Purdey

purdeyCi trovavamo su quel fiume da un paio d’ore. Il sole era basso tra le mangrovie insonnolite e il manto degli ibis scarlatti risaltava ancora di più in mezzo ai colori spenti della palude. Era la prima volta che io e Chase ci trovavamo in quel braccio d’acqua non indicato dalle mappe ufficiali, ma le indicazioni di caccia erano state ottime e le aspettative erano davvero alte.
Per non spaventare la fauna procedevamo con il motore del fuoribordo al minimo. Fu quello il momento in cui sentimmo ondeggiare per la prima volta la barca.
«Deve essere un lamantino» mi disse Chase sorridendo e scrutando l’acqua melmosa. «Ce ne sono di enormi qui». E prima che io potessi dire qualcosa prendemmo una seconda gran botta a prua. L’urto fu così inaspettato e potente che Chase perse l’equilibrio tanto da finire con le mani nell’acqua perdendo il cappello. Ebbi la prontezza di riflessi di afferrarlo per il giubbotto, ma per il contraccolpo scivolai anch’io lungo l’altra fiancata della barca, ritrovandomi nel fiume. L’acqua era marrone, sapeva di marcio ed era sorprendentemente calda. Chase mi aiutò a tirarmi a bordo. Ero già pressoché all’interno dello scafo quando mi sentii agguantare con una violenza inaudita. Un coccodrillo di cinque o sei metri era sbucato dall’acqua inarcando il dorso e afferrandomi il piede sinistro. L’avevo sentito ruggire e ansimare per lo sforzo di lanciarsi contro di me e poco prima che mi mordesse sentii distintamente il rumore meccanico delle sue mascelle. Mi strappò dalla barca con una forza assoluta, trascinandomi nel profondo del fiume come un bambolotto di pezza. Era successo tutto in pochi attimi: mi stavo godendo il respiro magico della foresta pluviale e subito dopo lottavo per la vita trattenendo il respiro e cercando inconsciamente qualcosa cui aggrapparmi nell’acqua scura. I polmoni presero ben presto a bruciarmi nel petto e il bisogno di ossigeno era diventata l’unica ossessione di quel momento. Non sentivo male, non mi curavo del coccodrillo: volevo solo respirare.
Dopo avermi portato fino a quella che doveva essere la sua tana, la bestia prese a ruzzolarmi sul fondo; mi teneva schiacciato con il suo muso nel fango rigirandomi con le possenti zampe: sapeva che ero vivo e voleva affogarmi. In una di queste giravolte devo aver battuto la testa da qualche parte perché ho perso i sensi e quando mi sono risvegliato per il dolore al braccio già mi trovavo incastrato sotto delle radici di una grossa mangrovia. Vicino a me c’erano i resti di una scimmia e di un altro animale con le setole, difficile dire quale. Certo è che mi trovavo nella dispensa del coccodrillo, messo lì a frollare per un po’. Avevo, per fortuna, il viso schiacciato a pelo dell’acqua e respiravo tra le radici, anche se a tratti, e solo quando l’onda non mi passava sulla faccia. La gamba che mi era stata masticata non la sentivo più e il braccio destro doveva essersi rotto malamente perché usciva storto, in modo innaturale, dalla manica del gilet. Avevo sete, avevo paura e mi sentivo mancare per il dolore.
Dopo qualche tempo volli controllare le condizioni del piede. Feci diversi tentativi di immersione nonostante i dolori lancinanti e poi finalmente nell’acqua opaca lo intravidi. La scarpa, con il piede dentro, era attaccata alla gamba per un moncone. Dovevo fare qualcosa. Perdere sangue così, nell’acqua, oltre a dissanguarmi, poteva solo attirare altri predatori. Non sapevo che fare. Cercai di raggiungere il piede con l’altra mano ma inutilmente: non riuscivo a muovermi. C’erano dei rami sott’acqua che mi tenevano bloccato a contrasto con le radici dell’albero e uno, in particolare, molto appuntito, mi premeva sulle reni.
Poi, nell’ultima immersione, d’un tratto, dal centro del fiume vidi comparire prima gli occhi gialli e inespressivi del coccodrillo e poi il suo enorme muso a triangolo. Era venuto a vedere se c’ero ancora e se tutto funzionasse per il meglio. Mi ispezionò per bene. Socchiusi le palpebre come per fagli intendere che non potevo scappare. Arrivato all’altezza del piede che gli ciondolava sul muso come un’esca me lo staccò di netto. Sono svenuto un’altra volta.
È solo per la pioggia calda e battente sul viso che mi sono svegliato di nuovo, ma era già notte. Aveva preso a scrosciare forte come succede a quella latitudine. E ben presto quell’ansa del fiume si ingrossò rapidamente tanto che la corrente creò un mulinello sotto la mangrovia svuotando la dispensa. Mi ritrovai ancora una volta nel fiume, in sua balia; solo che adesso ero immerso nell’oscurità totale di una natura selvaggia, le gambe avanti, il corpo inerte dietro; galleggiai per un tempo infinito, le stelle luminose sopra di me, fino a quando non impattai qualcosa; alle prime luci dell’alba capii che era il tronco di un albero caduto di traverso. Poteva essere la mia salvezza ma non riuscivo a muovermi. Ero sfinito, debole, probabilmente avevo la febbre alta. L’acqua tiepida attorno a me non riusciva ad alleviare i brividi di freddo che scuotevano violentemente il mio corpo. Cercavo di non urlare, per evitare che l’acqua sporca del fiume mi entrasse in bocca. Staccai un rametto e presi a morderlo disperato.
Dopo qualche ora mi sentii afferrare per il colletto della camicia. Non era evidentemente ancora finita. Era un lupo. Mi trascinò lentamente standosene sul tronco e sfruttando il fatto che nell’acqua pesassi poco. Giunto sull’arenile, ne arrivò un secondo e poi un terzo che mi presero per il braccio rotto e mi tirarono su fin dove era asciutto. Urlai per il male ma questo li spaventò solo per qualche secondo perché tornarono subito dopo per continuare a mangiarmi anche se erano sospettosi non capendo che tipo di animale io potessi essere. Ero una facile preda, però, inerme, e dunque un ottimo pasto; e non si butta mai via niente nella palude.
Pregai solo che finisse tutto presto. Che cominciassero dalla gola e che perdessi subito i sensi.
Dall’alto della golena ho sentito invece esplodere alcuni colpi di fucile.
Era il Purdey di Chase. Avrei riconosciuto la voce del suo fucile, tra mille. Del resto glielo avevo regalato io.
I lupi fuggirono, controvoglia, più per prudenza che per paura. Io chiusi gli occhi.
Sentii Chase scendere dalla ripa, molto lentamente. Non aveva fretta. Era sicuro che fossi già morto.

