L’annaffiatoio

annaffiatoio3Il bus arrivò frenando come se si fosse accorto all’ultimo momento di tutta la gente che era assiepata sotto la pensilina. La vettura era già strapiena e la gente era spazientita che il bus si dovesse fermare ancora per far salire altre persone.
«Ma va alla stazione questo bus?» chiese un’anziana signora al guidatore appena riuscì ad aver ragione del predellino. L’autista, con un berrettino da baseball calcato in testa alla rovescia, la guardò incuriosito. «Va alla stazione questo bus?» ripeté la donna pensando che quello sordo, dopo tutto, fosse lui. L’uomo, dopo un ampio sorriso, rispose: «sissì» e, chiuse le porte, accelerò come per guadagnare il tempo perduto.
«Che giro sta facendo?» fece un uomo robusto, incartato in una tuta arancione sporca di grasso.
«Il giro del 30! Che giro vuole che faccia, suvvia…» rispose una donna dall’età indefinibile con tono stizzito.
«Questo è il 25, non il 30!» annotò un ragazzo con capelli ricci così gonfi che ci avrebbe potuto nascondere una coppia di canarini.
«Ma si figuri lei se questo è il 25! E che non lo so bene io? Lo prendo tutti i giorni per andare dalla mi’ mamma, poverina, che l’è tanto ammalata…» incalzò la donna stizzita.
«Hanno diminuito le corse e le macchine di servizio…» sbuffò un uomo distinto con il trench mentre stava cercando di togliersi da una costola il manubrio di un passeggino. «Le vetture che sono rimaste fanno giri più lunghi… i numeri sono saltati tutti, non corrispondono più a nulla.»
«Ma certo! Di bene in meglio!» se ne uscì l’uomo dalla tuta arancione «e allora come si fa a sapere dove si sta andando?»
«Passa un po’ dappertutto e prima o poi passa anche da dove deve andare lei…» cercò di rassicurare l’uomo in trench.
«Allora io voglio scendere subito, facevo prima a piedi…» sbottò una donna dalla carnagione pallida agitando una busta della spesa da cui faceva l’occhiolino la testa di un astice. «Mi faccia scendere per favore!» urlò.
L’autista si aggiustò un paio di volte il berretto come volesse toglierselo di torno e, squadrando la donna pallida che nel frattempo, facendosi largo tra i passeggeri, gli aveva messo sotto il naso l’astice, le rispose sorridendo: «sissì
«Insomma ci faccia scendere!» gridò un uomo che si trovava in fondo al bus vedendo che la vettura neppure rallentava. Istericamente si associarono altre persone mentre una ragazza giovane si mise a piangere e una donna a battere con l’ombrello contro le porte.
Poi, dopo qualche minuto di totale confusione, il bus inchiodò in pochi metri come un mustang avrebbe fatto incontrando un serpente lungo il sentiero. Le porte si aprirono e la vettura si svuotò in pochi attimi.
Era una giornata radiosa, il cielo azzurro sembrava imprestato da una mattina d’alta montagna: l’aria era profumata e dolce come un abbraccio.
«Ma dove siamo?» chiese l’anziana signora ad alta voce voltandosi tutt’attorno. Davanti a sé, a perdita d’occhio, si apriva un prato infinito di un verde morbido e rassicurante. Era aperta campagna e la città era da qualche parte, lontana, sotto forma di un’idea astratta. Nel prato, diverse persone chiacchieravano tra loro godendosi la temperatura mite, altre avevano un annaffiatoio in mano e, passeggiando, davano l’acqua in alcuni punti dell’erba.
«Cos’è questo posto?» chiese l’uomo in trench con gli occhi che gli brillavano. Una donna dalle lunghe trecce bionde, che si trovava di spalle, si girò:
«Benvenuti, questo è il posto degli arcobaleni» fece lei accompagnandosi con un largo gesto della mano destra.
«Il posto di cosa?» chiese il giovane dai capelli ricci.
«Sì, qui si coltivano arcobaleni e si esportano in tutto il mondo. Si mette nell’erba questo seme colorato qui» e lo tirò fuori dalla tasca del grembiule mostrandolo a tutti quasi fosse una pepita «lo si piazza nell’erba e lo si innaffia. Dopo qualche giorno nasce un arcobaleno.»
«Ma io devo andare a lavorare, non ho tempo da perdere con queste stupidaggini…» sbottò l’uomo in trench voltandosi per tornare al bus che però era sparito.
«Non sono affatto sciocchezze, cosa dice?, e poi anche il suo capo ufficio è qui, così come del resto tutti tuoi colleghi: è arrivato persino il commendator Caliendo» fece con tono avvolgente.
«Sì, ma se me ne sto qui non posso andare a lavorare» protestò ancora l’uomo in trench «e se non lavoro non pago il mutuo. E poi cosa do da mangiare ai miei figli? Gli arcobaleni? A meno che a venderli non si faccia un mucchio di soldi…»
«Gli arcobaleni non si vendono affatto, sono gratis ovviamente: com’è divertente, lei. Comunque non si deve preoccupare, sono qui anche i suoi figli e pure sua moglie… sono in attività già da qualche ora e sono bravissimi, sa?» disse la donna allungando l’annaffiatoio verso l’uomo. «Provi, provi anche lei, è molto facile e i risultati sono garantiti.»
In quel mentre un arcobaleno dai colori nitidi e potenti sgorgò alle loro spalle da un punto dell’erba creando un arco ampissimo che sparò luce colorata nel cuore del cielo. L’uomo in trench rimase a bocca aperta.
«Sì, va bene, ma non si può mica rimanere qui per sempre…» obiettò la donna, un po’ meno stizzita, che si era fatta avanti piazzandosi davanti a quell’altra signora il cui astice si era nascosto nel fondo della busta «tanto l’autista fa il giro che deve fare e prima o poi torna qui, vero? Che c’ho la mi’ mamma poverina che l’è tanto ammalata.»
«La sua mamma è attesa in giornata. Se aspetta qui, la vedrà presto. E comunque gliel’ho chiesto anch’io, all’autista, prima che ripartisse, se sarebbe tornato…» rispose la donna dalle trecce bionde.
«E cos’ha detto, eh? Cos’ha detto?» domandò l’uomo in trench che raccolse finalmente dalle mani della donna bionda l’annaffiatoio.
«Mi ha guardato incuriosito e mi ha sorriso.»
«E poi?» chiesero tutti in coro.
«Mi ha detto ‘sissì’.»
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28 pensieri su “L’annaffiatoio

