Era in ritardo

traintracksEra in ritardo, come spesso gli capitava. Ma questa volta il tempo lo aveva perso nel preparare meticolosamente la valigia. Voleva essere certo di non dimenticare nulla. L’occasione di quel viaggio era troppo importante: poteva essere la svolta della sua vita, l’inizio di una nuova esistenza ed era elettrizzato anche solo all’idea.
Mentre trascinava con affanno il trolley lungo la strada, Tobia si accorse di quanto stesse ansimando. Si era davvero così appesantito? Faceva proprio così poco movimento? O era l’agitazione della giornata? Aveva comunque messo da conto, come buon proponimento, che con il nuovo lavoro si sarebbe concesso per sé più ampi spazi. Era un posto di responsabilità, quello, e doveva mettersi in forma; il tempo, del resto, era dalla sua.
Entrato in stazione, si indirizzò subito al tabellone elettronico più vicino. Era spento. Soffocando un’imprecazione si girò su sé stesso alla ricerca di un altro display funzionante, ma si accorse, solo in quell’attimo, che l’atrio era completamente vuoto. Nell’ora di punta di un giorno trafficato, come lo era ogni lunedì, non c’era nessuno. Com’era possibile? Raddrizzò la valigia e un sudore freddo si impossessò della sua schiena. C’era tutt’attorno un silenzio appiccicoso, come una vernice densa spalmata sulle cose. L’erba si stava riappropriando dei binari e alcuni gatti si contendevano chissà cosa sulla pavimentazione sbrecciata della sala, ingombra di macchinari arrugginiti come soldati pietrificati in una roccaforte abbandonata. Non c’era dubbio: avevano trasferito la stazione da qualche altra parte e lui non ne aveva saputo niente. Maledisse quel suo vizio di estraniarsi dal mondo intero. E ora? E ora avrebbe potuto anche perdere il treno! Quel treno!
Si precipitò di nuovo di corsa verso l’uscita intercettando un signore di mezz’età con una divisa scura. Avrebbe chiesto a lui le informazioni di cui aveva bisogno. L’uomo, vedendolo arrivare, lo anticipò:
«Lei, scusi, com’è entrato qui?»
«Senta, io devo prendere assolutamente questo treno» fece sventolandogli il biglietto sotto gli occhiali argentati non curandosi della domanda che gli era stata posta. «Mi dica subito per favore dove hanno spostato la stazione… Ma che si sposta una stazione ferroviaria così?»
Il vigilante prese con calma dalle mani il cartoncino che gli era stato allungato e si aggiustò la montatura degli occhiali riposizionandola esattamente nello stesso punto del naso.
«Come fa ad avere questo biglietto?»
«In che senso? L’ho comprato, per via telematica. Come faccio sempre tutte le volte. Perché?»
«Perché non li fanno più così, e da tempo sa?… E poi il suo biglietto è per un treno di trentacinque anni fa…»
«Ma cosa dice?»
«È scritto qui, sul suo titolo di viaggio, non lo vede?… E la stazione ferroviaria l’hanno spostata molto più a nord, verso Alvona; saranno oramai cinque anni.»
L’uomo si era ammutolito.
«Lei quel treno, l’ha perso… oh sì se l’ha perso!» sorrise il vigilante pensando di aver fatto una battuta.
A Tobia, a poco a poco, riaffiorarono tutti i ricordi. Sì, quel treno non l’aveva poi preso. Aveva rinunciato all’ultimo momento a quell’allettante offerta di lavoro, e non si ricordava più neppure perché. Non aveva avuto il coraggio necessario e quell’occasione non si era ripresentata; era rimasto al paese dove si era ingrigito e immalinconito rammaricandosi per sempre di quella sua avventata decisione.
E si mise a piangere, senza riuscire più a smettere.

