Ladro di ricordi

batacchioAvrebbe raccontato la sua vita. L’aveva sempre saputo che era quello l’argomento che, per avere successo, avrebbe dovuto trattare prima di altri in un libro; aveva cercato tuttavia di evitare un simile coinvolgimento perché scrivere di sé avrebbe comportato anche giudicarsi, oggettivamente, ripensando in modo critico al proprio passato: il che poteva risultare anche non troppo piacevole. Ma ora Mario aveva sessant’anni. Era un uomo arrivato, con una forte personalità e un disincanto verso di sé e gli altri da fargli credere, a ragione o a torto, che in realtà non avrebbe avuto nulla da temere. Anzi no, era sicuro: gli avrebbe fatto bene.
Così cominciò dapprima con un capitolo generico, introduttivo, richiamando quei principi etici cui si era sempre ispirato e poi via via, partendo dal racconto dell’infanzia, risalì alla gioventù, agli anni della maturità, a quella delle grandi scelte. Era soddisfatto. Si profilava come un romanzo di grande respiro, penetrante, liberatorio, per nulla indulgente. Anche se per ora aveva trovato l’artificio narrativo di usare la terza persona.
Poi una mattina cominciò ad accorgersi che in casa mancavano diversi oggetti. Una prima volta non trovò una maglia di quando aveva intrapreso da ragazzo l’avventura del calciatore dilettante, un’altra volta risultò sparita una cartina antica che aveva comprato a Londra dopo il diploma, un’altra ancora il suo set completo di canne da pesca. Era diverso tempo che Anna, la moglie, aveva ripromesso un ‘bel ripulisti’ di vecchie cose sue che ‘prendevano solo polvere‘, ma non poteva credere che dalle minacce fosse passata ai fatti.
Fu immancabile un furioso litigio all’inizio del quale lui accusava lei di non rispettarlo come uomo e come marito e la moglie che negava di aver buttato via alcunché; alla fine c’era solo lei che rimproverava lui, insieme a molte altre cose, del perché il rinfresco del loro matrimonio fosse stato così misero rispetto a quello delle sue amiche, poco importando fossero passati trent’anni.
Qualche settimana dopo, Anna, uscita di casa per andarsene a lavorare, tornò appena dopo cinque minuti, la faccia pallidissima. Se ne stava nella luce della porta guardando il marito senza fiatare.
«Per l’amor del cielo, Anna, parla! Cos’è successo?» chiese lui preoccupato.
«Hanno rubato la macchina! Nonostante sia più vecchia di me!» fece lei tutto d’un fiato.
E così avevano a che fare con un ladro seriale. Non c’era dubbio. Un ladro strano, per la verità, selettivo e pervicace. Rubava ricordi, solo ricordi: i suoi. La polizia, dal suo canto, com’era prevedibile, non li prese neppure in considerazione.
Anna, per tutta risposta, liberò il ripostiglio delle scope, fece montare una porta blindata e nello stanzino stipò tutto quello che secondo lei era prezioso. Compreso il fazzoletto della prima comunione con cui aveva toccato l’ostia consacrata, il tappetino di plastica della sua prima macchina e un orecchino superstite, regalo di quell’Altro, che se lo avesse sposato come le aveva raccomandato quella santa donna di sua madre, che riposi in pace, ‘ora avrebbe fatto la Signora’.
Poi lui capì. Non poteva essere altrimenti.
C’era il gatto della moglie che gli si era sdraiato, come al solito, sopra la tastiera del computer: fece alcuni tentativi per convincerlo a spostarsi. Poi riempì la ciotola di croccantini e il gatto, indolente, scese dal tavolo. Fu così che al romanzo aggiunse un paio di pagine proprio su quel gatto, di quanto fosse irritante averne uno da accudire tutti i santi giorni quando ti dimostra ostentatamente solo indifferenza e ostilità. Poche righe intense, insomma, asciutte, ma ben scritte. E, come immaginava, per qualche motivo imperscrutabile, il gatto sparì.