  1. Potrà sembrare un po’ cinico ma…: per fortuna che io prendo la macchina per spostarmi. Voglio dire l Angelica donna dai biondi capelli e il caro autista di autobus non conoscono il senso del termine CONSENSO!? Sotto un velo di apparente paradiso dove tutti sono felici si nasconde l’enorme egoismo di un atto fatto non solo senza la volontà di chi lo subisce la anche l intenzione di tenerlo nascosto fino al amara sorpresina il che è una sorta di prevaricazione stile “DECIDO IO PER TE”. Insomma per quanto un luogo paradisiaco di pace e armonia dove tutti annaffiano arcobaleni possa sembrare bello magari qualcuno preferisce restare alla sua vita di rotture di palle (chiedo perdono per il francesismo) in fondo anche ripetere la stessa azione per sempre non è forse una rottura? Tanto vale restare dove si è senza salire sul autobus

    • Prima o poi ci si ritrova in una situazione in cui non si è in grado di poter decidere, non dipendendo da noi. Purtroppo non si può controllare tutto anche perché racconto è, in fondo, una metafora.

  2. casualità magnifiche. Torna Rodari ed io, vecchia signora, sono nel bel mezzo del suo Novelle scritte a macchina… in questi giorni mi apre una finestra verso la fantasia e la speranza. proprio come il tuo racconto che, oggi, con tutto quello che sta succedendo a Parigi, mi aiuta a proiettarmi oltre, nel futuro, nel mondo della ragione fantastica. Il paradiso può essere qui, se ci svegliamo . Grazie e Buona Domenica, comunque

  3. Ciao…credo si intravveda nel tuo brano, ben narrato, la voglia di attaccarsi a cose positive…ed anche il sissi dell’autista ha il sapore di chi non ha voglia di spiegare…ma mira a tirare avanti la carretta, come si suol dire:..

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