Non può essere così facile

mantideEra almeno un’ora che girava a vuoto. Anche il cane ogni tanto si fermava per guardarlo con aria interrogativa come se si chiedesse il perché l’avesse portato in quella zona senza selvaggina. Eppure lui, su quelle colline, c’era stato tante altre volte e non era mai tornato senza qualcosa nel carniere. Per fortuna era una splendida giornata e la luce che volgeva al tramonto stava prendendo toni di giallo che incendiavano il marrone del fogliame; il cielo era ancora terso e virava pensoso nel blu della sera.
Poi, all’improvviso, sentì la terra tremare. Non era il terremoto, lo capì subito, ma uno scuotimento lento, ritmico come di passi pesantissimi che si stessero avvicinando. Vide Tabù, il suo pointer, che scartò di lato per poi gettarsi guaendo dentro alla macchia. Lo chiamò più volte: ma si era fatto un profondo silenzio attorno a lui, come di attesa greve, a sottolineare che in quel frangente nessuno avrebbe potuto aiutarlo. Ebbe appena il tempo di girarsi e una sagoma confusa lo sovrastò. E fu tutto buio.
Quando rinvenne si trovava bocconi, per terra, in una stanza dal soffitto così alto che faceva fatica a scorgerlo. Si sentiva la testa pesante, il corpo rigido, rattrappito, come se il resto di sé non gli appartenesse. Non riusciva a capire cosa fosse successo, né dove si trovasse, né quanto tempo fosse passato.
Cercò di muoversi ma non ci riuscì. Realizzò a poco a poco di avere come un peso insostenibile sul petto che lo teneva bloccato al suolo. Si guardò in giro anche se la vista gli si era annebbiata e ci vedeva male: gli parve di non essere solo. Intorno a lui c’erano altre figure anch’esse sdraiate. Ecco sì…, distingueva ora un uomo sulla cinquantina e, più in là, due donne giovani: una bruna e formosa, l’altra dai capelli corti e fulvi, molto magra; c’era persino un bambino, sui dieci anni, vestito ancora con la tuta da palestra, e una coppia di persone molto anziane. Non si muovevano: gli occhi erano chiusi, parevano addormentati. Dopo un po’ che li stava fissando, realizzò che ciò che li teneva fermi era un chiodo che usciva loro dal busto.
Ma sì, certo‘, pensò. Era un enorme ago che li trafiggeva. Forse formavano tutti, lui compreso, la collezione bizzarra di un qualche squinternato; come se fossero stati semplici insetti da conservare e non esseri umani.
Avrebbe voluto gridare ma dalla bocca uscì solo un rantolo. Strattonò il proprio corpo per liberarsi di quello spillone che ora vedeva distintamente sopra di sé. No, doveva calmarsi: non sarebbe venuto a capo di nulla se si fosse agitato in quella maniera. Dopo tutto non sentiva dolore e non gli sembrava neppure di perdere sangue.
Dopo qualche ora si accese nella grande sala, in un punto indefinito del soffitto, una luce accecante. Non vide più niente. Sentii avvicinarsi qualcuno a larghi passi. Provò la stessa sensazione di pericolo di quando ero sulla collina a caccia. C’era qualcuno vicino a lui. Cercò di strizzare le palpebre per far passare quel tanto di luce che poteva bastare per vedere chi fosse. Gli parve di vedere un enorme occhio su di sé con una lente monoculare di ingrandimento che lo stava osservando. Poteva sentire addosso il fiato pastoso di quella persona che, con molta cura, stava controllando se lo spillone fosse ben conficcato sul fondo e che tutto fosse a posto. Trascorsero momenti interminabili in cui si finse morto. Poi lo sentì allontanarsi senza spegnere la luce. Non riusciva più ad aprire gli occhi: era un faro potente che gli spioveva addosso un fascio di luce calda ma abbagliante.
Poi, piano piano, quello stesso calore prese a ravvivargli i muscoli e i vestiti e lui iniziò a muovere di nuovo gli arti. Cercò di capire che tipo di movimento avrebbe potuto fare. E ben presto comprese che l’unico modo per liberarsi di quell’ago era di farselo scivolare attraverso il foro nel petto. Così decise di agire: chiunque lo tratteneva in quel luogo poteva tornare da un momento all’altro. Afferrò con tutte e due le mani il chiodo e si tirò su; fece diverse prove ma si sentiva molto debole e cominciava a sentire un dolore acuto che gli scuoteva il cervello; anche il sangue aveva preso a colare a terra.
Ci mise molto tempo perché ogni tanto, stremato, doveva fermarsi per riprendere fiato. Un paio di volte ripiombò sul pianale battendo violentemente la schiena. Temette che quel rumore potesse richiamare il suo ospite. E allora, subito, ricominciava a tirarsi su con la forza della disperazione. Al quinto tentativo, quando pensava che ormai non ce l’avrebbe più fatta, arrivò alla sommità dello spillone. Fu il momento più difficile perché la testa del chiodo era più larga del foro nel petto; sentì un dolore lancinante che lo fece vacillare; ma prima di svenire riuscì a divincolarsi. Quando si riprese si aggirò tra gli altri sventurati nella speranza di trovarne qualcuno ancora vivo. Erano centinaia e centinaia a riempire tutta la sala: per loro non c’era più nulla da fare.
Decise che era il momento di andarsene. Piegato in due per il dolore e perdendo sangue non era facile orientarsi in quella casa enorme. Superato però un angolo di quel locale, vide in fondo a un corridoio la luce del sole che faceva un’onda di pulviscolo da un portone lasciato aperto. Corse tenendosi una mano sul petto. Nell’ultimare il corridoio, per un attimo, si scorse in uno specchio. Si fermò a rimirarsi incredulo: il foro che lo attraversava da parte a parte era anche più grande di quello che aveva creduto. Cercò di tamponarlo come poté.
Poi il sole tiepido gli toccò delicatamente la spalla: sembrava chiamarlo.
Si avvicinò alla porta spalancata su una campagna ordinata e rigogliosa.
No, non può essere così facile’, pensò.
E scappò via.

