Ventisei capitoli

Gli era costata molta fatica ma era arrivato fino in fondo. Dopo un lungo periodo di crisi, un paio di libri mediocri e la paura di non essere più in grado di ripetere il grande successo del primo lavoro, era riuscito a confezionare un ottimo prodotto. Ora George W. Peterson poteva rilassarsi.
Quella sera stessa, anche se era tardi, spedì via mail a N., il suo Editore, i ventisei capitoli del suo giallo; glielo aveva infatti sollecitato sovente negli ultimi tempi essendo scaduto da mesi il termine contrattuale di consegna.
L’indomani mattina arrivò la risposta:
Un grande lavoro, George‘, c’era scritto, ‘ne è valsa la pena attendere: sarà un sicuro e meritato successo!‘.
George centellinò la mail, gustandosi complimenti e felicitazioni, fino all’ultima frase che lo fece sobbalzare:
Però, fammi avere il più presto possibile anche l’ultimo capitolo!’.
«Come l’ultimo capitolo?» domandò ad alta voce George come se l’Editore fosse in quella stessa stanza. «Ma se l’ho spedito insieme a tutto il resto!»
Controllò la mail che aveva inviato. Sì, c’era anche il ventiseiesimo capitolo.
Rispedì ugualmente il file mancante, per maggior sicurezza, facendo ben attenzione a non sbagliare, visto che il computer non era mai stato il suo forte; ne fece anche più di una copia, in formati diversi. Si scusò. Ma l’ultimo capitolo c’era.
La risposta di N., un po’ piccata, non tardò ad arrivare:
Perché mi mandi dei file illeggibili?
George cominciò a innervosirsi. N. lo stava probabilmente prendendo in giro per fargli scontare il ritardo. Non potevano esserci altre spiegazioni. Telefonò.
No, gli disse N., i file erano davvero illeggibili, forse era un problema di computer o della rete.
Siamo sicuri che l’ultimo capitolo l’hai scritto davvero?’ gli aveva domandato infine, a tradimento, poco prima di chiudere la telefonata.
Si misero d’accordo che lo avrebbe stampato e che glielo avrebbe portato personalmente. ‘L’aveva scritto quel capitolo, accidenti, perché dubitarne?’ Infilò le pagine in una busta e partì con il primo treno utile.
Si sentiva confuso nel percorrere il corridoio che portava all’ufficio di N. Era trascorso più di un anno dall’ultima volta che era venuto ad Alvona. In quella città non ci tornava mai molto volentieri. Ma ora era felice di essere lì. Glielo avrebbe fatto vedere al suo Editore e al mondo intero se quel capitolo l’aveva davvero scritto oppure no. George W. Peterson era tornato, eccome se era tornato: alla faccia dei critici malevoli che lo avevano dato per spacciato dopo il primo libro attribuendolo solo al colpo di fortuna del novizio.
Stava per bussare alla porta di N. quando si accorse che la busta non era più nelle sue mani. Si sentì mancare. Con il cuore in gola tornò velocemente sui suoi passi, gli occhi a terra per ritrovare il plico. Non era da nessuna parte.
«Questo deve essere suo» si sentì dire da un uomo anziano, ben vestito, un sorriso contagioso dipinto sulla faccia.
«Cos’è?» fece Peterson sgarbato.
«È il capitolo che le mancava.»
«Non è il mio, lei si sbaglia, la busta era marrone…»
«Le assicuro che è proprio questo…»
Peterson guardò l’uomo come se non riuscisse a metterlo a fuoco attraverso delle lenti appannate; il vecchio continuò:
«Lei lo sa che quel capitolo, l’ultimo del suo libro, non lo ha mai scritto, vero?»
«Ma cosa dice, lei è pazzo, l’ho scritto sì» rispose quasi urlando «lo saprò bene io, non crede? Ma cosa avete tutti quanti? Il libro è completo, in ogni sua parte… è il miglior thriller del secolo, cosa ne sa lei, scusi?»
«No, non è vero, non l’ha mai scritto e lei lo sa benissimo: avrebbe voluto farlo, le sarebbe piaciuto farlo, ma poi si è fermato. Non sapeva e non sa come finirlo. Lei stesso non ha la minima idea, neppure adesso, di chi potrebbe essere l’assassino, non sa neanche come farlo smascherare dal ragazzo, novello detective, che si è occupato del caso; e ci sono almeno altre due storie sullo sfondo che non è stato in grado di ‘chiudere’. Senza l’ultimo capitolo, il suo libro non vale niente.»
Peterson rimase impietrito. A poco a poco gli ritornò tutto in mente. Il blocco mentale, l’impossibilità di andare avanti, la mancanza totale di idee, il non sapere come far quadrare tutte le questioni non risolte del giallo. Il lavoro non era affatto finito e aveva ragione quell’uomo: senza quel capitolo non era pensabile poterlo pubblicare.
«Tenga» fece ancora il vecchio allungandogli il plico. «Dia retta a me, lo prenda.»
«È uno di quei casi, vero?» fece George sarcastico «uno di quei casi in cui lei poi mi ricatterà per tutta la vita o, che so, in cambio dovrò uccidere sua moglie o sua suocera o dovrò farle qualche altro favore immondo? Guardi che con me non attacca, non sono poi messo così male… io sono George W. Peterson, il grande scrittore in odore di Pulitzer e sappia che…»
«No, si sbaglia, non voglio niente, George: posso chiamarti così? Sono unicamente un tuo appassionato ammiratore. Mi dispiace vederti così depresso. È vero, sei un grande scrittore e lo sarai sempre; devi solo superare questo momento difficile. Diciamo che il mio è un modesto contributo alla tua arte… Hai bisogno di credere nuovamente in te… e questo libro, questo capitolo, ti aiuterà.»
«No, non posso accettare… non l’ho scritto io» disse George sempre meno convinto.
In quel mentre sentì gridare il suo nome. Era N., l’Editore: lo chiamava dall’altra parte del corridoio.
«Lo prenda» disse il vecchio insistente spingendo il plico verso di lui. «Non lo saprà mai nessuno che non l’ha scritto lei, glielo garantisco.»
«Non so neppure come si chiama…» fece Peterson afferrando la busta e allontanandosi lentamente.
«È importante?» domandò quello.

