La profezia

statua equestreDopo alcuni mesi di progetti, litigi e preparativi, i lavori di restauro alla statua equestre di Edmondo Lagrange, in piazza del Popolo, ebbero finalmente inizio. Occorreva ripulire il gruppo scultoreo dalle ingiurie del tempo restituendolo a nuovo splendore. Finalmente i cittadini di Lughi si erano decisi.
Il primo problema che si dovette affrontare riguardava il come arrivare fin sotto alla statua senza rovinare il ricco basamento in alabastro. Il fatto che si trattasse di un supporto a piramide anziché a parallelepipedo impediva infatti all’unica macchina operatrice in dotazione al Comune di alzare in modo corretto la statua senza danneggiarla. Si ripiegò, dopo mugugni, dubbi e ripensamenti, a noleggiare la capace gru della ditta Vivaldi in cambio di un po’ di pubblicità.
Il secondo problema venne fuori invece quando si cercò di sollevare il cavaliere dal piedistallo. Sebbene accuratamente imbragata, la parte superiore si staccò di netto; da un parte il busto, dal cimiero alla cintola, dall’altro il cavallo rimasto sul basamento. Ciò non era accaduto però perché il gruppo si fosse rotto, quanto piuttosto per il fatto che si trattava di due pezzi forgiati separatamente e poi assemblati.
«Era una tecnica molto in uso ai tempi della fusione della statua» sentenziò il professore di storia dell’arte De Simis godendosi la scena.
«Perché non ce l’ha detto prima, scusi?» gli chiese il direttore dei lavori indispettito.
«Perbacco! Perché nessuno me l’ha chiesto!»
L’interno del cavallo era vuoto, sia per alleggerire il monumento sia per consentirne la fusione. Solo che, come emerse subito da un’ispezione superficiale, e fu questo il terzo e più grosso problema, nella pancia del cavallo fu trovata una lanterna antica. E, accanto, un scheletro. Gli astanti rimassero inorriditi; vennero allertati i Carabinieri, le autorità costituite, il parroco: i lavori furono ovviamente sospesi.
«Per consentire che i due pezzi combaciassero perfettamente tra loro e poi sigillati con calce mista a pece i genieri di quel tempo, in mancanza di strumenti di precisione, erano soliti collocare un operaio all’interno del manufatto; con la lanterna accesa, l’uomo curava che i due pezzi si incastrassero a regolare d’arte onde evitare infiltrazioni d’acqua. Poi lo stesso operaio curava di rifinire l’opera dal di dentro.»
Il prof. De Simis era prodigo di particolari e, ora che aveva anche ottenuto l’attenzione di un sufficiente pubblico, si dimostrava incontenibile: descriveva minuziosamente cosa fosse successo cinque secoli prima come se lo stesse vedendo con i suoi occhi. «Naturalmente» seguitava l’accademico «ciò comportava il sacrificio dell’operaio, che rimaneva prigioniero del manufatto senza poterne più uscire. Era condannato a morire per inedia.»
«Come naturalmente? Ma è orribile!» osservò una donna che si mise una mano davanti alla bocca per l’indignazione.
«Sì, ha ragione» seguitò il professore. «Bisogna tuttavia considerare che, sebbene fossimo allora in pieno Umanesimo, la vita umana, soprattutto quella della povera gente, valeva molto poco. Oltretutto per questi lavori utilizzavano persone condannate alla pena capitale.»
«Convengo con Lei, collega» fece il prof. Rodigini, stranamente d’accordo con il De Simis, da sempre in lite per una questione poco chiara di diritti d’autore. «I testi storici parlano chiaro. Potevano persino impiegare persone giudicate eretiche o tacciate di stregoneria. Era un modo come un altro per far fare loro una fine orribile.»
«Sì, potrebbe anche essere, forse…» disse De Simis con sufficienza.
Nello spostare le ossa trovarono che la parte interna del cavallo era tutta graffiata. Chi era morto lì dentro non sapeva che avrebbe fatto quella fine.
In un angolo, poi, sempre nella pancia del cavallo, venne anche scoperta una frase vergata con grafia malferma:

MALEDICTI, MHORIRETE TOTI LO 21 DECEMBRO 2012

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La storia minima ‘La profezia‘ è stata pubblicata, in via esclusiva, per la prima volta il 16 dicembre 2012 su:

–> Il blog Caffè letterario

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6 pensieri su “La profezia

  1. Pingback: Prendo le mie cose e me ne vado. « Soliloquio in compagnia

  2. Riporto quanto scritto al “Caffè Letterario” 🙂

    Spero che non fosse veramente così il metodo usato. Il racconto è bello e con un finale che personalmente, nonostante se ne parli continuamente, non mi aspettavo, quindi ancora più sorprendente!! Complimenti!!!
    Ciao, Pat

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