A tavola

«Venga a vedere, capo…» gli disse Alvise accompagnandosi con un movimento rapido della mano.
Girolamo Fieschi, della impresa ‘Fieschi Bitumi & Asfalti’, guardò il viso del suo capomastro sulla porta. Era corrucciato e non prometteva nulla di buono. Posò sul tavolino il ‘giornaliero’ che gli aveva fatto definitivamente capire quanto fosse in ritardo con i lavori e uscì dal gabbiotto.
«Non ho mai visto nulla di simile, capo» disse ancora Alvise girandosi per un attimo verso di lui e procedendo spedito.
Giunti all’ampio scavo per il secondo plinto del cavalcavia, l’impresario notò che sul fondo c’era come un basamento di colore più scuro, liscio, una specie di enorme coperchio di terracotta come se un gigante avesse dimenticato lì la sua pentola per preparare il pollo alla creta. A perpendicolo e a pochi millimetri dalla terra, quasi volesse rispettare quel manufatto, l’enorme benna dell’escavatore era in paziente attesa.
«Cos’è?» chiese Fieschi meravigliato.
«A saperlo, capo.»
Scesero entrambi nella buca e l’impresario si mise in ginocchio ad accarezzare quella superficie tiepida quasi fosse la schiena di un animale preistorico addormentato e bisognoso di coccole. Il contatto era piacevole.
«Che faccio? Spacco?» chiese sbrigativo Alvise alludendo al braccio dell’escavatore che li sovrastava. Poi, visto che l’impresario non rispondeva, si mise a spiegare: «per me è solo una sacca d’aria; forse anticamente qui c’era una falda acquifera che poi si è prosciugata formando un tunnel di fango… Però ne volevo parlare prima con lei…»
Fieschi lo stava ascoltando e nel frattempo si lisciava la barba incolta che avrebbe avuto bisogno urgentemente di conoscere un barbiere. Pensò anche che avrebbe dovuto chiamare un geologo, per essere sicuri di cosa fosse veramente quella che sembrava una struttura; ma avrebbe perso un mucchio di tempo e la penale per il ritardo sino a quel giorno accumulato gli stava divorando tutto il profitto.
«Allora, che faccio? Spacco?» richiese Alvise smanioso di mettersi al lavoro.
Fieschi lo squadrò: il suo capomastro aveva un’espressione indecifrabile.
«Sì, spacca» gli rispose dopo un po’.
«Bene!» disse quello battendo l’una contro l’altra le mani guantate di giallo. E, morbido come un gatto, nonostante la corporatura sovrappeso, il capomastro risalì dalla buca entrando rapido nella cabina della macchina. Non diede neppure il tempo al suo capo di ritornare su. Assestò un leggero colpo di benna e l’intera volta in creta si sgretolò sotto i loro occhi. Una volta che la polvere si depositò minuta, dopo aver saturato l’aria in una nube densa, si disegnarono dal buio quattro sagome scure sedute attorno a una tavola. Avevano ancora brandelli di vestiti addosso, i corpi mummificati colti nella loro modesta quotidianità; sulla tavola di pietra c’erano persino i piatti di metallo, un coltello affilato e una piccola anfora. Fieschi rimase a bocca aperta.
«Ad occhio e croce è un insediamento del fine Quattrocento» disse una voce tranquilla dietro di lui. Era l’ingegnere-capo Bortoli, impostogli dal Comune, esperto di storia antica con addentellati politici nei palazzi che contano: ma tanto, tanto antipatico. «È un ritrovamento molto importante» aggiunse aspirando avidamente dalla sigaretta elettronica. «Si è sempre creduto, in verità, che da questa parte del fiume ci fossero degli sparuti insediamenti sin dal tardo medioevo, ma un’abitazione di questo tipo, proprio no! Qui addirittura ci sono quattro soggetti mummificati, in ottimo stato di conservazione, vasellame vario e chissà cos’altro: è una scoperta notevole… Complimenti vivissimi.»
«Come complimenti vivissimi!?! Non possiamo notificare il ritrovamento all’Autorità» lo anticipò Fieschi rendendosi conto che gli era uscita una vocina lamentosa.
«Certo che dobbiamo, altroché…» gli rispose l’ingegnere-capo come se avesse emesso una sentenza definitiva di condanna senza appello. «Abbiamo tutti dei doveri, persino lei, sa, cosa crede? Il ritrovamento non appartiene solo a lei o solo a me, ma a noi tutti, alla nostra Storia.»
Fieschi lo guardò bene in faccia per vedere se stesse scherzando. No, pensò subito dopo, purtroppo non stava affatto scherzando.
«Ci metteranno una vita a fare i rilevamenti usando il pennellino da trucco e la limetta per le unghie… li conosco» sbottò subito Fieschi indicando la buca. «Faranno mappe, cartine e papiri a non finire; per non parlare dei carotaggi, delle foto aree e dei video; sarà un andirivieni continuo di persone e strumentazioni di ogni tipo: ci vorranno insomma mesi… e io non consegnerò mai più questo cavalcavia… sono rovinato…» protestò l’impresario controllando questa volta il tono della voce.
Bortoli allargò le braccia. Come per dire: ‘la Storia ha i suoi tempi e i suoi costi’.
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«E allora, capo, tutto a posto?» chiese Alvise aggiustandosi il casco in testa.
«Tutto a posto, Alvì, possiamo procedere…»
«Come mai non sono poi venuti quelli della Soprintendenza Archeologica?»
«Han fatto sapere che non era poi così importante…»
«Capisco… Ma le mummie, là sotto, non erano quattro?»
«Quattro? No no, Alvì, sono sempre state cinque… una era ben nascosta e non si vedeva.»
Le labbra di Alvise si aprirono in un sorriso enigmatico.
«È qualche giorno però che non vedo Bortoli…» chiese il capomastro fingendo di volgere lo sguardo in giro e tenendo fermo quel suo strano sorriso.
«Si è licenziato…» disse Fieschi guardando da un’altra parte. «Sai, come si dice: divergenze di vedute… faremo da noi e faremo prima.»
«Capisco… e allora, che faccio, capo? Copro?» chiese sollecito Alvise indicando il tubo dello sparacemento che gli toccava la spalla come fosse la proboscide di un elefante che lo stesse annusando.
«Sì!»
«Sicuro, sicuro?»
Fieschi annuì.
«Bene…» fece Alvise battendo l’una contro l’altra le mani guantate di giallo.
«VAI DI CEMENTO…» urlò agli altri.

