Parole

paroleIl dottore entrò nella sua stanza e si sedette alla scrivania come se la coppia non fosse davanti a lui. Si schiarì un paio di volte la voce continuando a guardare i referti che aveva in mano senza in realtà vederli veramente.
«Come diceva quel tale…» fece l’altro uomo, ben curato nell’aspetto, sulla cinquantina, deciso a interrompere quel silenzio imbarazzante «…non mi risulta che una cattiva notizia migliori tacendola.»
La moglie accanto a lui, la borsetta in bilico sulle gambe, era seduta sul bordo della sedia; fece un cenno leggero del capo in segno di assenso.
«È vero, mio caro amico, non c’è un buon modo per comunicare una cosa del genere» rispose il medico sentendosi vigliaccamente sollevato. «È presto detto: hai un cancro molto aggressivo al pancreas e tre mesi di tempo, forse meno, per mettere a posto le tue cose. Non sai quanto mi dispiaccia, Matteo.»
Una persona può reagire in tanti modi a una notizia del genere. Matteo, una lunga carriera di professore di lettere alle spalle, dapprima non disse nulla e poi, lunga la strada di casa, improvvisamente, nell’abitacolo angusto dell’auto, declamò:
«Cefalosporine…» la moglie, che stava guidando pensierosa, sobbalzò. «Propriocettivo, sì, propriocettivo, parallattico e poliptotico… ma anche enosictòno…» insistette.
«Ma cosa stai dicendo Matteo? Smettila, mi fai paura…»
«Argheifonte, ecolalico, pleromico, anapestico…»
La donna inchiodò nel traffico rischiando di essere tamponata. «Cosa ti prende? Smettila, Matteo, ti prego, smettila…» e si mise a piangere.
L’uomo si acquietò come se quel pianto rassegnato, che ben conosceva, l’avesse risvegliato; dietro di loro un frastuono di clacson si era levato imperioso.
«Non mi succede nulla, Tesoro» disse a voce bassa, rassicurante. «È che penso a quante parole non ho mai usato nella mia vita per non averne avuto l’occasione e a quante parole non avrò più modo di pronunciare. Ce ne sono di strane, di meravigliose, di terribili. Ognuna con un suo suono armonioso, una sua cadenza precisa, una sua intima capacità evocativa… Perdonami, Anna. Perdona questo mio ultimo vezzo.»
La moglie lo guardò con tenerezza, lo accarezzò, e riprese la strada di casa.
Ma i tre mesi passarono in fretta. E dopo aver pronunciato migliaia di parole inusuali, desuete e anche rarissime, Matteo si rifugiò nel suo letto, senza più forze. Aveva smesso di parlare, non mangiava, né dormiva più; il viso, raggrinzito e smunto, era rivolto cereo verso la finestra che dava sulla città indifferente. Aspettava.
«Non hai più parole poco usate o mai pronunciate ancora da dire?» gli chiese la moglie che voleva strapparlo, anche se solo per un attimo, da quel torpore che la terrorizzava. «Sono sicura che se ti sforzi, ne trovi delle altre.»
Il marito si girò verso di lei e annuì in modo che a lei parve persino sproporzionato per quel momento, come per sottolineare che sì, aveva proprio ragione, ce n’erano delle altre. Deglutì a fatica, due o tre volte, ma la saliva non passò; poi, con un fil di voce, mormorò:
«Ti amo». E spirò.

55 pensieri su “Parole

  1. Molto bello, toccante. Porta a riflettere sulla qualità che diamo alla nostra vita e all’istante prima di morire. Credo che i pensieri e l’emozione che mi ha scuscitato questo racconto li porterò con me per un po’. Grazie Briciolanellatte

  2. Una grandissima idea, ma il finale non so…insomma Briciola, l’idea dell’uomo che spende gli ultimi sui tre mesi di vita ad assaporare le parole che non è mai riuscito a pronunciare, è dirompente.
    Una specie di dichiarazione di amore, questo sì, alla letteratura, alla cultura, alla goduria del sapere, all’eterno invece che all’effimero…e poi però?
    Non so.

