Intese

handsApparve nella luce della porta come un ologramma. Si sforzava di sorridere ma il sonno gli intorpidiva ancora il cervello, adagiato com’era su una nuvola di ovatta arruffata. Lei, dopo trent’anni di matrimonio, sapeva quanto fosse difficoltoso quell’approccio con il mondo dei vivi, e si limitò a rispondere agitando la mano destra in senso di saluto. Poi lui, ciabattando, andò ad accendere il bollitore dell’acqua e, appena entrò in dispensa per prendere la busta del caffè, lei si alzò e attaccò la spina del bollitore; lui rientrò per cercare sul lavello la tazza che gli serviva e lei, nel frattempo, sgattaiolò nella dispensa per sostituire la busta del cioccolato, presa per sbaglio, con quello del caffè; giusto in tempo per dargli in mano la tazzina che aveva di fronte al naso e non vedeva. Succedeva così ogni mattina. Tanto che si era sempre chiesta cosa accadeva veramente quelle volte in cui lei usciva di casa prima.
Dopo una decina di minuti di silenzio, venato dai soliti suoni soffusi del risveglio, lei provò:
«E allora per quella cosa lì, cosa hai pensato di fare?»
Lui la guardò con ostilità. Cercò di ricordarsi come si faceva ad articolare le parole chiedendosi se doveva necessariamente rispondere o poteva far finta di non esserci. Poi pensò che la seconda alternativa non era più praticabile. Si arrese.
«Vado e gli dico quel che devo dire…» fece lui in un solo sbuffo mangiandosi con i canestrelli alcune consonanti non necessarie.
«E per quell’altra faccenda là…?» insistette lei, implacabile, visto il successo del primo tentativo.
«Vedremo!» rispose sbrigativo. Poi, pentendosi di essere stato troppo brusco: «Parlerò con… con Coso…»
«E se ti dice…»
«Allora a quell’altro non dico niente, così magari non se ne ricorda…» disse meravigliandosi di sentire la sua voce più chiara e sonora. Nel frattempo lei gli aveva messo accanto i tre barattoli di formato e colore diverso delle tre medicine che doveva prendere.
«Tu che dici…?» fece lui guardando la tazza del caffè come fosse ancora un oggetto misterioso «e se vado in quel posto che sai e incontro quell’altro lì…?»
«Ti riferisci a quel Tizio dell’altra volta?»
«No non quello lì, ma quello dell’altra volta ancora, che ha detto quella cosa che poi tu…»
«Ah quello!»
«Esatto, quello…»
«Gli dici che hai parlato con… con Birillo, come caspita si chiama,… e che sei pronto per cosare… anche a costo di…»
«E se lui…?»
«E se lui… allora gli dici così e cosà…»
Lui assentì con gravità. «Va bene» concluse spostando indietro rumorosamente la sedia. «Mi vado allora a vestire.»
«E se passi dalla farmacia ricordati di comprarmi…»
«Sì, certo, spero solo di ricordarmene… e ti prendo, visto che ci sono, anche…?»
«No no, per ora ne ho abbastanza…»
«D’accordo.»
«Ti ho preparato sul letto il vestito buono.»
«Come il vestito buono? Non ti sembra esagerato? Pensavo di andarci come vado di solito…»
«Con i jeans luridi?»
«Non sono luridi… lo sai bene.»
Poi, prima di uscire dalla stanza, lui si voltò e, scuotendo la testa, disse: «Io e te proprio non ci capiamo più.»

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47 pensieri su “Intese

  1. Bellissimo questo racconto: la sintesi di una vita assieme: le parole ad un certo punto diventano superflue, ci si capisce attraverso altri linguaggi. Bello il tuo blog : un po’ alla volta lo esplorerò. Grazie.
    Francesco.

  2. Tra i blog che seguo, il tuo sicuramente è tra i più interessanti da un punto di vista contenutistico. Ho scelto di leggere questo racconto perché mi intrigava il titolo, argomento che nell’ultimo periodo mi tocca moltooo da vicino. Io vivo (in tutti i sensi) di comunicazione, tuttavia penso che questa abbia dei limiti che sopraggiungono laddove l’intesa arriva. Due amici, due amanti, due (e basta) ad un certo punto – se i loro sentimenti sono sinceri – non hanno più bisogno di dirsi tante cose: basta uno sguardo, un atteggiamento a completare un discorso… Buona domenica!

