Black Hills

alceDoveva sorgere a sud-est di Sturgis, nel Sud Dakota. Sarebbe stato il più grande parco di divertimenti di tutto il Midwest. Un progetto grandioso e lui l’aveva realizzato in diversi mesi di duro lavoro. John Philip Goodberry aveva presentato però qualcosa di meglio. Così almeno gli aveva riferito la sua amante che aveva un’amica la cui cugina lavorava nell’ufficio del Sindaco. Il progetto del rivale era più grande, più appariscente, più divertente, più a basso costo. Insomma: era più. Come del resto era Goodberry: che era più giovane di lui, più simpatico, più bello, più affascinante. Insomma: odioso. Odiosissimo. Ma Cooper quel lavoro lo doveva avere. A tutti i costi. Così aveva pianificato ogni cosa. Sarebbe successo nelle Black Hills, nella baita di montagna dove Goodberry si ritirava in solitaria ogni due settimane per pescare, fare grandi passeggiate e ritrovare se stesso, almeno così lui diceva. Avrebbe fatto credere al proprio staff di andare, con il treno, alla maratona di Steamfield, Nebraska, a cinquecento chilometri di distanza, dove si era persino già iscritto. Avrebbe cominciato la gara, per lasciare una traccia cartacea, ma poi avrebbe raggiunto un piccolo aeroporto poco distante dove lo avrebbe aspettato il suo Cessna 152 con cui era arrivato; con quello sarebbe rientrato, lui alla guida, in Sud Dakota atterrando nella piana attorno a Black Bears Lake. Da lì, in un’ora, a passo svelto, sarebbe arrivato alla baita di Goodberry: lo avrebbe ucciso facendo poi il percorso a ritroso per tornare a Steamfield con l’aereo, appena in tempo per tagliare il traguardo della maratona e far risultare la sua presenza durante tutta la manifestazione. Riportato in serata il Cessna a Sturgis avrebbe alterato i registri di volo per far figurare che non era mai partito. Un alibi pressoché perfetto, perché nessuno si sarebbe accorto di nulla in quella gran confusione del giorno del raduno motociclistico annuale più importante del mondo. E così fece. Ebbe solo qualche contrattempo poco prima di partire. Goodberry era incerto se partecipare o no al raduno (dove voleva comprarsi una Harley d’epoca); ma poi la notizia che avevano rilasciato 5.000 trote salmonate nel Lakota River lo aveva fatto decidere per la montagna. Cooper ebbe anche un imprevisto con un organizzatore della maratona che non gli voleva assegnare il numero di gara perché il suo cognome era stato registrato con una ‘o’ in meno. Mostrò il documento d’identità e fece correggere i dati facendo un bel po’ di baccano. Quel che ci voleva: il tizio, all’occorrenza, sarebbe stato un teste prezioso perché si sarebbe sicuramente ricordato di lui. Goodberry, che gli aprì la porta della baita fu persino contento di vederlo. Per quanto, a dire il vero, il suo detestabile collega era sempre contento di incontrare chiunque, gioviale e disponibile com’era. E fu proprio quando il ragazzone si girò per offrire all’ospite inatteso una birra dal frigo che Cooper, con una manovra rapidissima, estrasse uno stiletto conficcandoglielo nella nuca; con una pressione altrettanto decisa fece in modo che la lama gli rimanesse nel cranio. Sembrava che un fulmine avesse colpito la sua vittima che si agitava come un pazzo in una danza macabra. Cooper però non aveva il tempo di vederlo morire. Uscì subito dalla baita: aveva sentito un rumore sospetto alla finestra proprio mentre colpiva il rivale. Aveva fatto appena qualche passo in direzione del bosco quando vide, anziché un individuo come temeva, un grosso alce che si stava allontanando al galoppo. Tirò un sospiro di sollievo, aveva temuto il peggio. Gettò il manico dello stiletto dal finestrino del Cessna una volta superato il confine con il Nebraska e tornò a Steamfield, in tempo utile, come previsto, per la fine della corsa. Era stato incredibile, pensò, mentre ritirava la fascia degli ultimi arrivati alla maratona.
Cooper riuscì a vincere l’appalto e costruì il suo parco di divertimenti. In suo onore lo avevano chiamato Cooper Park. Era diventato ricco e conteso nell’ambiente e l’assassinio di Goodberry era stato archiviato contro ignoti. Un grande successo, dunque, sicché ora si stava godendo il suo momento. Così, quando circa sei mesi dopo, tre uomini in completo grigio entrarono nel suo studio non riuscì a mettere a fuoco il problema. L’uomo brizzolato, più basso degli altri, con modi gentili ma che tradivano soddisfazione, gli raccontò che da tempo in Sud Dakota stavano monitorando i grizzly. Inserivano sotto pelle di questi plantigradi un chip che consentiva agli studiosi di tracciarne i percorsi migratori favorendone la tutela. Sì, spiegava, monitorano i grizzly. E anche l’aquila blu, a essere sinceri. E persino gli alci. «Gli alci?» chiese Cooper alzandosi di scatto dalla poltrona. «Sì, gli alci canadesi, a voler essere precisi. Sono piuttosto rari in Sud Dakota, non lo sapeva? Solo che i Ranger non si limitano a inserir loro, sotto pelle, i chip. Tra i palchi delle corna sistemano anche una piccola telecamera per capire meglio come si comportano in branco. Così c’è voluto un bel po’ di tempo per scaricare i dati, ma alla fine li abbiamo ottenuti.» E, facendo un passo in avanti, sciorinò lentamente sulla scrivania, sotto gli occhi sgranati di Cooper, i fotogrammi che lo ritraevano con lo stiletto in mano. «Molto nitide come istantanee, non trova?»

22 pensieri su “Black Hills

  1. affascinante e bello… tra l’altro sono tornato l’altro giorno da un giro Canada/USA dove ho “incontrato” un alce sulla strada… l’immagine di copertina rende benissimo l’idea … e la tua trovata è geniale!!!! 🙂

    • Hai ragione, ma secondo gli standard di questo blog il racconto era già troppo lungo così (ci sono un migliaio di battute in più). Grazie per il tuo passaggio e per il gradito apprezzamento.

  2. “Così almeno gli aveva riferito la sua amante che aveva un’amica la cui cugina lavorava nell’ufficio del Sindaco”…le verità apprese così che valore possono avere?…Considerando che ognuno gira la notizia dal verso che gli conviene…poi le donne figurati…possono screditare chiunque…anche un Santo tingono di nero se conviene loro ( e te lo dico pur essendo donna anche io…ma della lingua delle donne è pericoloso fidarsi!!!)
    Ciao

  3. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi! Così un alce canadese col suo palco dotato di webcam l’ha beccato. Ottima strategia ma senza tener conto dell’imprevvisto. Uno sviluppo lineare fino alla conclusione finale del tutto inattesa.

  4. Normale che i nodi alla fine vengano al pettine. Mi piace il finale, lineare e semplice in contrasto con la prima parte, molto intricata e tesa.
    Buona domenica!

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