Il rumore era stato forte, secco, improvviso. Era notte fonda e il silenzio lo amplificò. Padre e figlio si ritrovarono nel corridoio in mutande come per chiedersi di chi fosse la colpa. Ma lo scambio di occhiate che ne seguì face loro capire che il rumore proveniva da fuori. Il padre accese le poche luci esterne del casolare e, dopo essersi vestito con un pesante giubbotto imbottito, imitato in questo dal figlio, uscì. Sotto il fascio di luce della torcia gli alberi da frutto parevano volersi ritrarre nel buio infastiditi mentre il fumo bianco che usciva dalla stufa si era addensato intorno al comignolo a formare un fantasma incerto se volare via o scaldarsi al tepore del fuoco sottostante. La scena era irreale, trattenuta, vuota. Poi il rumore si sentì nuovamente. Padre e figlio capirono che proveniva dalla recinzione nord, quella rifatta alcuni mesi prima. Girarono l’angolo della casa, con circospezione, notando in lontananza qualcosa che si era incastrata nella rete: si muoveva. La luce non era sufficiente per capire di cosa si trattasse. Probabilmente era meglio tornare in casa e chiedere aiuto, pensarono entrambi senza dirsi nulla. Ma la curiosità ebbe la meglio e si avvicinarono. Qualunque cosa fosse, adesso aveva visto loro che si avvicinavano e stava raddoppiando gli sforzi per liberarsi. Dopo qualche passo, tutto fu chiaro: era un ragazzino. Sì, un bambino di dieci anni, vestito di una tuta da ginnastica leggera, un ghigno stampato sulla faccia. Aveva la testa al di qua della recinzione, così come la spalla sinistra e il braccio che protendeva inutilmente verso un tronchese caduto dentro la proprietà. Scalciava sul terreno per tirarsi in dentro o in fuori senza far alcun progresso. Un po’ imprecava, un po’ gemeva. La mano e il braccio erano graffiati, un rivolo consistente di sangue gli scendeva dalla fronte. L’uomo gli puntò la torcia in faccia.
«E tu chi sei?» chiese con il tono di chi non si aspettava una risposta.
Il ragazzino chiuse gli occhi abbagliato dalla luce; lanciò un insulto nella sua lingua incomprensibile, continuando a sforzarsi per uscire da quella situazione.
«Che facciamo papà?» fece il figlio che provava una sorta di confusa tenerezza.
«Potremmo fare un po’ di caccia grossa…» disse alzando il fucile che il figlio non si era accorto avesse in mano.
«Papà non scherzare, dai…»
Il padre per tutta risposta caricò l’arma e la puntò verso il ragazzino che urlò.
«E perché?» insistette l’uomo «posso sempre dire che, alle tre di notte, l’ho scambiato per un cinghiale «e poi, in fondo, è lui che è sul nostro terreno. E non ci dovrebbe essere…» e chiuse un occhio per prendere meglio la mira.
«Papà smettila, dai, non fare così!»
In quel mentre il ragazzino, come fosse stato risucchiato da una forza sovrannaturale sprigionata dal bosco alle sue spalle si sbrogliò dalla rete per posarsi bocconi un paio di metri più indietro sulla terra umida. Era infatti comparso, come materializzato dal buio, un uomo tozzo, vestito di scuro, con un cappellaccio che gli copriva metà del volto. Aveva afferrato per i piedi il bambino e lo aveva tirato a sé con tutte le forze. E ora, standosene ritto come per far valere le proprie buone ragioni, aveva preso a inveire contro padre e figlio nella stessa lingua sconosciuta del ragazzino, noncurante del fucile che adesso era puntato contro di lui. Un attimo dopo, l’uomo tozzo si prese il ragazzino ancora steso bocconi a terra e, caricatoselo su un spalla tale e quale un sacco di farina, sparì con ampi balzi nella boscaglia. Tutto si era consumato in pochi secondi tanto che, se non fosse stato per quel buco in mezzo alla recinzione, ci si poteva chiedere se fosse accaduto veramente.
«Non gli avresti sparato davvero, eh papà?» gli domandò il figlio che ancora stava tremando per l’eccitazione.
«Vieni, che è tardi…» gli disse sorridendo e mettendogli una mano sulla spalla. «Abbiamo ancora qualche ora di sonno davanti. Che poi dobbiamo andare a trovare la nonna al mare.»