  3. Ciao! 🙂 come sempre mi congratulo con te per la tua magnifica scrittura. E ti avviso che ti ho aggiunto su twitter e facebook. Se passi da me, sul mio ultimo post ho anche scritto il perchè ho aperto questi 2 account ^_^ Su twitter sono Daisy Dust e invece su FB ho il mio vero nome Margherita Dentico. Ciaooooo!!!

  4. Trovo originale quelle parole incomprensibili e sopratutto il senso di prendere coscienza (purtroppo alla fine) di quante parole (magari non rivolte agli altri) siamo stati avari. Grazie e buona giornata di parole innovative!!

    • Non ci avevo mai pensato, Anna. Cerco sempre di dare spessore, tridimensione e carattere al personaggio, ma alla dignità non ci avevo mai pensato. Forse, è una conseguenza di questa ricerca di attenzione: il personaggio uscendo dal chiaroscuro riesce ad acquistare una sua ‘onestà di presenza’. E ora che me lo dici è una cosa molto importante anche per me.

  5. Bellissimo (o bellerrimo, a scelta) racconto.
    Solo, a differenza della maggior parte dei commenti, non trovo affatto sia un finale triste. Appurato quale dato di fatto che il finale è sempre e per tutti la morte, il contesto in cui in questo racconto essa si manifesta mi ha ispirato una profonda sensazione di serenità.
    Spero di non vedere la mia Amata spirare prima di me. Qualora accadesse, però, oltre ad augurarle la minor sofferenza possibile, egoisticamente,auspico che le ultime parole mi rivolgerà saranno proprio quelle.

  6. Che tragico lieto fine! In quello ci speravo proprio.
    Una cosa sorprendente è la trovata delle parole nuove. Contagiosa! Vado anche a cercare il significato. Non si sa mai 😀

  7. Li aspetto con ansia i tuoi racconti, perché ne arriva uno ogni tanto (mentre altri blogger cui sono ‘abbonata’ me ne scodellano anche uno al giorno) e li leggo d’un fiato…Non e’ la casella da liberare, e’ un piacere…
    E poi pur essendo abbastanza particolari le storie che racconti sono plausibili, conosco uno che potrebbe essere giusto il protagonista di quest’ultima…

  8. Veramente toccante, verosimile, straziante, ma incredibilmente bella. Hai sempre questo tuo modo scorrevole e sorprendente di scrivere. L’ho letta a mia moglie e ha pianto. Hai colto nel segno. Complimenti
    Nicola

  9. Le parole… sono utili o inutili. Dipende dal contesto. matteo, anziché disperarsi nel leggere quelle parole sul referto, pompose e tanto inquietanti, si accorse che le sue conoscenze erano infinitamente più piccole di quello che pensava.
    Così per esorcizzare la prognosi infausta comincio a cercare e pronunciare mille parole, che sarebbero state inutili a fermare il decorso della malattia, mentre con quel «Ti amo» fiinale pronunciò le uniche parole utili della sua breve vita.
    Come al solito sei molto bravo nel costruire le storie.

    O.T. Sto iniziando a preparare il calendario di Dicembre, come al solito ti riserverei la treza domenica del mese, il 15 dicembre. Va bene?

  10. Forse il senso di sicurezza che le parole forniscono a chi le conosce, hanno il fascino dell’inutilità , come certi articoli di antiquariato, non servono, ma vengono acquistati a vario titolo, per motivi riconducibili al fascino che essi emanano.
    Arrivati alla fine del vocabolario, quando ormai nulla ti affascina ormai, puoi solo pronunciare le parole più semplici, ma le più piene e nel contempo quelle che contengono tutto il fascino del mondo : “TI AMO”.
    Un abbraccio e grazie, il racconto e molto bello.
    Giancarlo

    • E’ vero, come dici tu: sono le parole più semplici, piene e nel contempo quelle che contengono tutto il fascino del mondo, ma anche quelle che il protagonista, alla fine, si era accorto di aver detto con molta parsimonia alla compagna della sua vita. Ed era il momento, tra le tante parole inusuali, di rimediare.
      Grazie Gian per il tuo commento

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