, e il padrone apparentemente ignaro di cosa sia lo sequestra, ma colpo di scena, il mattino dopo ci vede da un occhio, e ordina al corvo di portargliene un altro dello stesso colore.

            P.S. Lascia le cose come stanno, altrimenti finirai per scrivere un mattone di tremila pagine.

            ^_-_^

  5. Ricomplimenti, dopo aver letto dietro, non solo per la scelta (nel senso per il tuo coraggio e il tuo modo di essere così deciso), ma soprattutto per la tua capacità di saltare da un genere all’altro! Inchino⭐🙏

  6. È buono che un concorso abbia stimolato l’idea di questo racconto e ti abbia portato su terreni da te meno calpestati. Spero che sui tuoi 2000m di montagna non arrivino mai gazze ladre, non si sa mai … Come sempre un
    Piacevole appuntamento domenicale

Lasciami un tuo pensiero