Hobo

Luca si sentiva sempre a disagio nello studio del Grande Capo. Anche perché, più che uno studio, pareva una piazza d’armi, tanto era grande. In più gli affreschi sul soffitto, gli arazzi e i quadri d’epoca alle pareti e i mobili settecenteschi un po’ ovunque, accrescevano la sua soggezione. Infine era da un po’ che si trovava al centro della Sala, in piedi, in attesa che il dr. Pinetti-De Scalzi alzasse lo sguardo dalle carte e si accorgesse di lui. I palmi delle mani stillavano sudore pastoso.
«Cosa c’è ancora Cremaschi?» fece ad un certo punto il Capo sbuffando e gettando la stilografica da un lato. Lo stava squadrando con sufficienza da sopra quegli occhialetti griffati che avevano contribuito nel tempo ad accrescere la sua incontenibile arroganza.
«Posso?» fece Luca alludendo al fatto di potersi avvicinare per non dover alzare la voce per farsi sentire. Il Capo non fece nessun cenno di consenso sicché rimase dov’era. «Vede, Commendatore, come Le avevo già accennato nel mio ultimo rapporto informativo, l’Hobo, il nuovo Programma per l’ottimizzazione delle Risorse Umane, da Lei peraltro giustamente imposto, ci sta creando un mucchio di problemi.»
«Problemi?» ripeté quello arcuando le spalle. Era uno delle poche parole che non voleva mai sentir pronunciare. Diceva sempre ‘soluzioni, dovete portarmi delle soluzioni, non problemi, di quelli ne ho già quanti ne voglio e pure gratis. Cosa vi pago a fare?’ «Che genere di problemi, Cremaschi?» chiese aguzzando gli occhi.
«Per esempio: l’esimio prof. Gentilini, incaricato della formazione dei funzionari, siccome per il Programma non coprirebbe tutte le ore del suo incarico, verrebbe comandato al bar della Società per servire a mezzodì i cocktail, un giorno sì e uno no, e questo solo perché ogni tanto alza il gomito; al venerdì dovrebbe invece andare a prendere la posta e questo perché a volte ritira la pensione della nonna.» Il Capo ora sembrava divertito al pensiero che il tronfio Gentilini gli potesse servire un frullato alla frutta. «Mentre Beppe, l’uomo delle pulizie» incalzò ancora Luca, approfittando del fatto di aver guadagnato finalmente l’attenzione voluta, «dal momento che risulta essere un esperto nella pesca alla mosca sarebbe abilitato a sostituire, in caso di malattia, uno dei nostri engineer designer e solo per il fatto che le mosche artificiali se le costruisce da solo.»
«Mi pare fantastico, invece…» sentenziò il Pinetti-De Scalzi «dov’è il problema?»
«È che il computer non tiene conto dei livelli effettivi di istruzione, né delle competenze specifiche. Mischia a casaccio i ruoli anche se non compatibili tra loro curandosi solo di riempire quantitativamente gli spazi orari rimasti vuoti; insomma è una macchina… e il personale è scontento.»
«Suvvia Cremaschi, lei come al solito mi fa perdere un mucchio di tempo: sono tutte sciocchezze. E dove mettiamo l’umiltà di far parte di un collettivo efficiente? La consapevolezza gioiosa di essere l’ingranaggio insostituibile di un meccanismo pressoché perfetto?»
A quelle parole, Luca si sentì cascare le braccia; capì che non avrebbe ottenuto nulla. «Va bene, Commendatore, come non detto, grazie per la Sua comprensione» e con un leggero inchino si girò per uscire. Fece due passi e poi si voltò ancora. «Ovviamente» aggiunse infine Luca «saprà anche che il Programma l’ha segnalata per tagliare il prato del cortile interno, la domenica pomeriggio, e per cambiare la lettiera del gatto, icona della nostra Società, tutti i giovedì alle ore 5 del mattino.»

13 pensieri su “Hobo

  1. meno male !! ogni tanto quel’ingranaggio che fa comodo per sottomettere gli altri gira a favore di quest’ultimi che lo sanno usare ben gli stà al capo. Ciaoooooo

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