«Mario??? Deve sei?», fece la moglie appena alzata dal letto. «È domenica, non ti sembra esagerato lavorare anche la domenica mattina? Ma dove sei?»
Giunta nello studio trovò la luce della lampada da tavolo accesa, il monitor del computer illuminato. ‘Lo Scrittore non deve essere lontano’, pensò.
Allungò il collo sul display e lesse:

«Devo dire che al termine di questo romanzo mi pare la scelta più giusta. Preferisco infatti scegliere di stare di qua in un mondo fatto di ricordi e momenti felici, piuttosto che in una vita scialba che non mi assomiglia più. Sì, lo scrivo, qui, ora, anche se cosa vorrà dire. Succederà come per la maglia, la macchina e finanche il gatto che, sia ben chiaro, m’ingegnerò a rispedire di qua.
Ebbene sì, il personaggio di cui si parla nel libro sono proprio io.
Addio.
»

La moglie scossa la testa più volte. Fece un passo indietro e schiacciò con le pantofole dei croccantini.
«Ma Mario, cos’hai fatto? Possibile che tu debba essere sempre così sciatto? Mario! Ma dove sei? Marioooo…»

36 pensieri su “Ladro di ricordi

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  2. se Mario è un ladro, tu sei un autentico Arsenio Lupin 🙂 rubi il lettore dal suo mondo, per portarlo nel tuo, ma questo è possibile perchè c’è tanto di tutti noi nelle tue storie, con una generosa dose di suspence e stravaganza per meglio attirarci…

  3. I ricordi non possono essere tolti…rimangono nella vita di chi ha vissuto quei momenti…si possono toglier anni passati chi ha già vissuto quegli anni? Non penso…
    Ciao

  4. Uh! Mi è spiaciuto un pò che Mario alla fine abbia preso quella decisione ma il racconto l’ho trovato fantastico e in certi punti anche molto divertente. Bravissimo anche questa volta Briciola.

  5. A rischio di essere etichettata come quella acida trovo che rifugiarsi nei ricordi si una soluzione un po’ troppo facilotta e codarda piuttosto che affrontare il proprio presente che per quanto difficile scomodo o doloroso che sia e comunque la realtà del mondo in cui viviamo e su cui influiscono le nostre azioni

      • Scusa il ritardo nella risposta…4 anni… ma vorrei chiederti rinunciare a cosa? Fuggire nei ricordi e non affrontare la realtà è comodo per chi lo fa. Ma chi fugge nella propria memoria, lascia agli altri che sono intorno alla persona un enorme peso da portare, tutto per far galleggiare qualcuno a cui della realtà, e quindi anche di chi gli sta intorno con amore e cura, non importa nulla. Rinunciare è più comodo che continuare a resistere.

  6. metafora ampia e intrigante che tocca nel vivo il nostro mondo di appassionati di scrittura.
    quando utilizziamo nostri ricordi nella stesura di un racconto non siamo mai (per fortuna) fedeli al reale, manipoliamo, adattiamo alla bisogna, aggiustiamo quanto è successo in passato secondo il nostro gusto presente, col risultato, almeno per quel che mi riguarda, di non ricordare a distanza di anni se un determinato episodio è avvenuto come ci viene tramandato dai familiari o come lo avevo rivissuto io in un racconto. Insomma, i ladri siamo noi.
    ml

    • Sì, questo è il senso. Non si accorgeva il protagonista che era lui, scrivendo, a sottrarre dal mondo reale, uno dopo l’altro, i propri ricordi per ‘passarli’ (questa volta in via definitiva, però) a quello dell’immaginario. Di solito si tratta ovviamente di traslazioni reversibili, nel racconto non lo è stato.
      Grazie per il tuo passaggio

  7. Offro anch’io, senza pretendere che sia quella giusta (ammesso che esista), la mia interpretazione, che nasce anche dalle mie personali esperienze di scrittura: una volta che ha raggiunto il livello di verità e di perfezione formale che si era proposto, lo scrittore si allontana dai fatti, dalle cose e dai personaggi che ha creato e che ora vivono di vita autonoma, diventando “altri” da quelli della vita quotidiana. Credo che questo spieghi anche la fine di lui, che ha parlato di sé e che ora vive solo e soltanto nel suo racconto, separandosi nettamente dalla realtà di ogni giorno nella quale non si riconosce più. Un meta-racconto, una riflessione sullo scrivere. Bello!

    • Bravissima. E’ esattamente così. E’ il romanzo così definitivo per Mario da funzionare da buco nero che, come un vortice, attrae in sé tutto quello di cui il romanzo parla, autore compreso. Dopodiché ogni cosa vivrà in una sua dimensione altra.