  3. E’ anziano, si accorge di star perdendo la memoria e non vuole farlo capire. Lei lo sa, lo ha capito, fa di tutto per non mortificarlo e cerca di aiutarlo come può.
    Mi è piaciuta la riflessione su lei: “che si era sempre chiesta cosa accadeva veramente quelle volte in cui lei usciva di casa prima.” Già, il caffè fatto con il cacao e chissà cos’altro.
    Molto bello questo racconto, mi ha ricordato gli ultimi due anni di vita dei miei vecchi e mi fa pensare a come sarò io fra qualche anno.

  4. Sembra un linguaggio criptato eppure scorre là dentro una cammino insieme che non si cura più nè di cercare vocaboli nè di dar senso compiuto a una frase. Loro due si bastano, sono già “oltre” dove uno sguardo o una mano che tiene quella dell’altro valgono parole e parole che, inutilizzate, restano accatastate come pile di vecchi giornali.
    Complimenti Briciolanel latte 🙂
    un abbraccio
    Affy

  5. Ho pensato che l’indeterminatezza con i puntini fosse dettata da un disegno di “eutanasia” quindi di una suspense da trasmettere in quanto non ravvisavo dimenticanze (daltronde gli prepara un vestito collegato ad un uscire, vezzo di donne precise di un tempo). Ritrovo alla fine un brontolio pronunciato come prassi. Dirsi frasi un pò fuori le riga è una grossa liberazione e costanza di rapporto se è possibile farlo! grazie della piacevole lettura.

  6. Vedo una grande intesa tra loro, proprio come chi ha vissuto tanto tempo insieme. Quando è così ci si legge nel pensiero e ci si capisce al volo. Il marito forse è un po’ annoiato, quando risponde a sua moglie. Brontola un po’, perchè non vorrebbe cambiarsi, lo fa sicuramente per abitudine. Nel racconto trapela anche l’amore come chi dopo tanti anni insieme non ci si può far senza l’uno dell’altro. Buon pomeriggio 🙂

  7. Eh si…le rose selvagge richiedono cura ed attenzione…vanno annaffiate di tanto in tanto…
    CMQ il succo del discorso è che l’intesa intellettuale non va pretesa ma ricercata anche nei gesti quotidiani…senza forzature!
    Ciao…

  8. Un dialogo che fa tenerezza, perché, quando la memoria si spegne, c’è un vuoto da colmare che lei lo fa con intelligenza per farlo sembrare vivo.
    Bellissima è la frase finale ‘Io e lei non ci capiamo più’.

  9. Io lo leggo invece come una bella storia di amore, condivisione, complicità. I due si capiscono al di là delle parole, si leggono nel pensiero, giocano la danza della routine in modo perfetto perché sono in sintonia. E anche l’apparente insofferenza finale del marito sembra più una battuta dovuta ai tanti anni di vita insieme che non il suo vero pensiero. Uno non sopravvivrebbe all’altro.

    • Bravissima, è proprio così.
      Quello che volevo scrivere (se poi io non ci sia riuscito è un altro discorso) è un brevissimo frammento di una grande storia d’amore, come ce ne sono del resto tante in tante misconosciute realtà quotidiane.
      I due coniugi, in là con gli anni, per affetto, consuetudine, complicità si capiscono con gli sguardi e con l’esperienza della vita consumata insieme. Intavolano tre/quattro discorsi diversi comprendendosi perfettamente, prendendo decisioni importanti, senza neppure la necessità di specificare alcunché o di scendere nei particolari.
      Un estraneo che fosse presente non capirebbe nulla, come il lettore del resto, perché i due personaggi parlano un loro ‘codice’ di intesa tra loro condiviso dalla vita in comune (non è un caso infatti che il titolo del racconto sia ‘intese’ e non, che so, ‘incomprensioni’).
      L’ultima frase è dettata dal fastidio che ha l’uomo di mettersi in ghingheri quando non ne aveva intenzione, ma l’uomo non dice veramente ciò che sembra e soprattutto non è quel che pensa. L’ultima frase è messa lì per esaltare, per contrasto, il tema centrale della profonda reciproca comprensione. Lui sostiene che lei non la capisce, in realtà solo perché non gli permette di vestirsi male, ma sa che ha ragione e che alla fine farà proprio come dice lei.
      Il racconto, non sembra, ma è molto ottimista perché schiaccia l’occhio a una profonda intesa d’amore.

  10. Una fine non bellissima mio caro. In fondo noi donne se anche dopo trent’anni cerchiamo di far uscire di casa impeccabile la nostra metà è solo perchè amiamo farlo. Non c’è amore nella frase finale nè riconoscenza. Peccato perdersi. Un abbraccio e buon week end. Isabella

  11. In effetti non vedo una grossa intesa…i discorsi sono lasciati i sospeso…come nel caso in cui non si hanno le idee chiare!
    Meglio in questi casi cercare un hobby accomunante…ad esempio coltivare le rose…eheheh

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