All’ombra delle camelie

camelliaEra la quarta pianta che gli moriva. Questa volta gli dispiaceva ancora di più vista la cura che ci aveva messo. Saverio si era fatto persino consigliare da un giardiniere e aveva effettuato approfondite ricerche su ciò che sarebbe stato più adatto per quel punto del giardino. Alla fine aveva optato per una bella camelia. Per qualche mese aveva avuto anche l’illusione che avesse attecchito ma poi, al termine dell’estate, nonostante le regolari annaffiature, si era improvvisamente seccata. E ora Saverio era lì che la osservava come volesse interrogarla. Forse c’è qualche infestante nel terreno che attacca le radici, concluse tra sé e sé. Bisognerà cambiare la terra.
Così si armò di carriola e vanga e si mise al lavoro. Non era passato un quarto d’ora che la vanga toccò qualcosa di resistente. Ecco, pensò, un sasso. Per forza non cresce nulla: le radici non possono espandersi. Proseguì nello scavo cercando di delimitare l’oggetto, accorgendosi, però, dopo qualche attimo, che si trattava di ben altro: era una robusta botola in ferro incastrata tra mattoni pieni. La ripulì ben bene e l’alzò: un pozzo artesiano di poco meno di un metro di diametro si spalancò alla sua vista. Si sporse per apprezzarne la profondità, ma il buio là sotto era denso e la luce del sole, oramai quasi al tramonto, sembrava esserne risucchiata. Neppure il fascio di luce della torcia ebbe ragione di quella spessa oscurità. Ma Saverio voleva sapere se ci fosse o meno l’acqua: gli avrebbe fatto comodo disporne per il prato. Prese così una lunga canna di bambù e con quella cercò di toccare il fondo. Niente. Poi ne legò due e quindi tre insieme e finalmente lo avvertì. La scala in alluminio per la potatura delle querce sarebbe bastata. La calò lentamente fino a quando non la sentì appoggiarsi sul solido. Scese con circospezione munito della sua torcia. L’odore di muffa era molto acre e lo aggredì immediatamente alla gola mentre l’aria stantia lo faceva respirare a fatica. Era tentato di tornare indietro, poteva essere pericoloso. La necessità di saperne di più, però, l’ebbe alla fine vinta. Una volta arrivato sul fondo trovò tuttavia solo terra e sabbia, oltre a strani funghi grigi e a sassi: era tutto asciutto; freddo, ma asciutto. Smuovendo il terreno alla ricerca di una traccia consistente di umidità fece capolino una specie di scatolina di plastica verdastra con un’antennina e un unico bottone. Che strano oggetto, pensò. E premette il pulsante. Con sua grande sorpresa si accese subito una spia azzurra che, accecandolo, inondò il pozzo; dovette pure aver gridato per lo spavento perché, dopo un po’, ancora si avvertiva tra quelle pareti di cemento il rimbombo di un suono cupo. Risalì in superficie deluso. Lo incuriosiva però la scatolina che aveva portato su con sé: pareva un giocattolo d’altri tempi. La foggia era quella di uno dei primi telecomando per macchinine elettriche ma mancavano altre leve e potenziometri; forse più verosimilmente era un giocattolo per bambini molto piccoli e serviva solo a quello: ad accendere la luce azzurra. Curioso però che dopo tutti questi anni funzioni ancora, pensò.
In quel mentre il cane del vicino prese ad abbaiare, come spesso faceva a ogni ora del giorno e della notte. Certo sarebbe bello che questo coso servisse a far azzittire i cani molesti o quantomeno a fargli abbassare il volume, si disse. E schiacciò ancora il pulsante del telecomando puntandolo in direzione dell’abbaio. Un silenzio improvviso sembrò dilagare tra gli alberi e le case. Era da tempo che non sentiva più niente simile. Non è possibile, pensò osservando il dispositivo nelle sue mani. Non ci credo. Subito dopo, però, il cane riprese il suo latrato sgradevole con più lena di prima e il telecomando volò nell’aiuola delle ortensie.
In quell’istante, poco lontano, due donne si incontravano nella via:
«Ciao, Carla, hai visto per caso mio marito? Doveva essere qui a potare le rose, ma vedo che qui ci sono solo le forbici…»
«Non ti preoccupare, Gina. Magari è andato al bar per un caffè con il mio Arturo, perché non trovo più neppure lui.»

28 pensieri su “All’ombra delle camelie

  1. Mi piace moltissimo quel tuo modo tutto personale di “svoltare” dal solito racconto breve… sei sempre originale, acuto nei tuoi sviluppi…

  2. Saverio è davvero un tipo curioso e un po’ spericolato. Certo che il suo telecomando è magico. Zittisce i cani molesti (voglio anch’io quel telecomando) e fa sparire gli umani.
    Chiisà dove li avrà cacciati?
    Coinvolgente e intrigante è questo pezzo che si legge con piacere e tutto d’un fiato.

    • Forse perché ‘Ai confini della realtà’ è stata la serie che più seguivo da piccolo. Ne ero affascinato.
      Anche se a rivederli ora quei telefilm hanno perso molto il loro smalto. Sono molto lenti e a volte un po’ forzati, ma sempre validi.

  3. Ahahah …che il telecomando muova i mariti farebbe troppo ridere…penso che i due mariti si erano ricordati che c’era la partita e avevano smesso di fare giardinaggio…altro che telecomando…ahahah..

  4. Potare le rose richiede tempo e fatica…non è roba per chiunque…eheheh
    Mi piace la fantasia e l’acume che esprimi in ogni narrazione!

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