27 pensieri su “Era in ritardo

  1. Pingback: L’ultimo treno | Milocca - Milena Libera

  2. Intrigata da quel “Navigare con attenzione, il blog si sbriciola facilmente” (didascalia che mi piace interpretare come essenza del tuo blog, a prescindere dall’effettivo significato attribuitole), nonché ammaliata dalle risposte argute, quasi folgoranti, date in “F.A.Q”, rimango basita di fronte a un testo del genere: nella sua semplicità, disarmante.

    Non mi resta che proseguire.

    Grazie,

    B.

  3. “Tobia aveva paura di trovare qualcosa che non conosceva e per non correre quel rischio ha accettato la certezza di non trovarla”… così ossessionati dal rendersi conto di avere il tutto in una componente d’effimero, dopo essermi corrosa, lascio andare; è l’unico modo per trattenere; è l’unico modo per vivere: accettare.

  4. Ma il trolley e il biglietto elettronico c’erano già 35 anni fa?….ahahah…invidia o ho sbagliato per la seconda volta stazione? Complimenti per l’atmosfera e per la piroetta che Tobia compie in sala d’attesa…dà un gran movimento ciao

    • Osservazione molto intelligente.
      In realtà in un primo momento avevo avuto l’idea di ambientare il racconto a 35 anni a partire da oggi, vale a dire in un futuro prossimo venturo. Poi, nello scrivere la storia, non ho più sviluppato questo profilo che, irrilevante ai fini narrativi, è rimasto del tutto inespresso. In effetti, eliminando il riferimento al biglietto elettronico (che 35 anni fa, quando i computer erano ‘quasi’ sperimentali, ovviamente non esisteva) il senso non muta.
      Grazie per il tuo commento.

    • Cakkio no, non è mia.
      E’ una gentile concessione del web.
      Cerco di mettere delle belle immagini così il lettore, distratto da loro, diventa più indulgente per ciò che legge.

  5. Ciao, ti seguo da poco, ma i tuoi racconti mi piacciono davvero molto! Ti ho nominato per il Lovely Blog Award, spero ti faccia piacere! 🙂

  6. “e poi non li fanno più così”…che ASSOLO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

  7. Bravo, hai reso bene l’idea che l’unica cosa di cui si deve aver paura è di perdere non di trovare: Tobia aveva paura di trovare qualcosa che non conosceva e per non correre quel rischio ha accettato la certezza di non trovarla: MI SENTO ATTANAGLIATA: FORSE NON DORMIRO’: DICO DAVVERO…QUESTO BRANO MI CORRODE…lascia un qualcosa di irrisolto…mi piace…anche semi terrorizza…e poi come sei stato crudele a fargli pagare pure il biglietto…on line…ovviamente…e quello si che è riuscito bene…peccato che manca la stazione…ahahaha …un tocco di cattiveria sottile e pungente!

  8. Surreale…anche un po’ inquietante.Un sogno svanito troppi anni fa viene ripescato nella memoria e in un cassetto con un biglietto di viaggio.Una illusione che si tenta di far rivivere per forza.Ma il treno non aspetta nessuno e parte all’ora prevista.Il passato non ritorna indietro.Un bel messaggio per gli indecisi!Non male.

  9. Bel racconto ,che triste per Tobia rendersi conto che quel treno che ha lasciato andare via trentacinque anni fa non tornerà più …..penso sia meglio sbagliare che avere rimpianti….
    Buona domenica

  10. Bisognerebbe essere coraggiosi, in ogni senso per non arrivare al momento dei rimpianti.
    Ma spesso perdendoci in arzigogolii arriviamo a quel treno troppo tardi e non lo vorremmo ammettere.

    sherapioveesiamonuovamenteinunapiccolaprimavera

  11. Per Tobia il tempo si era cristalizzato trentacinque anni prima. E’ un brusco risveglio il suo! Hiqa giocato con maestria e abilità su questo aspetto della vita di Tobia, conducendo il tuo lettore esattamente dove volevi tu: sulla frase finale che vede Tobia disperato, perché ha compreso di aver rinunciato per paura a prendere il treno del cambiamento. Adesso è troppo tardi.

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