Oltre il cancello

case nell'acquaAveva preparato lo zaino con molta cura. Il sacco a pelo, la tenda canadese, la batteria da cucina. Era il primo vero viaggio da solo, all’estero, dopo la maturità. Due settimane di libertà sfrenata.
«Mi raccomando telefona appena puoi» gli disse la madre accarezzandolo. Lui continuava a spuntare la lista che aveva preparato e annuiva senza ascoltare una parola. Dal tono della voce della madre, si capiva benissimo che erano solo raccomandazioni e che non valeva la pena ascoltare. Il padre era invece sprofondato nella sua solita poltrona d’angolo. Al di sopra del quotidiano ondeggiava il filo dell’eterna sigaretta. Si sarebbe alzato solo alla sua partenza.
Quando, zaino in spalla, si chiuse finalmente la porta dietro di sé l’aria gli sembrò più pulita, il sole più brillante e le sue sneakers arancioni ancora più comode. Si gustò quei pochi metri di vialetto che lo separavano dall’avventura oltrepassando il cancello con una certa solennità. La madre era dietro alla tenda della cucina che lo stava spiando e anche il nano Brontolo, da sopra il gabbiotto del gas, lo guardava incuriosito e, come al solito, corrucciato. «Sì» disse il ragazzo accarezzandolo sulla testa «mi mancherai anche tu.»
L’idea era di andare a Parigi. Si era accordato via mail con un bouquiniste del Pont Neuf per vender libri per mezza giornata. Così si sarebbe mantenuto all’ostello conservandosi un po’ di tempo per girare la città. Ma, giunto a Parigi, trovò la postazione chiusa per lutto. Vi ritornò i giorni seguenti, ma la serranda era sempre abbassata. Grazie a Ian, un olandese conosciuto all’ostello così biondo da sembrare bianco di capelli, venne assunto come aiuto cameriere in un ristorante del Marais. Fin da subito però ebbe delle grane con Marcel, un lavapiatti corso convinto che, dopo tanta gavetta, il posto in sala sarebbe spettato a lui; così non c’era giorno che non gli facesse dei dispetti o non lo trattasse male. Alla fine della prima settimana, sugli scalini del Sacrè Coeur, conobbe Helèna, un’inglesina bruna tutta pepe che si trovava a Parigi per un corso da vetrinista; in poco tempo si trasferì da lei in un monolocale umido dalle parti di Place Blanche e stettero insieme fino quando lei non dovette ritornarsene a Londra. Dopo l’ennesimo litigio con Marcel, che una sera, non visto, lo minacciò con un coltello a serramanico, il ragazzo accettò l’invito di Ian di seguirlo, insieme al fratello, sino a Den Haag, in Olanda, dove giunsero non senza qualche peripezia su uno scassatissimo pulmino. Da qui, dopo qualche giorno, passò a Gand e poi a Bruges, in Belgio, e quindi, rintracciata Helèna, se ne andò in autostop fino a Londra. La ragazza lo introdusse nell’ambiente della moda, dove venne preso come fattorino e tanto gli bastò per visitare Londra e persino Liverpool sulle tracce dei Fab Four.
Insomma, doveva star via due settimane ed era rimasto all’estero due mesi. Aveva visto un mucchio di belle città, conosciuta tanta gente, anche strana, e aveva persino venduto la tenda, il sacco a pelo e le scarpe per avere un po’ di soldi in tasca: però ce l’aveva fatta. Le infradito erano davvero scomode per fare chilometri, soprattutto perché costate pochi pound, ma era pur sempre meglio che camminare scalzo. Non ci volle badare però più di tanto anche perché, dopo tutto, era bello tornare a casa. E quando si ritrovò davanti al suo cancello ebbe un tuffo al cuore. Tutto era esattamente come lo aveva lasciato. Anche Brontolo era lì a squadrarlo in cagnesco. «Mi hai portato fortuna» gli disse accarezzandolo sulla testa. Poi alzò gli occhi e vide sua madre e suo padre. In uno slancio li abbracciò forte: era proprio contento di rivederli anche se loro, a dire il vero, sembravano piuttosto distaccati. «Ecco, ci risiamo» pensò. «Adesso ci scappa pure la solita paternale. Non sarei dovuto star via così tanto, non avrei dovuto telefonare così poco o chissà cos’altro…»
«Non stai bene, figliolo?» gli chiese con apprensione il padre.
«No, affatto, sto benissimo…»
«Ci siamo spaventati!» fece la madre.
«Adesso esagerate, come sempre» rispose lui irritato.
«Ma sì. Sei uscito dal cancello, ti sei messo a parlare con il nano e sei rimasto lì, fermo immobile, per cinque minuti buoni. Non riuscivamo a capire cosa stesse accadendo e così siamo usciti a vedere…» charì la mamma.
«Se non fai presto perdi l’aereo per Parigi…» gli fece il padre comprensivo dandogli una pacca sulle spalle. «Per fortuna, hai le tue superscarpe arancioni ai piedi».

38 pensieri su “Oltre il cancello

  1. Mi ha ricordato un famoso libro di fantascienza letto anni fa: Contact. Ne hanno fatto anche un film con Jodie Foster, dove lei seguendo le istruzioni di un segnale proveniente dallo spazio costruisce una “astronave” e parte per lo spazio profondo, vivendo l’avventura, ma al suo rientro il resto dei tecnici le dice che non è mai partita…
    Sempre molto bravo ad ogni modo! 🙂

  2. Il titolo è eloquente se consideri che l’andare oltre dopo il sogno diventa realtà…questione di tempo!!!

  3. devo dire che suscita sentimenti contrastanti il finale: dapprima pensi allo slancio nel rivedere i genitori, dall’altro la loro freddezza misto a timore, fa trasalire… e quando si scopre che il viaggio non c’è mai stato ci si impressiona ancora di più…!

  4. Letto, gustato e riletto. Veramente un piccolo capolavoro (dico piccolo perché corto) dove la fantasia ha galoppato per due mesi il tutto in cinque minuti.
    Per fortuna aveva ancora a suoi piedi le formidabili sneaker arancioni!
    Il viaggio è stato magnifico, credo irripetibile. Chissà se quello reale gli assomiglierà!

  5. Bruges o Brugge, che dir si voglia, si scrive senza o
    e il si chiuse la porta, mi garba di più chiuse la porta, dato che c’è il dietro di sé
    ci fosse solo il dietro, sarebbe un filo dialettale ma suonerebbe meglio
    scusa l’impertinenza
    ciao

    • Però ho trovato anche Brouge senza esse finale, sempre alla francese…
      E’ senz’altro più corretto però Bruges, come dici tu, mi ricordavo male.
      Preferisco comunque la dizione francese perché Brugge, in nederlandese, è un pugno nello stomaco. Correggo.
      Per l’altro suggerimento ci penso un po’ su. Così com’è è un po’ ridondante, mi rendo conto…
      Comunque grazie.

    • Quando si citano parole o frasi dette o scritte da altri è più corretto usare le virgolette. Come vedi nessuno è perfetto. 😉

  6. La madre si era spaventata dopo 5 minuti…figurati 2 mesi… cmq i sogni e i desideri sono il canale per la realtà…Si apprezza solo ciò che si è desiderato avere, quando lo si ha…Mi piace il ritmo veloce della narrazione del viaggio fantastico che fa intravvedere lo scorrere della vita in libertà rispetto ala calma e al calore della vita di casa, dove il quotidiano rassicura, ma spesso non diverte e l’evasione verso le nuove scoperte diventa vitale.
    Ciaoooo

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