Ketchum


L’incontro aveva preso poco tempo. Il cliente si era rivelato meno ostico di quello che era sembrato per telefono. Ci eravamo trovati d’accordo su tutto in meno di un’ora concludendo un contratto vantaggioso per entrambi. Il problema è che ora mi trovavo a Pocatello, in Idaho, a 1.500 miglia da casa, con in tasca un biglietto aereo per Chicago solo per il giorno dopo e la prenotazione per la notte in un alberghetto della zona. In ufficio non mi aspettavano prima dell’indomani. In un caffè approssimativo, sulla strada tortuosa per Twin Falls, meditavo sul da farsi.
«Cosa c’è da vedere in zona?» chiesi alla cameriera avvicinatasi per l’ordinazione. Per un po’ lei mi stette a fissare come fossi un canguro con indosso il vestito della festa: feci in tempo a sentire l’odore dolciastro tuttifrutti della sua gomma da masticare che ballonzolava rumorosamente nella bocca aperta. Quando fu stanca di guardarmi mi disse con sufficienza:
«Può vedere intanto il menu…» e se ne andò via strisciando sul pavimento le scarpe una volta bianche.
Stavo consultando avvilito il foglio plasticato e unto che mi aveva dato quando sentii:
«Puoi andare a Ketchum…».
Era un uomo di colore, sulla quarantina, giacca seria e una cravatta intonata con la tappezzeria del locale; era a un tavolo poco distante da me con lo sguardo ficcato dentro la sua tazza del caffellatte.
«E cosa c’è a Ketchum?» gli feci.
«Il cimitero.»
«Ah, be’» risposi.
«Guarda che non è uno scherzo: c’è la tomba di Hemingway… i forestieri non lo sanno… e può magari interessarti. Sembri il tipo.»
Sì, ero il tipo.
Pochi minuti dopo, superata Twin Falls, mi ritrovai a far ingresso nel piccolo e raccolto cimitero di Ketchum. Non sarebbe mai venuto in mente di trovarci la tomba di un grande scrittore. Non c’era neppure un cartello che segnalasse la sua lapide, anche se la trovai facilmente. C’era infatti un mucchio di fiori freschi sulla lastra di marmo, ma anche di libri, persino una scatola di tonno e un sigaro. Era una tomba accudita in modo amorevole, come capita a chi è morto da poco ed è ancora nel cuore della gente.
Mi faceva impressione essere al suo cospetto. Da ragazzo avevo letto e sognato con i suoi libri; avevo invidiato il suo modo di vivere sempre al massimo, di sentirsi la libertà scorrere e pulsare nelle vene, come uno spirito indomabile nel vento; e ora quel che rimaneva di lui era a pochi passi da me.
Ernest Miller Hemingway: July 21, 1899 – July 2, 1961. C’era scritto.
Feci un giro intorno al cimitero. La campagna là attorno era molto bella: la pace la faceva da padrona. Persino i merli cantavano sottovoce.
Uscendo dal cancello vidi un uomo appoggiato al tronco di una quercia secolare. Aveva l’aria trasandata anche se i vestiti dovevano aver visto giorni luminosi e soprattutto un buon sarto. Appena mi vide mi salutò cordialmente.
«Anche lei è venuto per la tomba di Hemingway?» mi venne da chiedere accorgendomi che aveva in mano un libro scritto da lui. L’uomo mi squadrò per qualche secondo:
«Sì, ci vengo spesso qui.» Aveva un marcato accento del sud. Delle parti di Pensacola, forse, o addirittura di New Orleans.
«Hemingway è stato un grande» aggiunsi io come per giustificarmi. «Il vecchio e il mare mi ha maturato dentro una certa idea della vita che non mi ha mai più abbandonato» e mi voltai indietro indicando forse in modo troppo enfatico la tomba che si vedeva bene anche di lì. Poi mi girai di nuovo verso l’uomo aspettando che dicesse qualcosa. «Ma forse Lei preferisce Per chi suona la campana» proseguii io per uscire dall’imbarazzo del momento.
«Come dici?» mi domandò allungando il collo verso di me e mettendo il palmo della mano a conchiglia attorno all’orecchio.
«Per chi suona la campana? Il libro che ha lì accanto…»
«Ah, questo? Veramente uso le pagine per accendermi il fuoco; più tardi mi faccio due salsicce. Vuoi?» chiese allungando nella mia direzione una bottiglia di rum.
«No no grazie… sono solo le 10 e mezza del mattino.»
L’uomo parve non capire e ritirò la bottiglia. Ci pensò un po’ su e poi mi fece:
«Su quella tomba lì, quella di Amy Way, come dici tu, ogni volta che ci vengo, trovo sempre dell’ottimo rum. La gente porta un po’ di tutto a quel tizio e, non so perché, anche dell’ottimo rum. Del rum! A un morto! Si è visto mai? Eppure è così. E io me lo bevo, alla faccia dei morti, alla faccia di Amy Way. E dopo mi vado pure a prendere il sigaro. La gente è proprio strana, sai?»
«È quel che dico anch’io» gli risposi; e lo salutai.

