La Biennale e la bambina

opera di Silvana Brunotti

Il laghetto – Olio su tela – Opera di Silvana Brunotti

«Ti piace?» chiese ponendosi accanto a lei e contemplando lo stesso quadro appeso al muro.
La bambina, che non poteva avere più di dieci anni, indossava jeans sbiaditi e una maglia di lana blu che metteva ancora più in risalto il pallore lunare del viso ovale; due occhi verdi galleggiavano profondi in una cornice di riccioli rosso mattone che le arrivano fin sopra le spalle. Senza distogliere l’attenzione dal quadro, lei sospirò:
«Mi fa sentire a casa.»
La tela ritraeva un paesaggio montano, dai colori tenui e caldi: il prato era di un verde improbabile, ma era solcato da una stradina piena di brio che portava a una casupola con gerani ai balconi e tendine alle finestre seminascosta da querce massicce.
«È un’opera di Spartaco Vela» rivelò l’organizzatore compiacendosi. «È di pregio ed è molto suggestivo.»
«Sì, lo so» rispose la bambina decisa, accendendosi in un sorriso che illuminò la spolverata di lentiggini sul naso.
Poi l’uomo venne chiamato da un artista che lo aveva preso amichevolmente sotto braccio trascinandolo lontano. Succedeva spesso in quei primi giorni di apertura della Biennale d’Arte pieni di frenesia e concitazione: gli stand erano affollati da artisti provenienti da ogni parte del mondo in una babele cacofonica di complicata e delicata gestione, temperata, per fortuna, dall’andirivieni tranquillo di appassionati entusiasti e semplici curiosi.
Il giorno dopo, nel momento preciso in cui lui si stava sorbendo un meritato caffè, al riparo di un divisorio di cartongesso che avrebbe dovuto garantire un po’ di privacy, la bambina gli apparve all’improvviso come un fantasma.
«Ma come le è venuto in mente di vendere il Vela?» lo investì con voce alterata, il labbro inferiore a tremarle di rabbia e i pugni chiusi lungo il busto proteso verso di lui.
«Come dici, scusa?» fece l’organizzatore non riconoscendola lì per lì.
«Il Vela, mi ha venduto il Vela! Adesso che faccio?»
L’uomo, che finalmente aveva messo a fuoco sia la bambina che il quadro, allungò l’occhio verso la parete dove la tela era stata appesa. C’era in effetti uno spazio vuoto e un cartello che avvisava essere stata rimossa. «A dire il vero, non l’ho venduta. È venuto il proprietario a riprendersela perché la cornice si era pericolosamente incrinata… e se l’è riportata a Melbourne» sorrise lui buttando giù il resto del caffè.
«A Melbourne? Santo cielo! Non si poteva fare più lontano? Lei proprio non capisce!» continuò la bambina indicando lo stesso spazio vuoto dietro le spalle «io ci abitavo lì; quella era la mia casa… e adesso? Ho ancora tutte le mie cose là dentro, senza contare che non so più dove andare…»
L’uomo rimase senza parole temendo di aver capito bene. La bambina, a dire la verità, gli era sembrata strana fin dal primo momento che l’aveva intravista, ma ora quella discussione stava scivolando un po’ troppo sul surreale: e non sapeva proprio cosa aggiungere. Il suo prolungato silenzio fu però malamente interpretato dalla bambina come indifferenza per il suo grave problema, tanto che quella scosse la testa in una nuvola di boccoli rossi che continuò a rimanergli impressa nella retina, anche quando se ne fu andata.
Ma, a parte quel particolare contrattempo, i giorni della Biennale scorsero veloci e proficui. Era stato un successo, al di là di ogni aspettativa. Molte le opere esposte divenute oggetto di proficui dibattiti e critiche lusinghiere, molti i contatti allacciati anche con mercati stranieri, più che soddisfacente il riscontro di pubblico. Poi, come sempre accadeva, era ben presto arrivato il momento di chiudere i battenti.
«È proprio strano…» sbottò un giovane, con la scritta arancione di una ditta dietro la schiena, staccando dalla parete un quadro da imballare.
«Cos’è che è strano?» fece l’organizzatore avvicinandosi.
«Quando ho appeso queste tele, una decina di giorni fa, avrei giurato che il quadro pesante fosse un altro…»
«Pesante? C’era un quadro pesante? In che senso?»
«Sì, ho pensato fosse la cornice, ma poi ho visto che era di plastica, insomma… non saprei spiegarmi meglio… Ora quel quadro, per la verità, non c’è nemmeno più, come mi accorgo adesso, in compenso c’è quest’altro che ho in mano e che pesa lo stesso tanto, mentre quando l’ho trasportato qui non lo era affatto. Proprio non mi torna.»
Quelle parole fecero sobbalzare l’organizzatore.
«Il quadro che hai trovato pesante e che ora non c’è più era per caso un Vela?» domandò lui che non voleva credere che stesse facendo proprio una domanda simile.
«Sì, forse…»
L’uomo raccolse la tela dalle mani dell’operaio; aveva ragione: era piuttosto pesante per essere un quadro di grandezza normale; poi l’osservò meglio. Raffigurava un paesaggio morbido e romantico e, ai margini di un laghetto, una villetta di campagna. C’era una luce accesa, là dentro.

* * * * *

 La Biennale d'Arte a Firenze
Firenze
Fortezza da Basso
30 novembre – 8 dicembre 2013

http://www.florencebiennale.org/

44 pensieri su “La Biennale e la bambina

  1. BRAVOOOOOOOOOO!!! La conosco la bimba rossa: è la cuginetta d’oltreoceano dei lillipuziani di ‘Elisa’!!!!! Certo, la situazione là è un po’ più stabile 😀
    Come dicono i bambini: Giochiamo che erano cugini?

    Se ti piacciono le mie sturiellett, ogni tanto riesco ad aggiornare e a postarne una.

  2. Veramente notevole! Inquietante la bambina dai capelli rossi che vive nei quadri. Sembra molto più matura dei suoi dieci anni.
    Al di là di questi commenti banali, ho trovato il racconto veramente stupendo sia per il taglio sia per il finale con la luce accesa dentro il quadro.

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