Il terzo pulcino

pulcini«Mamma, mamma, Guendalina ha fatto i piccoli.»
La bambina aveva un largo sorriso sulla faccia e scuoteva il braccio della madre sotto le coperte. La donna, il corpo stravolto dalla febbre di quei giorni, non riusciva neppure ad aprire gli occhi.
«Mamma, hai capito? Guendalina!» La madre alla fine borbottò qualcosa e si girò da un lato per continuare a dormire.
«Cosa devo fare? Fa freddo nel fienile…» insistette imperterrita la figlia.
«Adesso mi alzo e ti faccio da mangiare…» farfugliò dopo qualche attimo la donna senza muoversi. La bambina, com’era entrata, se ne uscì con la stessa irruenza. Ci pensò su qualche secondo, quindi andò in bagno, prese un catino di plastica e corse nel fienile; predispose sul fondo della paglia e ci piazzò prima la gallina e poi i pulcini pigolanti. «Qui dentro starete benissimo, vedrete…» e con il suo fagotto prezioso entrò in casa posizionandolo con cura a una certa distanza dalla stufa. Si allontanò per vedere se tutto andava bene, quasi fosse stato un quadro da terminare, e ne fu soddisfatta. La preoccupava però, per la verità, il terzo pulcino che aveva un aspetto strano; era implume, il corpo più scuro degli altri, un principio di becco più lungo. E se ne stava in silenzio.
«Mamma mamma, c’è un pulcino venuto male, cosa ne facciamo?»
«Venuto male?» fece la donna, la voce impastata, credendo di aver capito male.
«Sì, Guendalina ha fatto un pulcino tutto nero ed è proprio brutto… è uno straccomunitario
«Ma no, che dici? E poi si dice extracomunitario. Sarà piuttosto un brutto anatroccolo, quello della favola» fece lei, di rimando, cercando di chiudere il discorso.
Quando più tardi si alzò per andare in cucina, gettò un’occhiata al suo catino per la biancheria pulita. «Forse è un piccolino di Ambrogia» disse sforzandosi di non rimproverare la bambina.
«Ambrogia?» chiese interessata la figlia.
«Ma sì la pavonessa di Adelio, il nostro vicino. A volta capita che le mamme non abbiano di che dar da mangiare al proprio nato e così lo imprestano a un’altra, perché ci pensi lei.»
«Farai anche tu così quando non ti vorrai più curare di me?»
La madre si bloccò guardando severa la figlia: «Non mi sono forse alzata apposta per farti da mangiare, nonostante l’influenza?» domandò lei spazientita non vedendo l’ora di tornarsene a letto.
«E così tu sei Ambrogino…» osservò la bambina cambiando discorso, con le mani dietro la schiena e allungandosi su di lui. Il piccolo sembrava capire perché alzò il capino spintonando gli altri pulcini da un lato, forte della propria stazza il doppio della loro.
Un’ora dopo, la madre si era coricata nuovamente mentre la bambina sorvegliava la covata. Il pulcino nero pareva cresciuto ancora, tanto che la gallina si era messa in un angolo del recipiente per fargli spazio. Il becco di Ambrogino era diventato adunco e la pelle del corpo coriacea e tesa, zampe robuste uscivano da sotto la pancia bombata mentre sul dorso si stavano formando ali nervose e nerborute.
«Diventerai proprio un bel pavone» concluse la bambina che si ripromise quella notte di non andare a dormire nel suo letto. Mise dei ciocchi di legna nella stufa e, spenta la luce, si coricò tutta eccitata sul divano tirandosi addosso una coperta.
Nel cuore della notte la svegliarono alcuni rumori. Provenivano dalla covata. Si stava per alzare per curiosare quando vide che dal fondo del catino si era levata un’ombra dell’altezza di non più di un metro. La silhouette nervosa, disegnata dal fuoco della stufa, era curva e gobba. L’ombra si guardò attorno, sospettosa, come se solo allora si rendesse conto di dove fosse. La bambina non riusciva a vedere gli occhi di quella creatura ma sentiva le sue pupille addosso come aculei avvelenati. Si schiacciò contro il divano per nascondersi meglio. L’ombra allora si scosse appena lanciando nell’aria un suono strozzato come di un vitello che fosse caduto in un pozzo e stesse annegando. Si scrollò violentemente come per espellere dell’acqua dal corpo; dispiegò invece due ali enormi, membranose, che colavano a terra un muco vischioso. Un vento gelido pervase la stanza. Con due colpi secchi del becco la creatura mangiò i pulcini e quindi afferrò con gli artigli la gallina. Poi spaccò il vetro della finestra e sparì nella campagna.

19 pensieri su “Il terzo pulcino

  1. Oh madre! Povera bimba…. il suo Ambrogino non era proprio ciò che sembrava… ma come ti vengono? 😀 Riesci comunque sempre a tenermi incollata al monitor. Buona giornata.

  2. Ciao briciola…..il brutto anatroccolo ribaltato….che paura! Mi dispiace per la chioccia e gli altri pulcini…ma almeno alla bambina non è successo niente di male, naturalmente, a parte lo spavento. Racconto super! complimenti

  3. Ho capito che ti piacciono i racconti terrificanti…da piccolo ti immagino come un bimbetto curioso e fantasioso a cui i grandi si divertono a raccontare aneddoti per impaurirlo e vedere come sgrana gli occhi attonito!!!
    Io per esempio avevo terrore del buio e anche adesso non riesco a dormire se non ci sta un filo di luce…quindi questo pezzo non è dei miei preferiti, per il finale…altrimenti la descrizione della bimbetta intelligente mi sarebbe piaciuta molto…ma il finale non lascia di buonumore davvero! CIAO

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