  8. Come al solito bel racconto, ormai sei come i prodotti DOC. Bravo Mario che coi ricordi cerca di fuggire dal grigiore di una quotidianità che forse non gli appartiene più

  9. Il pover’uomo bistrattato aveva forse altre alternative?
    Ma poi anche dei bei ricordi come posso sopravvivere a tanta quotidiana acredine?
    sherabuonasettimana

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  11. A volte è necessario adagiarsi un po’ sui bei ricordi per avere poi la forza di aggrapparsi a un raggio di sole che ci sorride e che ci tende la mano…

    Secondo me il gatto aveva già capito tutto e armeggiava sulla tastiera nel tentativo di ‘spedire’ dall’altra parte la fastidiosa padrona di casa.
    Mi hai fatto ricordare un vecchio film con Jack Lemmon e Virna Lisi dal titolo “Come uccidere vostra moglie”.

    Noto con piacere che, dopo la pausa estiva, i fornitori hanno riaperto… 😉

      • Occhio…può essere che l’offerta sia vera e il prodotto abbia ogni qualità
        ( come nel mio caso e senza falsa modestia…ahahahah)…ma quando ci sta la vendita a più pezzi in gruppo può esserci la fregatura…ahahahah….poi davanti si mettono sempre le cose in scadenza o con qualche problematica…ahahaha…anzi facendo gruppone si nascondono i difetti …occhio!!!

  12. Mario ha capito l’antifona. Meglio i ricordi, a parte macchina e gatto, che tutto sommato non gli appartenevano, che vivere con la moglie che gli rimprovera di un essere un povero cristo. ottimo sistema per sfuggire anche ai creditori 😀

  13. “Una mattina cominciò ad accorgersi che in casa mancavano diversi oggetti. La maglia di quando aveva intrapreso da ragazzo l’avventura del calciatore dilettante. La cartina antica che aveva comprato a Londra dopo il diploma. Il suo set completo di canne da pesca.”
    (piccolo editing che mi sono permesso).
    Sai, la teoria dell’iceberg di Hemingway. Ovvero tagliare la pagina iniziale, quella che serve a chiarirti a te stesso come scrittore che sta scrivendo un racconto (vale a dire la cornice descrittiva) e partire invece direttamente al centro dentro dell’azione con frasi dichiarative e inappellabili… La lezione di Hemingway era volta al coraggio di “tagliare”, a non innamorarsi a vanvera delle proprie polluzioni verbali ma di saper riconoscere a freddo l’effetto che una sana chirurgia avrebbe prodotto nell’incauto lettore, insieme al brivido che gliene sarebbe venuto (per tacere dell’autocastrazione dell’autore).
    Il racconto sta tutto qui (in senso buono). Questo sarebbe uno splendido incipit, abbastanza misterioso e curiosamente coinvolgente.
    In fondo (o poco dopo l’inizio) hai scritto un capolavoro di racconto. Peccato per tutta la schiuma inutile che ci hai messo intorno per giustificare. Giustificare cosa? Nessun bisogno di giustificare. Il resto ce lo mettono i lettori, anche quelli più pigri.
    Mi sa che me ne approprio e, col tuo permesso, ci scrivo intorno a modo mio. Sperando un’altra volta di riuscirci.

  14. Eee…torniamo al noir…Questo pezzo dice una grande verità secondo me, scrivere la propria è anche giudicarsi, è terapeutico, anche se a volte fa male.
    Il fatto che Mario fosase ormai “arrivato”, mi fa pensare ad un uomo che dalla vita non si aspetta più nulla, ha perso l’entusiasmo, il disincanto…non restano che i ricordi, e lui ci si è tuffato dentro. Ora che sia la possibilità di andare in un mondo irreale o si abbia la volonta di uscire di scena in chissà quale modo, anche il peggiore, sta al lettore deciderlo…credo tu abbia lasciato spazio a questo o forse, come dico sempre, lo scrittore è anche questo, colui che lascia spazio al lettore.

  15. Il refuso su risolverebbe è dovuto alla correzione automatica del cellulare… la tecnologia non sempre aiuta….ahahah…comunque poteva scrivere un capitolo per la sua signora…ahahahah

  16. Gran bel pezzo davvero…fantasioso e acuto…alla tua maniera! Magari fosse possibile scrivere un pezzo sulle donne e gli uomini cretini che affollano le città e questi sparissero…che bella fortuna…si risolvere ebbe il problema dell’inquinamento acustico…

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