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Bello ed amaro: come al solito con quel margine di incertezza. Siamo veramente capaci, noi umani, di sparare così facilmente ai nostri simili? L’istinto di dare aiuto dov’è finito? Non lo sappiamo, la conclusione è sospesa.
Che ansia! Ed era proprio quello che intendevi trasmettere… Mi è piaciuto, bravo! Se vuoi leggere qualche storia dai borghetti, seguici, magari ci ispiriamo a vicenda!
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Come sempre mi hai tenuto con il fiato sospeso fino alla fine che però l’ho trovata meno frastornante di altre. Questa volta a stupire e a permettersi di porsi domande (tante) era il mentre più che il finale. Scritto tutto divinamente. Bellissimo. Bravo Briciola.
Sempre pensato e ribadito che i finali sono il tuo pezzo forte del repertorio. Un saluto. Univers
Ti ho “linkato” mi piace nuovamente per far arrivare il brano nei primi cento…ho fatto bene? O non vale?
Vale il pensiero 😉
grazie!
Del resto molti padri di oggi non possono lasciare ai figli buoni esempi…peccato…ma il pezzo è proprio bello realistico
Ciao
Un finale glaciale come freddo era il padre pronto a sparare se solo il ragazzo avesse fatto un passo in avanti.
Geniale come al solito nello sviluppo e nell’esecuzione del finale.
Drammatico il padre col fucile che forse vuol sparare al bambino davanti al figlio. In America avrebbe sparato, probabilmente.
Temo proprio di sì
Ciao bellissimi i tuoi racconti… grazie per aver messo un li ke al mio post… a presto
Grazie a te
tutto d’un fiato… wow!
Scritto benissimo, complimenti! 🙂
Ho letto qualche commento e a quanto pare vado un po’ controcorrente, perché la parte del racconto che preferisco è l’inizio e in particolar modo mi è piaciuta un sacco la frase: “Padre e figlio si ritrovarono nel corridoio in mutande come per chiedersi di chi fosse la colpa.” la trovo semplice e diretta, molto evocativa. ^_^
In effetti anche a me sembrava simpatico. Ma forse Sandro fa riferimento, credo, alla forma (ma potrei sbagliarmi). E forse qualche ‘spigolo’ qua e là potevo toglierlo… 😉
Questo senza dubbio.
E non perché abbia picchiato il malleolo su qualche spigolo, ma perché sono dell’idea che ogni testo possa essere migliorato.
Però quella resta il mio pezzetto preferito ^_*
tecnicamente l’inizio è un pochino meno curato del solito. poi come sempre riprendi in mano il racconto e lo svolgi alla perfezione. il padre avrebbe sparato? si direbbe proprio di sì. ognuno ha i propri paradigmi da trasmettere ai figli e l’importanza del branco, della famiglia, del “proprio” sembra essere quello prevalente. il padrone di casa insegna al figlio a difendere la proprietà. il padre del ladruncolo lo spinge a rubare e poi lo salva. bel posto abbiamo costruito negli anni. fa pensare il tuo racconto. bravo
Armata di una bella tensione narrativa la tua storia. 🙂
non so perchè, ma sapevo che lo avresti concluso così questo racconto
La cosa più inquietante è quel dubbio espresso dal figlio, quell’angolo di non conoscenza dell’altro, anche di chi ci è familiare.
Forse il padre nella sua esperienza di vita aveva capito che era un demone…
L’inizio poteva essere una buona versione di A sangue freddo di Truman Capote dal punto di vista delle vittime.. io avrei continuato così.
A me a fatto venire in mente alcuni fatti di cronaca accaduti in questi ultimi mesi dalle mie parti e anche altrove.
ma povero ragazzino, bersaglio di doppia noncuranza
ciao
CIAO…inizialmente non mi piaceva il tuo racconto…era terrificante…e non capivo perché padre e figlio non se ne stessero rintanati in casa al caldo e al sicuro, chiamando le forze dell’ordine…poi dopo l’irrompere sulla scena del ragazzetto ferito non avevo capito perché non fossero spinti a soccorrerlo…meno male che il finale ha corretto il tiro…ci stavo rimanendo male…ottima la suspance…