Il bus n. 222

Inside the busQuando le campane dell’Abbazia si misero a suonare risposero subito dopo quelle più solenni del Duomo e, a mo’ di eco, quelle lievi della Pieve sulla collina; Fosco capì di essere in ritardo lungo la strada per la fermata del bus. Di solito le campane delle sette del mattino lo sorprendevano all’altezza della banca, a due terzi del percorso, e invece non era neppure in fondo alla sua via. Accelerò il passo, anche se odiava farlo perché avrebbe finito per sudare nel suo piumino: non si poteva però permettere di perdere quella corsa. Così, quando giunse finalmente in piazza e vide sbucare il ‘suo’ 222 come una preda che volesse sfuggirgli, si mise a correre. A volte era accaduto che l’autista, fatti scendere i passeggeri, ripartisse immediatamente nonostante fosse un capolinea. Non c’era da biasimarlo, del resto: alla fermata successiva avrebbe smontato dal turno di notte e se ne sarebbe tornato a casa.
Salì che aveva il fiatone. La signora dal cappello di maglia rosa, che normalmente già trovava alla palina quando arrivava, era seduta sul sedile in fondo, il viso tuffato come sempre sul suo cellulare. Era curioso che non fosse mai riuscito a vederla in faccia. Qualche sedile più in là, un uomo con i jeans e la maglia macchiettate di vernice bianca, teneva la testa appoggiata sullo schienale, gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta.
Il bus partì dopo pochi istanti.
A quell’ora le vie, alla mercé di una notte che non se la sentiva di abbandonare la città, erano vuote. Le rare persone che si intravvedono qua e là, avevano il passo svelto come di chi non ha tempo da perdere.
Alla fermata dell’Hotel Ambasciatori, l’autista scese per il cambio programmato. Prese il suo zaino consunto da dietro il sedile e ripose nel taschino del giubbotto l’auricolare bianco. Fosco notò che la fontana delle tartarughe, poco lontano, era senz’acqua.
Le porte si richiusero. Il bus si rituffò in una ragnatela di riflessi di luci che sembravano volerlo trattenere. Alla fermata di via Lulli tirò diritto e dopo l’ampia rotatoria puntò verso la stazione ferroviaria. Lì, alle scalette, sarebbero saliti i pendolari provenienti dai paesi vicini. Avrebbero come al solito riempito metà della vettura, ridendo e scherzando ad alta voce, come se potessero recarsi a una scampagnata. E infatti il bus si arrestò ma più per abitudine che per necessità: la banchina era completamente vuota. Aprì e richiuse due o tre volte le porte come un animale spaventato che non si capacitasse di quell’assenza; dopo pochi attimi riprese nervosamente la sua corsa. Fosco fece appena in tempo a buttare l’occhio verso l’entrata della stazione: c’era il via via di sempre e anche l’edicola dei giornali era aperta.
Il bus fece il suo consueto giro. Solo che, ogni volta che arrivava in vista di una fermata, prima decelerava e poi, siccome non c’era nessuno ad aspettare, faceva riprendere al motore il suo regime di giri.
Non era mai accaduto. Pensò Fosco controllando l’orologio. Se continua così arriverò in ufficio in un attimo. Si voltò per vedere se anche gli altri due passeggeri, saliti con lui al capolinea, avessero notato quella stranezza. Ma era solo. Forse la signora dal cappello rosa e il muratore erano scesi alla fermata del cambio dell’autista. Non se n’era davvero accorto.
Cominciò ad avvertire una strana inquietudine: si sentiva fuori posto o sfasato rispetto al tempo presente. Troppo in ritardo, o chissà troppo in anticipo.
Il cielo intanto si era scrollato di dosso la notte ma era rimasto cupo come se qualcuno avesse passato uno strato spesso di vernice grigia per impedire che l’alba riuscisse a bucarlo.
Passato il ponte sospeso di Lughi Nova, dopo aver saltato l’ultima fermata dell’Iper, il bus, ormai lanciato, arrivò sul rettilineo della ex Alfa. Fosco era arrivato e con ben quindici minuti di anticipo. Provò sollievo: quel viaggio era finito. Si alzò per tempo e premette impaziente il pulsante di prenotazione della fermata. Si pregustava ora il caffè del bar.
Il bus, ubbidiente, quasi fosse stato contento, rallentò e accostò.
«La porta non si è aperta!» esclamò dopo un po’ Fosco che non riusciva a scendere.
Vedendo che le porte rimanevano chiuse, ripeté ad alta voce battendo sul vetro con la mano aperta: «guardi che devo scendere qui! Mi apra per cortesia!»
Poi tornò indietro accostandosi preoccupato all’autista.
Al posto di guida non c’era nessuno.
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40 pensieri su “Il bus n. 222

  1. I mezzi di trasporto che non sono controllati da noi (il treno, l’autobus, l’aereo…) possono, secondo me, essere una buona metafora dell’inquietudine, forse legata a un destino che non conosciamo. Mi vengono in mente due racconti: “Autobus notturno” di Horowitz e “Qualcosa era successo” di Buzzati. La strada, il viaggio, la ricerca dell’ignoto mi sembrano ottime ambientazioni.

