L’Albero della Pace

C’era stata persino una cerimonia sontuosa. Le piantine erano quattro ed erano state sistemate, per ciascun punto cardinale, entro le mura della città, in celebrazione del Giorno mondiale della Pace.
Quale pace?, si era chiesta Rina, osservando quell’andirivieni confuso di autorità e di forze dell’ordine di fronte al suo negozio di passamaneria. Con tutte le guerre che ci sono anche in questo momento sul pianeta! Comunque, un po’ di attenzione attorno al suo esercizio non poteva che farle piacere. Se non fosse stato che la piantina in questione era a crescita rapida. Già l’anno successivo, infatti, l’albero aveva assunto un rilevante portamento, rubando luce, aria e spazio al suo negozio su cui incombeva. Con quello che si pagava di affitto! Subito protestò sommessamente, tra i denti, e poi, visto che riceveva solo frasi di circostanza e alzate di spalle, cominciò a scrivere. Prima alle autorità cittadine, quindi, via via, allargandosi finanche al Presidente della Repubblica. Le rispose, dopo qualche mese, solo un ufficio sconosciuto di non si sa quale ente che le comunicò, con tono burocratico-saccente, che non solo non si poteva fare nulla, vista l’importanza simbolica della pianta, ma che si trattava anche di una rarissima strigifolia pentateuca hybrida, sicché avrebbe dovuto sentirsi onorata di poterla vedere tutte le mattine, dovendosi semmai prodigarsi per difenderla e proteggerla. Rina per un po’ si fece andar bene quella risposta, ma quando si accorse che la chioma dell’albero stava coprendo l’insegna luminosa del suo negozio andò su tutte le furie. Era orgogliosa di quella scritta recante, da tre generazioni, il nome della sua famiglia e che, visibile a distanza di centinaia di metri sin dall’altra riva del fiume, era un punto di riferimento per l’intera cittadinanza sin da quando c’era l’elettricità. No, non poteva andare avanti così.
«Ci penso io» le disse Tizzullo, il ragazzino tuttofare che in negozio si occupava dei lavori più semplici. Rina non volle saperne di più. Si limitò a sorridergli e a fargli un vago cenno di sì con la testa. Conosceva la testarda determinazione di quel ragazzo, educato dalla strada e padrone, da tempo, dei propri pensieri.
Dopo qualche giorno, un mattino, il telefono squillò in casa. Riconosceva bene ‘quel’ tipo di squillo. Il telefono lo sa quando porta cattive notizie e accompagna la chiamata con un suono che ha sfumature sinistre. Rispose che aveva il cuore in gola. Tizzullo, incaricato di alzare al mattino la saracinesca del negozio e di pulirlo prima della sua apertura, la invitava a venire a vedere. Subito.
L’albero si era ispessito visibilmente nel tronco; le radici ora affioravano gonfie di vita dal marciapiede che si era fessurato in più punti; dalle stesse radici erano nati polloni rigogliosi pronti a ‘buttare’ nuovi getti. Rina rimase a bocca aperta.
«È tutta colpa mia» sentì dire. Tizzullo non osava guardarla in faccia. «Ho versato alla base dell’albero quattro flaconi da 3 litri di candeggina. Evidentemente devono aver sbagliato prodotto. Era del fertilizzante…»
Dovrò metterci rimedio io, si disse. Capitava sempre così. Quando il problema sembrava irrisolvibile era lei che ci doveva pensare. Così, nottetempo, versò, sempre alla base dell’albero, una tanica di cherosene tiepido. Le avevano detto che era una toccasana per bruciare anche la radice più forte e ribelle.
La mattina seguente il ragazzo non la svegliò. Un ottimo segno, pensò. Lungo il tragitto per andare in negozio, si sentiva leggera, rasserenata, soddisfatta. L’albero ci avrebbe messo un po’ a sentire quel liquido, ma la sua sorte era segnata. Nessuno avrebbe sospettato di lei e avrebbero dato la colpa all’inquinamento o alla siccità o a chissà quale altro accidente.
Poi arrivò al negozio e alla vista dell’albero ammutolì. Un ramo aveva spaccato la finestrella sopra alla porta entrando all’interno e agganciando un pilastro come per tirarlo via, un altro si era infilato nell’infisso della porta scardinandola, un terzo si protendeva minaccioso verso il bancone.
«Tizzullo! Tizzullo!» chiamò la donna insistentemente. «Dove sei?» urlò arrabbiata.
Nessuno rispose. Alzò gli occhi verso l’imponenza delle fronde della pianta sempre più imperiosa. Avrebbe potuto giurare che là in mezzo, nel fitto delle foglie, ci fosse una larga macchia rossa che prima non c’era.

23 pensieri su “L’Albero della Pace

  1. Un caro saluto, e anche se non riesco a leggere tutto con calma, adoro i racconti, specie sulla natura, gli alberi, mi è sembrato piuttosto interessante, ma appena posso voglio leggere meglio, i tuoi racconti meritano . Baci e grazie sempre dei tuoi passaggi. 🙂

  2. Scritto bene e più realistico di quanto si possa credere: a una mia conoscente è capitato con un ficus beneamina, quello a foglie larghe, piantato davanti casa. Le radici prima si sono impossessate del marciapiede e dopo stavano arrivando dentro.

  3. Potrei occuparmene io, amorevolmente. Con tutte le cure che prodigo alle piante o seccano o annegano….a seconda delle istruzioni che i giardinieri mi danno e che seguo, scrupolosamente! Bravo, molto carino; ormai però, leggendoti, comincio a indovinare i finali prima di leggerli.

  4. Quell’albero aveva un’anima, come la pace. Alla guerra dichiarata di Rina lui ha risposto come si doveva: la pace doveva estendersi di lato e in alto.
    Sempre avvincenti sono i tuoi racconti.

  5. ma Quale pace? ha ragione Rina. beh, forse l’albero era stato piantato a est della casa affinché la pace in qualche oscura maniera potesse abbracciare l’intero paese, etc. etc. certo oscurando il negozio di Rina, certo simbolicamente, certo ignorandolo per il resto dei 364 giorni, ma a rami estremi estremi rimedi eheh

  6. non cerco una morale nei racconti, mi faccio catturare e basta…ma qualcosa resta , dentro, e comunque hai il dono della narrazione inventiva!

  7. Bè però, come si coglie dal brano, la pace nel mondo va incoraggiata e al contempo la cattiveria nelle cose quotidiane può prolificare…peccato che molte persone facciano così!

  8. Ahimè …non vorrei essere io l’albero…mi piace la descrizione minuziosa…ma la tua precisione secondo me amplifica la sensazione di tortura a cui è sottoposto l’albero…(mi sono immedesimata e mi è già uscito un foruncolo…eheheh):CIAO!

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