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31 pensieri su “Ketchum

  1. BlogdiBarbara:
    “Per chi suona la campana, con la mastodontica puttanata dei due che fanno l’amore e quando vengono sentono le campane – che fa il paio col famigerato “amare significa non dover dire mai mi dispiace”, la frase più cretina della storia dell’umanità.”

    Brava Barbara!
    Certi miti si creano perchè un sufficiente numero di persone si ostinano a leggere libri di alcun valore, se non letterario.
    Lessi qualcosa di H su un’antologia, e lo trovai terribilmente noioso con le sue descrizioni chilometriche sul nulla (memorabile l’impianto di un verme sull’amo d’una canna da pesca: 10 pagine minimo).
    Aveva la fissa dell’uomo coraggioso, dell’uomo d’onore, dell’uomo virile, il problema perenne delle corna ed altre palle.
    Cartaccia, e meno male che mi sono fermato a qualche brano di antologia.
    Non ti apprezzi molto, Barbara, se ti sei sottoposta al supplizio di leggere tutt’intera un’opera di H (dove H non è la nota preparazione per le emorroidi, per il momento), ma puoi rimediare sin d’ora leggendo, per penitenza, un libro di Erri De Luca, visto che hai tendenze masochiste.
    Hollywood ha appozzato a piene mani nei romanzi di questi alcoolizzati, per questo il genere horror ha poi preso piede, per reazione.

    • No no, scherzi?! Ho letto Il vecchio e il mare perché mi è stato imposto al ginnasio (una palla mostruosa), Fiesta mobile e i due citati, basta, ci mancherebbe. Un altro “mito” che ho trovato assolutamente insulso è Il grande Gatsby, e non leggerò mai una cosa con un titolo orrendo come L’insostenbile leggerezza dell’essere. (De Luca? Ecchecc…!)

  2. PREMESSA: non ho mai amato Hemingway. Meno che mai come persona. Ho letto tra l’altro la te4stimonianza di un suo compagno di safari: il “grande cacciatore” non era capace di centrare un elefante fermo a dieci metri; tutti i suoi compagni di battute avevano terrificanti ricordi di caprioli e gazzelle fatti letteralmente a brandelli a forza di sforacchiarli e ancora vivi perché non era ancora riuscito a beccare un punto vitale. Erano tutti cacciatori, nessuno trovava da ridire sul fatto di uccidere animali, anche solo per divertimento, ma un simile macello li lasciava inorriditi. Quanto ai libri, salvo solo Addio alle armi; tutti gli altri mi annoiano a morte, compreso il “mitico” Per chi suona la campana, con la mastodontica puttanata dei due che fanno l’amore e quando vengono sentono le campane – che fa il paio col famigerato “amare significa non dover dire mai mi dispiace”, la frase più cretina della storia dell’umanità.
    Detto questo e venendo al racconto, trovo decisamente simpatica l’idea di non imbalsamare i morti illustri, e non imbalsamare se stessi nel loro ricordo, ma usarli per vivere, come giustamente fa il barbone.
    PIESSE: davvero splendida quella quercia, una volta l’ho messa anch’io.

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  4. Io ho visto in giro gente che mitizza chi ha preso molti anni di carcere e cerca di immaginare felicità nel suo degrado… credo perché vogliano averne altrettanti per se stessi…
    Quindi chi omaggia un defunto non mi sembra per nulla strano!!! Acume inconfondibile…
    Ciao

  5. spettacolare il finale. La gente porta da bere e da fumar e anche da mangiare. Per il tizio è solo la tomba di Amy Way una donna sconosciuta!
    Grandioso.
    O.T Hemingway è nato come me in luglio e stesso giorno. Lui un grande e io una nullità 😀