Il libro, come previsto, ebbe un successo enorme. Il finale era travolgente, originale, avvincente finanche rivoluzionario. Peterson era di nuovo nell’olimpo degli scrittori mondiali. Ce l’aveva fatta.

È il quinto suicidio in questo mese…’ sentì George annunciare al telegiornale, un mese dopo, seduto sulla sua poltrona di casa. «È il quinto ragazzo che sceglie di morire in un modo così orribile» disse l’annunciatrice con la voce leggermente incrinata dalla commozione. «Gli inquirenti, dalle prime indagini, confermano che anche lui, come i precedenti quattro, aveva appena finito di leggere il best seller del momento: ‘Di cuoio e sangue’, di George W. Peterson. Gli psicologi si stanno interrogando se si tratti di isteria collettiva o di manipolazione del subconscio…»

53 pensieri su “Ventisei capitoli

  1. Cmq gli psicopatici moderni dicono grazie e prego e cercano di nascondere dietro il garbo le loro nefandezze e rimangono a fare gruppetto tra loro…ne vedo tanti in giro così!!!

  2. Curioso il disegno…mi ricorda il dropping delle lezioni di artistica alle medie…cioè del far cadere alcune gocce di pittura molto liquida su un foglio e soffiarci sopra…

  3. La “Musa ispiratrice” che arriva nelle vesti di un anziano sconosciuto? Però non pensavo che consegnasse ancora il papiro brevi manu . E poi non ho mai sentito parlare di sacrifici umani…mumble mumble….qualcosa non mi torna…
    🙂

    • Il racconto potrebbe essere letto metaforicamente in chiave di catarsi aristotelica?
      Da un lato, lo scrittore che “mette in scena” il male si purifica e, dall’altro, il lettore che si immedesima si suicida, ovvero uccide la parte malvagia di sé.

      Buona domenica 🙂

  4. …ma te li sogni di notte vero?! Per carità, senza sminuire il tuo estro ma…. 🙂 insomma, bellissimo anche questo e sono ancora qui a pensare come riescono a venirti in mente. Buona serata Briciola.

  5. Secondo me la chiave di lettura è che il finale di ogni vicenda lo sceglie DIO…non i miseri mortali e opporsi ai Suoi voleri genera disgrazie….i suicidi sono di coloro che non volevano rassegnarsi al finale diverso da quello sperato: ce ne sono molti in giro così!

  6. Un capitolo finale che sta costando tanto, anche all’autore. Ed io che per un attimo, leggendo, ho pensato che quell’anziano signore fosse un angelo! Naaaa, gli angeli non esistono. E nemmeno Babbo Natale! Forse solo la befana 🙂

    Molto bravo tu. Ciao

  7. Bel thriller nel thriller, ma mi manca un “pezzo” e, a parte il sicuro effetto à la “The Ring”, non leggete quel libro, chi legge muore, mi manca il nesso tra i suicidi e l’utlimo capitolo. Cosa c’era scritto nell’ultimo capitolo? Perché è sicuramente in quelle ultime pagine che è contenuto il “mistero” dei suicidi. E ce lo devi dire, pure se non credi nei “web-episode”, che ci lasci così a brancolare nel buio?

