Transfert

ventorossoLo so, tanto non mi crederete.
Ma ve lo voglio raccontare lo stesso.
Tutto è accaduto all’ora di punta, quando alla stazione Rilke della linea rossa della metro sono sceso per prendere la linea blu. Le persone che erano sulla banchina, per timore di non riuscire a salire, hanno ostacolato come al solito quelle che cercavano di scendere. E così sono volate parole e spinte e qualcuno si è fatto male. Io. Appena arrivato sul marciapiede, mi sono accorto che avevo un lungo taglio sulla spalla sinistra. Perdevo sangue, ma nulla che un po’ di cotone e del comune disinfettante non potessero curare. Almeno così mi pareva. Solo che nei giorni successivi si è formato un edema di un brutto colore rosso cupo, molto dolente al tatto. Al pronto soccorso mi hanno fatto l’antitetanica e prescritto un ciclo di antibiotici, ma il medico, scoprendo appena alcuni denti con un mezzo sorriso obliquo, mi ha detto che secondo lui si trattava di una coltellata e che doveva fare la denuncia ai carabinieri: del resto, ha continuato, non ci si poteva aspettare niente di meglio se si andava in giro al sabato sera a ubriacarsi nei bar.
Sulla via di casa ebbi un violento giramento di testa; per non cadere mi appoggiai al muro di un edificio. Ed è stato quello il momento in cui che c’è stata la prima avvisaglia. Toccando la parete sentivo non solo la superficie ruvida, ma anche la sensazione di essere io stesso quel muro e, ancor più, di essere la casa che c’era attorno. Avvertivo cioè le vibrazioni dell’oggetto in sé, nella sua autonomia strutturale; sentivo il suo lamentarsi per una tubatura che perdeva e per un tegola rotta sulla falda a nord del tetto. Ho ritirato subito la mano, spaventato, perché la sensazione che era passata attraverso le mie dita era stata potente, quasi una scossa. In quei pochi attimi ero diventato ‘quella’ costruzione e la mia pelle era come se avesse coperto l’intero oggetto.
Davanti alla mia porta d’ingresso, la sensazione, terribile e stordente insieme, si è ripetuta usando la mia chiave. Ero ancora una volta divenuto quell’oggetto, quelle dentellature rovinate, quel pezzo di metallo lavorato distrattamente da una donna con i capelli rossi che non sapeva di portarsi in grembo una nuova vita di pochi giorni.
Con il trascorrere delle settimane la ferita guarì, ma i transfert, come avevo incominciato impropriamente a chiamarli, erano diventati più intensi. Non avvertivo sensazioni diverse, ma solo una maggior difficoltà a ‘tornare indietro’, a essere me stesso, dopo che smettevo di toccare le cose. Anche se avevo imparato a tenere i guanti e a controllare in qualche modo quello strano fenomeno, diventavo ogni giorno più dipendente dal desiderio, anzi, direi dalla smania di viaggiare negli oggetti, di entrare in sintonia, che so, con un albero, un libro e persino un gatto.
Dopo un’esperienza particolarmente dissociante con la prima pioggia di primavera sono rimasto diversi mesi tranquillo stando bene attento a cosa toccassi. Il senso di profondo abbandono e di annichilazione che da ultimo avevo provati mi avevano seriamente preoccupato. Ma poi non ho resistito. Ero sul crinale di una montagna e godevo di un paesaggio che mi estasiava per l’ubriacatura da infinito che mi allagava il cuore. Non ci ho pensato un attimo. Senza neppure l’intralcio di un pensiero mi sono tolto i guanti e ho imposto le mani aperte contro il soffiare della brezza. E così sono diventato Vento. Mi ha raccontato di quanto fosse blu lo specchio d’acqua incastonato tra le Due Cime del Lagazuoi, mi ha riferito dei sussurri delle foglie rugginose di vite giù a valle in attesa del sole, mi ha detto della nuova cucciolata di volpe nell’incavo di un carro abbandonato e di tante altre storie dolcissime e terribili che fuoriescono dai camini delle case insieme alle scintille del fuoco. Ma da allora non sono più riuscito a tornare indietro. Sono rimasto vento o, meglio, il mio corpo è ancora lassù da qualche parte sulla montagna, a vivere finché potrà senza cibo né acqua; ma il mio spirito è diventato brezza e un sussurrar di foglie e un scompigliar di spighe e io sono loro e loro sono me.
Ecco, come temevo, avete fatto proprio quella faccia lì.
Tanto lo sapevo che non mi avreste creduto.

77 pensieri su “Transfert

  1. e così tu sei diventato vento per raccontarci tutte queste storie dolcissime e terribili e fu allora che ti fermasti a PoggioBrusco o fu molto prima?

  2. Transfert è un meccanismo mentale inconscio che avviene quando viviamo sensazioni o sentimenti in un particolare momento vissuto nell ‘ infanzia o altrove…non l’avevo mai visto prima. Spero di provarlo anche io un giorno. Bei racconti ^_^

  3. Passo dopo una lunga asenza dal blog e leggo con piacere questo post interessante e intrigante. Una metamorfosi lenta e inesorabile. Una coltellata ha dato il là a questa carrellata di sensazioni, di trasformazioni finchè il nostro protagonista si è potuto liberare di tutti i lacci e diventare libero come il vento.
    Ottimo

  4. Descrizione dettagliata delle sensazioni attraverso gli oggetti, o ciò che si ha intorno.
    Mi è piaciuto molto la parte finale quando attraverso il vento sente ogni cosa..
    Ciao Chiara

    • Hai proprio ragione. Il vento ti fa ascoltare i suoni del mondo, ti avvolge, ti coccola, ti fa sentire i suoi profumi e la sua forza. L’ho avvertito così in Normandia, proprio a Deauville: selvaggio stordente; ma ancora più in Camargue dove l’aria è colorata di fenicotteri rosa e cavalli sfuggenti.

  5. Mi piacerebbe toccare il mio cane e, per una volta, sentire e pensare quello che prova lui; avvertire le “vibrazioni” nella sua “autonomia strutturale” …cioè quello che prova annusando in giro, guardandomi con i suoi occhioni, raspando l’erba. Bravo Briciola!

  6. Mi spiego meglio: penso che la coltellata rappresenti una cosa che ti ha toccato nel vivo, forse ferendoti…ma che il vento in cui dici di esserti trasformato rappresenti uno stato di forza che hai raggiunto!
    BELLO ANCHE IL TITOLO CHE RENDE L’IDEA DEL PROCEDERE!
    Il dottore che scopre alcuni denti con un mezzo sorriso obliquo è una bella immagine molto realistica di chi ha la certezza cruda che fuori dal pronto soccorso si può morire…e una volta dentro sei al sicuro!

  7. Ciao…ti credo…ti credo…ho come l’impressione che tu abbia materializzato una coltellata fisica intendendo far riferimento ad una ferita dell’animo…(una delusione per aver confidato e dato fiducia forse immeritata) e che successivamente nel brano tu abbia smaterializzato una cosa concreta rappresentando con il vento l’imperturbabilita’ raggiunta…Grazie per la lezione di vita …che forse non volevi dare ma che ame sembra di aver ricevuto!

    • Sì, è passato tutto, grazie. E’ bastato un maalox.
      Quanto alla coltellata non può che essere stato Mortimer Marafioti, il mio mortale nemico. Quando ne avrò le prove mi prenderò la meritata rivincita…

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