40 pensieri su “A tavola

  1. Complimenti Briciola bellissimo racconto….ora che sono venuta a sapere che ami i gatti, mi sei ancora più simpatico!…io sono una gattofila nata!
    Ciao a rileggerti presto

  2. Aggiungi un posto a tavola che c’è del cemento in più.
    Sono un appassionato di storia e dovrei essere dalla parte dell’ingegnere antipatico…ma se dei morti del 400 devono fare morire un imprenditore e i suoi dipendenti, non riesco a essere sicuro più che la Storia prima di tutto e prima dei vivi. Diciamo che non era poi ‘sto ritrovamento eccezionale va’ 😉

  3. Mi piace molto la caratterizzazione del capomastro con quel suo superficiale e
    menefreghista “E allora, che faccio? Copro?”
    Certe “menti sopraffine” non potrebbero agire senza la connivenza di gente così, che si gira dall’altra parte fingendo di non vedere e di non capire. Grazie!

  4. Non è molto lontano dalla realtà questo tuo racconto.
    Nel mio paesello una decina di anni fa decisero di rifare la pavimentazione della strada del centro storico. Si scoprirono le fondamenta di strutture, credo settecentesche, che correvano per tutta la lunghezza del centro storico.
    Qualcuno osò consigliare che si mettessero dei vetri speciali, come ho visto a Verona, per permettere di conservare quei resti alla vista di tutti. Il vicesindaco disse al capomastro di ricoprire tutto alla svelta, prima che intervenisse qualcuno delle BelleArti a bloccare i lavori. E così fecero.

  5. Pingback: A tavola | miglieruolo

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