  2. La storia sarà anche semplice ma l’ansia me l’hai fatta venire, per due motivi: 1) ho vissuto un’esperienza simile a Roma, sul tram, è stata allucinante e sono morta di paura, la centralina elettrica era andata in tilt e il tram è partito da solo…vabbè; 2) mi sono chiesta dopo aver letto, quanto l’uomo può aver paura di essere solo su questa terra? Quanto abbiamo necessità di essere giudati? E’ così importante essere puntuali o addirittura arrivare prima alla meta viaggiando in un mondo “arido” di visioni e sentimenti?

  3. se ci pensi bene è un racconto sì colmo al top di tensione, ma che vede positivo, dà speranza; e infatti F arriva da un ritardo a prima del previsto.
    Così invero accade quando nessuno è alla guida dei contradditori oscuri personaggi dentro di noi, quando- se c’è- un che di sano e misterioso, inserisce la guida automatica.
    Bello, e confortevole.

  4. Rimanere senza conducente…che stress…è come rimanere senza una meta…crea la sensazione di inappagato…ma in realtà il conducente di ogni persona sono le sue scelte…i suoi desideri…sono queste cose che spingono a trovare un senso…non so se mi spiego!!!
    E’ come se dicessimo che non c’è la luna…impossibile…al più c’è ma non la si vede…
    Comunque esistono metro e aereo guidati a distanza …telecomandati…quindi il protagonista non deve farsi prendere dal senso di angoscia e deve trovare la forza di ragionare nei momenti cruciali…il bus è telecomandato!!!
    SOGNI D’ORO!!!
    Ps: mi sono svegliata con la voglia di trovare una soluzione …i tuoi racconti mi spronano le meningi…ahahah

      • Non mi sveglio del tutto…diciamo che quando ho dei pensieri irrisolti…la notte mi assalgono e rimugino…questa cosa del bus senza conducente non mi garbava del tutto…mi dava un senso di angoscia…poi ho anche una reazione alla paura…cioè quando sono molto preoccupata ci dormo su. …a mente fredda si vedono più cose!!!

  5. Inquietante Briciola, come sempre, ma anche bello come sempre. Me lo immaginavo finisse così, ci avrei scommesso.
    (a proposito, bello anche il “dietro al racconto”)
    Buona serata.

  6. Quoto Isabella, l’atmosfera era molto da “ai confini della realtà”. Il tutto va inteso come complimento, ovviamente; e grazie per essere passato sul mio tanto nuovo quanto spoglio blog, scoprire il tuo è stata davvero una piacevole sorpresa, ottime letture di qualità che approfondirò molto volentieri.

    P.S. Lavorando sempre di notte, per un attimo mi sono riconosciuto nella voglia di andare a casa dell’autista turnante, anziché immedesimarmi nell’inquietudine del protagonista. Dici che è grave?

    A presto,

    Luca.

  7. I tuoi racconti mio caro spesso mi ricordano una serie televisiva a stampo fantascientifico che andava in onda tra gli anni cinquanta e sessanta. Anche se poi ci sono state altre edizioni.S’intitolava : ”Ai confini con la realtà”. un abbraccio e dimenticavo…sei bravissimo.Isabella

            • In questo specifico passaggio, se rileggi nel testo, proprio per mascherare il mancato scambio di autista, dico che Fosco guarda, non lontano, la fontana delle tartarughe, nel senso che si distrae. Si accorge solo che, a un certo punto, le porte si chiudono e il bus riparte. Poteva ben credere (e con lui il lettore) che l’autista subentrato fosse effettivamente alla guida.
              Ci sono stato attento perché sapevo che il punto era molto delicato e volevo assicurarmi la buona riuscita dell’effetto finale 🙂

            • Certo che l’ho notato quello specifico passaggio ma l’assenza di persone, come hai sottolineato quando alla stazione anziché il consueto corteo di pendolari non è salito nessuno e il bus sbatte le porte come angosciato, ho avuto la certezza che non c’era nessuno al posto di guida.
              Non so quanti hanno messo in correlazione le due cose ma di norma cerco di leggere con attenzione i passi di un racconto.
              Al di là di questo, la storia è veramente splendida e intrigante, degna del miglior Stephen King. Tanto per fare un’anologia mi ricordavo di Christine, la macchina infernale.

  8. Sono un utente abituale dei mezzi pubblici: essere il solo passeggero è inquietante e una delle mie paure riposte è addormentarmi e restare chiuso dentro al capolinea…😁

  9. Ps: mi incuriosisce sapere perché non hai cominciato il brano con era il
    (inserendo il giorno) di un …(inserendo il mese): si comincia così di solito!!!
    Lo vedi che non sei mai banale???

  10. Il racconto mi intriga…trascina nello stato d’animo di chi è inquieto e al contempo impaziente di vedere come va a finire…il metodico protagonista si
    trova di fronte a delle novità che non sa se potrà gestire…potrebbe essere il suo ultimo viaggio o un viaggio tra gli altri…chi lo sa??? Maestro nel lasciare intendere senza dare una risposta che imbrigli la fantasia!!!
    CIAO

  11. tre passeggeri per il 222 fa 666. ma forse non c’entra niente. d’altro canto, la matematica, quando è troppo in anticipo, viene assai spesso scambiata per un’opinione.
    : )
    il racconto è scritto bene ma non so: è come se Fosco fosse senz’anima (almeno rispetto ad altri tuoi personaggi). il che, magari, è solo la quadratura del cerchio…

  12. Eccolo! Il genere di racconto che preferisco!!!! Sono monotona, ma mi piace tantissimo quello che scrivi! Bravo Briciola!

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