dietro il racconto
Leggi –> Dietro al racconto

28 pensieri su “Purdey

  1. Sono stata in Florida terra di lamantini e coccodrilli o meglio alligatori, sono due animali diversi, ed in effetti c’è ne erano di enormi e quando pioveva le case avevano delle palafitte per rendere più difficile l accesso agli animali che arrivavano dalla palude delle everglades attraverso i tubi e le condutture delle acque reflue. Nella stanza del hotel c erano persino delle istruzioni/consigli da seguire per evitare gli attacchi delle bestiole e come fare le medicazioni in caso di ferite dovute ai loro morsi ammesso di sopravvivere. Non so se il racconto fosse ambientato esattamente lì ma posso immaginare la situazione, se cadi nel acqua putrida dove ci sono sanguisughe grandi come cavalli, la cosa migliore che può succederti e morire per un infezione sanguigna

  2. Accidenti che fantasia che hai!
    Mi hai fatto venire l’ansia e la paura, mi hi fatto sperare che quel povero cristo morisse per non soffrire più…
    E poi vedermi davanti le canne dl quel fucile non è stato molto piacevole….

  3. .Volerlo informarti di averti taggato per il premio Dardos. Non sono pratica nei tag. Sul mio blog puoi trovare le info se ti interessano per segnalare blog che ritieni meritevoli, buon lavoro!

  4. Chase, a ragione, si avvicina circospetto. Una massa sanguinolenta, un coccodrillo da tenere lontano, un amico appena perso, un incidente in canoa….sara sotto choc anche lui….comunque i coccodrilli li preferisco in borsette!

  5. Una bella, si fa per dire avventura, della voce narrante. Come abbia fatto a sopravvivere è un bel mistero. di certo non pensava che l’amico lo trovasse.
    Notevole come intensità narrativa. Un crescente di pathos che attira a leggere una riga dopo l’altra per capire come sarebbe finita.

  6. Spero che molti cacciatori leggano il tuo racconto (hai usato i tag giusti?) e si immedesimino un po’. Spero che capiscano cosa può provare un animale braccato.

  7. Meraviglioso! Nelle ultime parole, scelte con estrema cura, ho avvertito un retrogusto amaro, almeno per come ho inteso io il racconto. Sarà che ultimamente non riesco a fidarmi di nessuno…

    • Sì, in effetti l’ultima frase può essere letta anche nel senso che il personaggio rimprovera a Chase la sua disavventura o che Chase in qualche modo c’entri (volontariamente) con quanto successo.
      In verità non avevo pensato a voler dare questo risvolto. Ma devo dire che a volte i personaggi, scrivendo, mi prendono davvero la mano. 😀

      • Nel finale temo di essermi lasciata trarre in inganno dal passo lento, calmo e sicuro di Chase, interpretandolo come l’atteggiamento cinico del cacciatore che va a prendere la sua preda ritenuta già morta, piuttosto che quello premuroso di chi invece si precipiterebbe, a prescindere, verso il corpo martoriato dell’amico.
        🙂

        • Ho pensato per analogia, mentre scrivevo il finale, a quando c’è un qualche sinistro in autostrada e ci si trova in fila e si vede l’ambulanza che, anziché arrivare a tutta velocità, procede lentamente.
          Non è mai un buon segno.

  8. Buon giorno, sei imprevedibile…nel senso che per San Valentino mi sarei aspettata una storia dolce e romantica…piena di baci…invece…ecco un cattivo coccodrillo famelico e un branco di lupi…che salvano lo sfortunato protagonista…ma fino a quando resterà un salvato e non diventerà preda anche per loro??? Qualche animale con le corna manca in questa storia o sbaglio…ce ne sono tanti…mi aspettavo che che ci fosse..
    Finale al top: l’amico affidabile che ARRIVA AL MOMENTO GIUSTO!!! uao…

Lasciami un tuo pensiero