Una voce lontana

scalaDapprima nel dormiveglia l’aveva percepito come un mormorio indistinto, come se qualcuno, seduto sul tetto di casa sua, stesse biascicando qualche frase alla luna. Si rigirò tra le coperte non prima di aver dato un’occhiata alla sveglia sul comodino. Si rincuorò: era ancora molto presto ed era improbabile che qualcuno si trovasse sul suo tetto qualunque cosa stesse biascicando. Si riaddormentò. Dopo qualche minuto gli arrivarono, a ondate, altre mezze parole quasi lanciassero dalla strada in ogni direzione suoni attutiti come aeroplanini di carta a volteggiare incerti nella brezza dell’alba. Si mise seduto sul letto. Non lo aveva colpito questa o quella parola che ancora non capiva, ma il tono di quella voce. Era secco, grave, gelido. Non stava consigliando o sollecitando, stava piuttosto comandando e la voce vibrava dall’emozione, dalla paura, forse persino dal panico. Il cuore gli si mise a battere velocemente. Si vestì di fretta mentre nella penombra il corpo addormentato di lei disegnava una figura mitologica; decise di non svegliarla; indossò il giubbotto pesante e uscì in giardino. Tutto taceva sulla terra addormentata. Poi, da sotto i cespugli di lauroceraso, strisciando, la voce tornò. Era un altoparlante montato su un’auto. Sì, sì, o qualcosa di simile. Stavano facendo il giro delle vie del paese cercando di raggiungere anche le case isolate della periferia, come la sua. Ma cosa stava dicendo? Afferrava solo mozziconi del discorso: ‘fate attenzione…’, si sentiva, e, dopo un po’, ‘… in caso di… si raccomanda…’ e anche un ‘fino a nuovo ordine…’ Ogni volta, proprio quando stava per comprenderne il significato compiuto, la vettura voltava per un’altra via disperdendo la voce nell’aria che l’assorbiva come per non lasciarne traccia. Attese ancora un po’, nel respiro freddo di quella mattina che stentava a disegnare i contorni delle cose. Le luci nelle villette dei vicini, quasi fosse una risposta, si presero ad accendere una dopo l’altra, stagliandosi come occhi sbarrati nella semioscurità. Sentì vociare, anche alcune grida. Forse loro si erano già resi conto. Ma cosa stava succedendo? Aspettò, l’orecchio teso, il cuore che rimbombava nella gola; l’auto sembrava sempre lì lì per imboccare anche la sua strada, ma poi la voce finiva per provenire da qualche altra parte per andare chissà dove. E non era neppure una registrazione. No. Era un uomo che parlava a braccio. Ogni tanto si interrompeva, come per dominare la propria agitazione. Si riprendeva, a tratti, per darsi coraggio.
Rientrò in casa, preso dall’ansia che gli montava incontrollata. Accese la televisione per vedere se davano qualche notizia, ma non c’era segnale. Comparivano i soliti puntini a neve e il rumore fastidioso del fuori sintonia. Anche il telefono era staccato. Avrebbe acceso la radio l’avesse avuta. Si ricordò di quella nella sua macchina parcheggiata nel box. Uscì di nuovo. Nel frattempo aveva preso a piovere. Una pioggia dritta, puntuta, violenta. No, nessun segnale neppure alla radio. Si avvicinò al cancello di casa a reclamare una spiegazione. Udì il vicino, in fondo della strada che sbatteva con forza la porta di casa. Si sporse sulla via e fece appena in tempo a scorgerlo che correva via trascinando la figlia piccola per la mano. La bambina piangeva. ‘Cosa è successo, Nello?’ gli gridò sotto lo scroscio di pioggia, un paio di volte, mentre sparivano come fantasmi sulla provinciale. Si voltò, sconsolato, verso casa. Doveva svegliare la moglie e pensare al da farsi. S’incamminò spedito, ma vide che c’era davvero qualcuno sul suo tetto. Erano diverse persone. Tutte vestite di scuro, il volto coperto, qualcosa di luccicante in mano. Ora anche loro avevano visto lui. Poi un fischio lacerante spaccò in due il cielo e fu tutto buio.

29 pensieri su “Una voce lontana

  1. Rieccomi. Grazie per i tuoi commenti e il tuo ricordo. Son felice di essere tornata. Volevo solo lasciarti qui il mio saluto e farti i complimenti che noto meriti sempre.

  2. Bella la tensione che riesci a creare. Quanto al non aver finale sta bene. La tensione della prima parte è sufficiente.
    Buona settimana.
    banzai43

  3. e chi o cos’erano se non incubi dell’insonnia, dominanti sul “tetto” e sull’insonnia degli incubi… o qualcosa del genere… ma comunque molto belli i tuoi racconti come al solito

  4. Ahahah…eureka ho capito tutto: sono arrivati gli invitati mascherati per la festa di carnevale: a sorpresa scendono dal tetto!!! Moglie e marito diranno che sono travestiti da zombie (tanto per la paura il colorito pallido c’è!).
    Ahahah …scherzo per sdrammatizzare!

  5. Bello, ma non ho capito… Cercavano lui? Cioè… era lui quello da cui tutti dovevano guardarsi, fino a nuovo ordine?
    Ma forse sono io che pretendo di far quadrare sempre tutte le storie (contrariamente che nella vita…)

    • Ho immaginato una (massiccia) invasione esterna (non importa in fondo sapere quale) per fuggire alla quale le Autorità, attraverso l’altoparlante, sollecitavano la cittadinanza a tenere alcuni determinati comportamenti. Per il protagonista del racconto (e per sua moglie) era già troppo tardi…

      • La cosa interessante è che di solito i protagonisti sono quelli che sopravvivono per raccontarlo, invece questa è la breve storia del ‘Guardiamarina Linch,’ che muore nella seconda scena di tutti i film. Sempre molto originale!

  6. Secondo me la moglie voleva già autonomamente procedere a qualche denuncia…perché si era stufata di essere infastidita da cretini!
    E’ così se risolve ogni problema!
    Ahahahah

  7. In un crescendo di ansia e agitazione la voce narrante descrive la sua fine. Chissà chi erano gli uomini sul tetto. Credo che tu abbia rappresentato come una comuine persona, svegliatasi nel cuore della notte cerca di tradurre in parole rumori e suoni indistinti, finchè non ne rimane vittima.

  8. Mi è piaciuta molto questa descrizione:”Le luci nelle villette dei vicini, quasi fosse una risposta, si presero ad accendere una dopo l’altra, stagliandosi come occhi sbarrati nella semioscurità.”

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