Il ritorno a casa

Era stata una giornata molto impegnativa. Quella cena con Etan era il coronamento di mesi di duro lavoro. La campagna pubblicitaria era piaciuta al Cliente che si era convinto a firmare per altri quattro anni di partnership. Si trattava di un grosso Cliente e di una campagna da migliaia e migliaia di dollari. La promozione era davvero vicina anche grazie proprio a Etan, il giovane acquisto del gruppo, la cui collaborazione era stata determinante.
«Bene» fece a quel punto della cena il collega alzandosi in piedi. «Vado a prendere la macchina.»
«Spero tu sia in grado di guidare…» fece Francis alzando il calice e bevendo un altro sorso di vino. Il collega lo guardò serio, quasi offeso:
«Ma io ho bevuto solo acqua per tutta la serata, apposta per poter guidare.» Poi, riprendendo il suo garbo di sempre: «Dammi anche la tua borsa, così non te la devi portare dietro.»
Francis gliela allungò volentieri chiedendosi da quando i giovani erano diventati più saggi dei vecchi. Lo vide allontanarsi con eleganza e sobrietà. La moquette dell’atrio rese ancora più morbida e silenziosa la sua uscita con i tempi giusti di una pièce teatrale. La notte, che attendeva Etan appena fuori, lo inghiottì d’un sol boccone.
Francis pagò con calma con la card della Company lasciando una buona mancia. Era certo che sarebbe stata una giornata memorabile. Uscì anche lui dal ristorante fermandosi sotto la pensilina. Si era rinfrescato un poco e stava scendendo qualche goccia di pioggia. Ci sarebbero volute diverse ore prima di tornare a casa, ma Etan odiava l’aereo tanto da sacrificarsi a voler prendere la sua macchina e guidare fin lì. Francis non aveva avuto obiezioni anche se trovava strano che una persona così attiva e moderna avesse una simile fobia.
Dopo un quarto d’ora di ritardo cominciò a preoccuparsi. La macchina non doveva essere stata parcheggiata lontana, almeno così gli aveva detto Etan.
Si tastò le tasche alla ricerca del telefonino. Non c’era. Visualizzò in quell’istante di averlo lasciato sulla cassettiera della stanza d’albergo. Doveva andare a prenderlo, non poteva abbandonarlo lì. Cominciò a correre in direzione dell’hotel. Non era vicino, ma neppure così lontano da non poterci arrivare in pochi minuti. Iniziò a piovere con più insistenza anche se ancora con poca convinzione.
«Sono John Francis Mitchell» disse trafelato al desk non appena entrò nella hall dell’albergo. «Ho lasciato il mio cellulare in stanza, nella stanza 602.»
Il concierge, alto e magro, le guance scavate, prima lo ascoltò in silenzio e poi con misurata flemma iniziò a digitare piegandosi in due sulla tastiera del computer. Quando raddrizzò il busto disse con parole misurate: «John Francis Mitchell ha lasciato la stanza questa mattina… signore.»
«Lo so, le ho appena detto che John Francis Mitchell sono io e che ho lasciato il cellulare nella stanza, è stato trovato?»
L’uomo si ripiegò nuovamente in due digitando rumorosamente sulla tastiera:
«Il personale addetto alle pulizie non ha fatto alcuna segnalazione…» disse imperturbabile facendo scricchiolare leggermente le vertebre.
«Sono Rosamaria» si intromise una donna di bassa statura strizzata in una divisa da cameriera. «La sua stanza al sesto piano l’ha rifatta Matelda che forse ha trovato qualcosa per lei: è quella che sta uscendo ora.» Francis si mise a correre per raggiungerla. Ma appena fuori dall’albergo il via vai di ombrelli aperti e di gente frettolosa gliela fecero perdere immediatamente.
Rientrò. Dal telefono dell’albergo chiamò il cellulare di Etan. Suonava libero fino a quando non attaccava la segreteria. Chiamò anche la sua ditta, a Newport, ma era tardi e gli uffici erano chiusi. Chiamò a malincuore anche il Cliente: era andato via da tempo e quel ‘bel giovane’ di Etan no, non lo avevano più rivisto.
Uscì di nuovo in strada deciso a tornare al ristorante. Etan poteva essere già lì. Nel frattempo aveva iniziato a piovere forte. La pioggia rimbalzava sul marciapiede rovesciando sulla strada vetro liquido che rifletteva tutte le luci della città. Forse doveva andare alla polizia a denunciare il fatto, ma era sicuro che non lo avrebbero ascoltato: era passato troppo poco tempo. L’unica cosa che poteva fare, forse, era raggiungere l’aeroporto nella speranza di trovare un aereo per tornare a casa. Il giorno dopo aveva un’agenda fittissima di impegni, non poteva rimanere un’altra notte in quel posto.
Fece chiamare un taxi che arrivò così in fretta da dover frenare in poco spazio davanti al ristorante.
«All’aeroporto, per favore!» disse Francis con un tono che parve a lui stesso triste e arrabbiato. Il tassista fece un cenno con la testa aggiustandosi il berretto in segno di assenso e partì. Dopo una mezz’ora di macchina Francis gli chiese se la strada che stavano percorrendo fosse davvero quella giusta, visto che si trovano ancora in mezzo a quartieri popolati. Per tutta risposta il tassista di limitò ad alzare il vetro divisorio interno, a bloccare le portiere e ad accelerare. Francis si mise a battere forte con i pugni sul vetro e a tentare inutilmente di aprire le portiere. Il taxi procedeva velocissimo nella notte sotto un diluvio infernale che sembrava voler allagare il mondo intero.
[space]

dietro il racconto
Leggi –> Dietro al racconto

34 pensieri su “Il ritorno a casa

  1. Come sempre molto ben scritto: ti segnalo solo che dopo la bellissima frase “la notte, che attendeva Etan appena fuori, lo inghiottì d’un sol boccone” mi pare ci siano un paio di piccoli errori, “uscii anche lui”, e “anche se trovava strana”. Però a parte questo …l’importante Cliente per caso era la Mafia? E l’ingenuo Francis ora riposa per sempre dentro a un pilone?

    ^_-_^

  2. Pingback: OMELIE …. – Parrocchia Santa Maria e San Biagio

Lasciami un tuo pensiero