24 pensieri su “Non può essere così facile

  1. Concordo sull’ipotesi indigestione…ma il racconto é gradevole.Come protagonista NON avrei abbandonati gli altri “infilzati,”é una delle basi della ns specie,la difesa collettiva,altrimenti l’uomo non si sarebbe “evoluto”…(si fa’ x dire).

    • Il testo non dice che li ha abbandonati, perché il seguito della storia non è stata scritta. Non sappiamo se poi è ritornato o se ha chiamato aiuto. Certo che, gravemente ferito com’era, non se li poteva portare via con sé, dal momento che erano centinaia e pure tutti morti…
      Cosa avrebbe dovuto fare nell’immediato?

      • Siamo “umani” ovvero killers primari (specie se provocati) avrei fatto “fuori” colui che ci tramutavano in “povere farfalline”! saluti

  2. Un thriller in piena regola. Come sia scappato via non si sa ma è il bello della narrazione. Un crescendo di mistero e di tensione narrativa fino al griso liberatorio
    ‘No, non può essere così facile’, pensò.
    E scappò via.

  3. Una bella botta di immaginazione, grazie! Mi è piaciuto molto il cambio di prospettiva. Potrebbe essere un bellissimo libro, o almeno un racconto lungo.

  4. Uhm…rileggendo …queste persone infilzate tutte insieme mi fanno venire in mente i gruppi popolari che criticano dalla mattina alla sera e sono collegate per lo più da sporchi affari o da grande invidia…

  5. e poi? c’è un seguito, o finisce così questa storia – surreale è dire poco, eppure cattura il lettore…in un allucinante rovesciamento di prospettiva

  6. L’incredulità di chi non è abituato alla ‘facilità’ delle cose.
    Quando le parole scritte diventano immagini, suoni e sensazioni. Grazie 🙂

  7. Bel pezzo…io a questo punto se fossi nel protagonista penserei di essere morto e di essere arrivato in paradiso…e anche questo non è affatto facile…anzi è più facile sopravvivere!!! Sei sempre unico!!!
    CIAO

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