  6. Restituisco volentieri la gradita visita al mio blog, così ho avuto l’occasione di leggere questo breve racconto che (non t’inorgoglire troppo, però) potrebbe essere il 50.esimo della famosa raccolta di brevi storie scritte da Hemingway. Raccolta che, più dei suoi pur bellissimi romanzi, hanno contribuito alla mia formazione di scrittore della domenica. E’ stato grazie a lui che, in tarda età, mi sono dedicato alla scrittura di racconti e romanzi che, ahimè, hanno avuto eco e notorietà limitatamente all’ambito famigliare-amicale, cioè, che non hanno avuto alcun successo… Un cruccio che ho superato benissimo e che mi ha convinto a riporre intelligentemente la penna in un cassetto. Ma tornando a Hemingway, a lui sono debitore di una grande verità che è stata alla base del mio modo di affrontare la scrittura: “The first draft of anything is shit.”  . Di ogni cosa che ho scritto, infatti, la prima bozza faceva sempre schifo, solo alla 30.ma revisione in genere cominciavo a vedere la luce,,, ma in tutta evidenza non sono bastate per interessare eventuali editori o lettori sconosciuti…. ahahahahah (risata amarognola)
    Scusa queste note personali, ma mi sono venute in mente proprio leggendo il tuo bel racconto Ketchum: le pagine dei miei libri potrebbero servire benissimo per accendere il fuoco in un barbecue fra amici.
    Cordiali saluti.
    Nicola

  7. Ripercorrendo il sentiero per tornare all’alberghetto, decisi di seguire un viottolo diverso, ci volle poco per disperdermi nel fitto bosco.
    Cominciai a temere di non ritrovare la via quando, davanti a me, apparve una ristretta radura, con al centro una gigantesca e secolare sequoia, i suoi enormi ed intricati rami si adagiavano a terra, per un diametro di quaranta metri, dopo aver tentato inutilmente di raggiungere il cielo.
    Rimasi per per un po’ stupefatto a rimirare quella rara meraviglia.
    Ma ecco che una cupa e stentorea voce uscì dal tronco, mi avvicinai:
    “Vieni avanti, giovanotto, non ne potevo più di vedere quegli insulsi visitatori, mi sono trasferito qui, ma nessuno si addentra nel bosco, tu coraggiosamente l’hai fatto.”
    “Dammi retta, lascia perdere quell’affare, potrai guadagnare molto di più scrivendo i libri per me.”
    “Rimani ancora per qualche tempo e vieni a trovarmi qui, ogni giorno, ho tante cose da raccontare ancora… sono morto giovane e… se trovo quello che mi ha “suicidato”…
    “Siedi, prendi il blocchetto e scrivi, come scrittore ne hai sempre uno nella borsa.”
    ——————————————————————————
    Tornai ogni giorno, per settimane, fino a completare un favoloso romanzo che titolai:
    “Ho incontrato Hemingway nel bosco e mi ha detto…”

    Il romanzo ottenne uno strepitoso successo e tanti altri ne scrissi, ma non ebbi bisogno di tornare all’albero, ormai il talento di Hemingway era dentro di me per sempre.

  8. Ciao. Trovo meno strano il portare regalie sulla tomba di un defunto che tante altre cose che fa la gente…diciamo che, secondo me, mentre non crea nessun danno portare fiori o frasi o cibo ad un defunto…crea molto danno dare ascolto a gruppi popolari di pazzoidi con frustrazioni che al posto di andare in psicoanalisi si raggruppano per nascondere le loro problematiche che invece risultano evidenti…almeno i defunti non scocciano con cretinate!!! ahahahah
    Bel pezzo…notevole…

  9. Sì, ho visto personalmente portare del Rhum sulla tomba (ma al memoriale a Cuba) e in questo passaggio rileggo tutta quella sacralità e quel silenzio che soltanto la poesia, la bellezza delle “sue” pagine ci ha lasciato.
    Un uomo del ‘suo’ tempo.
    Un uomo che ha lasciato, comunque, una traccia. L’impegnato, il maledetto, il narratore diretto e crudo.
    Il filosofo della vita difficile.
    Il perseguitato e persecutore.
    il coerente e incoerente. Una figura complessa e pulita a cui, più o meno, in molti abbiamo tentato di assomigliare.
    Il suicida che non sopportò l’incontenibile ottusità del suo tempo.
    Il Luigi Tenco della carta.

    Avete scritto una bella pagina che donò una bella domenica.
    Ottima lettura.
    Cordialità

      • Concordo: la tua pagina è bellissima; i doni anche materiali ai defunti sono sempre stati descritti come il segno di una continuità d’affetti fra vivi e morti, che si può manifestare anche attraverso una bella bottiglia di Rhum, per l’uomo che tanto lo aveva amato, rivalutando anche, attraverso la precaria euforia della bottiglia, la vita. Né credo che allo scrittore sarebbe dispiaciuto che qualche povero diavolo con qualche salsiccia e un po’ di Rhum a lui offerto, rallegrasse la propria vita. Davvero un bel pezzo!

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