Shabby style

shabby-chairSi era svegliato prima del tempo per l’agitazione. Gli si erano affastellati in testa gli impegni della giornata e già sapeva con angoscia che non sarebbe stato in grado di svolgerli tutti. Era l’arretrato che lo preoccupava e, soprattutto, il pensiero che in ufficio i suoi capi non erano affatto contenti di lui e di come andavano gli affari.
Entrò in cucina ancora assonnato domandandosi se fosse stato meglio fare colazione oppure no. Dopo tutto, avrebbe potuto approfittare di essersi svegliato così presto per andare al lavoro e sbrigare alcune pratiche prima della riunione del lunedì.
Stava ancora meditando sul da farsi quando suonò il campanello d’ingresso. Lo sguardo volò sull’orologio a muro: mancava un quarto d’ora alle sei. Chi poteva mai essere?
Andò alla porta controllando dallo spioncino. Non c’era nessuno. Aprì uno spiraglio al battente con la catena inserita: sullo zerbino era posata una sedia; era di legno verniciato verde pastello, con aggraziati motivi floreali; da un lato dello schienale era un poco scrostata. Si avvicinò per osservarla meglio, girandoci intorno, buttando però nel frattempo rapide occhiate oltre il giardino a verificare se, in strada, ci fosse qualcuno. Ma la via era vuota e, data l’ora, avrebbe potuto giurare la potesse essere anche la città intera.
Fece per rientrare quando realizzò che non voleva quella cosa davanti alla porta: in fondo non era roba sua ed era sicuramente uno scherzo o un errore. La prese per lo schienale e la trascinò senza riguardi lungo il vialetto del giardino per poi posarla rumorosamente appena fuori dal cancello. Rientrato, si preparò per la giornata e, senza far colazione, andò a lavorare; al cancello la sedia era ancora lì, come fosse stata in attesa.
Il giorno dopo accadde la stessa cosa. Forse era un po’ più tardi perché, questa volta, si trovava ancora in corridoio quando suonò il campanello. Stesso tocco, stesso doppio trillo, stessa pausa tra l’uno e altro suono.
Abbandonata ogni precauzione, corse alla porta e la spalancò. C’era di nuovo la sedia, la stessa, nella medesima posizione sullo zerbino e sempre con nessuno intorno. Arrivò fino al cancello caso mai fosse riuscito a intravvedere qualcuno mentre si stava allontanando. Non c’era anima viva in giro; solo un gatto dall’andatura annoiata e, nell’aria, vaghe tracce di profumo di un gelsomino in fiore. Tornò indietro. Afferrò nuovamente la sedia e, facendo qualche passo in più fuori dalla proprietà, la fece a pezzi sbattendola contro il marciapiede e il muro di cinta del suo giardino. La sedia, sulle prime, fece resistenza ma poi si spaccò ubbidiente, in più parti, come un soldato che si fosse arreso dinanzi alla bocca del cannone nemico. Quando buttò via, nel cassonetto lì accanto, quel che restava della sedia si sentì soddisfatto: era un modo come un altro per far capire al buontempone che era ora di smetterla con quel gioco affatto divertente.
L’indomani si svegliò ancora verso le sei. E quando transitò davanti alla porta di ingresso, diretto verso la cucina, vi sostò davanti, per un attimo, come se attendesse che il campanello dovesse suonare. Si accostò anche alla finestra per spiare il vialetto e il giardino. Niente. Tutto tranquillo. Nessun trillo. Niente di niente. Chiunque fosse stato aveva capito, ora ne era certo.
Al lavoro ebbe la solita giornata convulsa: un’ordinazione, già in ritardo per la consegna mensile, non era arrivata; alcuni dipendenti, forse per fare il ponte, si erano dati malati nonostante la trafficata giornata prefestiva; il contratto importante con la Landsbury & Brothers era stato rimandato con una semplice scusa a data da destinarsi.
Alle 20 tornò a casa, sfinito, ma solo per cambiarsi d’abito. Più tardi avrebbe avuto una cena di rappresentanza organizzata chissà da chi: di certo non avrebbe potuto mancare. Entrò, accese la luce. E la sedia era lì.
Fece d’istinto un passo indietro, come se la sedia dovesse balzargli addosso e aggredirlo. Ma poi si avvicinò, incuriosito. Ne era sicuro: era proprio la stessa che aveva distrutto la mattina precedente. Stessa forma, stessi fiori, stessa inconfondibile increspatura della vernice sul lato destro dello schienale. Si mise a toccarla quasi con rispetto, assaggiandone con i polpastrelli la superficie levigata: in fondo era bella, aggraziata, profumata di mela. Si sarebbe persino intonata con il suo mobilio, pensò.
E poi, all’improvviso, fece una cosa che lui stesso non si sarebbe aspettata: si sedette.
Pian piano si sentì calmo, lucido, sereno. Casa sua gli parve più spaziosa, più calda e accogliente. La stanchezza se ne era andata, il suo futuro non gli pareva poi così drammatico e gli vennero pure in mente alcune buone idee per risolvere un paio di problemi che gli stavano a cuore. Era strana quella sensazione nuova che lo pervadeva in modo così assoluto e totalizzante. Sì certo, pensò, si sentiva davvero felice, come non gli accadeva di essere da molto molto tempo.
E poi sparì. Insieme alla sedia.