      • L’idea che mi sono fatto è che il vecio in realtà è quel Gran Satanasso del Demonio che ha in sospeso un “affare” con George W. Peterson…Ho una storia, ma in forma tozza e scanzonata. Se pensi di potere gradire e che non sia offensivo: il tuo è bel racconto, il mio sarebbe una versione non autorizzata e non ufficiale, un bootleg.
        Dammi un cenno che vado avanti e provo a buttarla giù…

        • Come interpretazione ci sei, nel senso che si avvicina molto a quello che ho voluto sottintendere con il racconto.
          Il ‘vecio’ in questione è in effetti il Demonio che però non ce l’ha con lo scrittore in particolare (infatti a morire non è Peterson ma i ragazzi) ma con l’umanità intera ai cui danni riesce a tramare scrivendo l’ultimo capitolo del libro e inserendo nel testo una sorta di induzione subliminale al suicidio rivolta ai giovani meno psicologicamente strutturati.
          Un po’ come dissero fosse accaduto (ma per l’omicidio e non per il suicidio) con la lettura de ‘Il giovane Holden’ di Salinger che qualcuno sostiene abbia ispirato Mark Chapman a uccidere John Lennon.

          • Uhm ora hai svelato l’arcano, ma la mia idea era diversa e verteva su quel l’ultimo capitolo e il perché se l’era “perso” e allora il Satanasso, che non è fesso, trova un modo per farsi “pagare” e con gli interessi! Mi sono fatto un film!

  8. bello.!!!…..e dire che NON mi era arrivato,se oggi lei, dandomi un like….non mi sarei accorto dello “stacco”e non avrei ripreso il contatto…..lo ha fatto apposta??? saluti

  9. George si gode un’immeritata notorietà ma ha sulla coscienza 5 suicidi. Chissà cosa conteneva il famoso capitolo finale.
    Sempre bravissimo nel condurre per mano i tuoi lettori.

  10. A proposito di autori incapaci di consegnare i testi entro i limiti di tempo fissati potrei raccontare alcuni aneddoti spassosi. Disposti a tutto, anche a uccidere (o a lasciar morire) in cambio di un aiuto analogo a quello che si vede offrire George W. Peterson? Qualcuno forse sì. E nota bene che la Casa editrice presso cui ho lavorato non pubblicava opere di narrativa destinate a diventare grandi successi commerciali, ma solo saggistica, enciclopedie e testi universitari 🙂
    Domanda: Di sangue e cuoio si conclude così o è prevista una seconda parte? Secondo me, molti lettori sarebbero interessati a saperne di più: chi è il vecchio, come e perché la lettura dell’ultimo capitolo può indurre al suicidio, come la prenderà George e che cosa deciderà di fare…
    Ciao!

    • Hai ragione per quanto riguarda il seguito.
      E’ che il racconto, però, nasce così, con un finale aperto e con alcuni ingredienti narrativi inseriti nel testo utili al lettore per terminarlo come vuole se lo vuole.
      Questo tipo di narrazione breve (anzi brevissimo) che io ho chiamato (altrove in questo blog) ‘blogtale’ non prevede, per la sua struttura e per come è stato ‘pensato’, un seguito e questo per una serie lunga di motivi; tra gli altri vi è quello connaturato alla stessa struttura del blog che pone l’episodio due successivamente all’episodio uno anche se quest’ultimo è stato pubblicato temporalmente prima. Questo crea spesse volte confusione e difficoltà di lettura e spezza la tensione narrativa banalizzandola.
      Per esperienza personale inoltre, a prescindere da quanto sopra, i racconti lunghi suddivisi in puntate non funzionano quasi mai sul web (funzionano persino poco su carta) e cerco di evitarli per questo.
      Grazie comunque, Claudio, per la tua attenzione.

    • Posso inserirmi, Claudio? Io credo che sia possibile ritenere, dato il procedere della narrazione come racconto “fantastico”, che il vecchio che gli consegna il finale altri non sia che la proiezione del “doppio” di George. Un inaccettabile livello di abiezione, presente in lui, che avrebbe voluto ignorarla e rimuoverla. L’invito del vecchio (cioè del suo “es”, direbbe Freud) è di rivelarsi per quello che è: ma la rivelazione può, a questo punto, essere drammaticamente sconvolgente, per chi ne comprende le implicazioni disperate. Credo che anche altre interpretazioni siano possibili, ma la mia, modestissima, è questa.

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