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28 pensieri su “Shabby style

  1. La pesantezza del corpo. Della vita. La sedia, oltretutto shabby, come un’insostenibile Leggerezza dell’Essere. Che di sua Natura Evapora. Con il tuo Io. Direi una Catarsi con humor ed estetica.

  2. Stupefacente! 🙂
    Cerchiamo di dare una spiegazione logica a quello che ci accade…. ma, a volte, semplicemente accade….con tale precisione e puntualità da farci pensare che ci sia un che di premeditato….
    Alla fine, ci arrendiamo all’evidenza e ci lasciamo trasportare dagli eventi, meglio se piacevoli naturalmente.

  3. svanire, sparire, placidamente, dentro un morbido nulla…il desiderio di una persona stressata, certamente, e tu l’hai realizzato

  4. … o forse era uno spirito vagante che non avendo capito di esser morto ripeteva i consueti gesti della sua quotidianità( anche perchè unico effettivo protagonista del tuo bel racconto) e la sedia, il fatto di sedersi rappresenta l’accettazione e la realizzazione del suo stato di transizione. Nel momento in cui accetta e si arrende… puff tutto sparisce con un battito di ciglia.
    Interessante!

  5. Sai carissimo che ti dico? Mi piacerebbe trovare una sedia così fuori dalla mia porta e fuggire con lei, quasi come volare su di un tappeto volante, andare lontano, osservare la vita dall’alto. Ma poi penserei che forse tutto sommato sto bene così e nessun tappeto o sedia comoda, carina che sia potrebbe farmi star meglio di come sto ora. Un caro abbraccio ed un sorriso. Isabella

  6. Sempre con il fiato sospeso! Ti offendi se ti faccio notare una “disattenzione” temporale? Quando la sedia riappare in casa non è stata distrutta la mattina ma il giorno prima….oppure è una macchina del tempo….

  7. Mi ricorda una vecchia parabola, narratami spesso e volentieri dalla maestra elementare di religione. Un racconto rimastomi nel cuore. Penso s’intitolasse “Il G.G.G”.
    Bello scritto!

  8. Sedersi e meditare con calma su di noi e sul senso della nostra vita è un lusso che, presi dagli impegni che ci fanno dimenticare chi siamo, non vogliamo più permetterci! Può, infatti, rivelarci che un altro modo di vivere è possibile e che è ora di farla finita con l’immagine fittizia di noi. Può anche essere così intollerabilmente sconvolgente da farci morire!

  9. Mi sorge un altro atroce dubbio: ma forse il dipendente a 360 gradi si è nascosto vedendo arrivare incavolate nere le donne di casa alla ricerca delle sedie sparite??? Certo adesso a ritrovarla una sedia identica…altro che ufficio….se non trova la sedia…poverello😅

  10. Forte…ma mi sorge un dubbio…non è che la moglie, la sorella, la madre, la zia…insomma qualcuno aveva ordinato tutto il mobilio che stava arrivando a poco a poco…e l’incauto dipendente stressato e immerso nell’ufficio 24 ore non stop…dimentico degli avvisi…ne stava distruggendo i pezzi???
    Mi immagino gli strilli…quando mancherà all’appello una sedia del completo!!!!
    Mi fa proprio ridere il pensiero!!!

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