L’ultimo autobus

L’uomo arrivò nell’ufficio affannato. Aveva un ciuffo di capelli che gli si era arreso sulla fronte e il sudore gli aveva chiazzato sul petto la t-shirt azzurra. Una quarantina d’anni ben portati e un principio di stempiatura tra i capelli scuri.
«Una bella corsa…» gli disse l’impiegato al di là del vetro vedendolo arrivare con la coda dell’occhio.
«Sì» disse l’uomo ansimando. «Ho avuto un contrattempo dietro l’altro: per poco non riuscivo ad arrivare prima della vostra chiusura per il fine settimana…» Fece lo sforzo di inghiottire un po’ di saliva ma non ci riuscì. «Sa, domenica mi sposo nuovamente e devo avere assolutamente il suo nulla osta. Non so perché ma non ci è pervenuto.»
Lo stanzone dell’ufficio era vuoto. Un’addetta alle pulizie, in un’improbabile divisa color amaranto, aveva iniziato a lavare per terra.
«Certo che ha fatto un bel viaggio da Alvona…» fece l’impiegato concentrato a sciogliere due grossi elastici verdi legati strettamente l’uno all’altro.
«Eh sì, ha proprio ragione… ehi, ma come fa a sapere che vengo da Alvona?» chiese aprendo il viso a un sorriso pensando di aver incontrato un conterraneo. «Io non gliel’ho mica detto!»
«Lo sa cosa mi rende speciale qui dentro?» chiese l’impiegato gettando da un lato il groviglio inestricabile dei due elastici che andavano ad aggiungersi a una montagnola che fuoriusciva da una scatola di scarpe.
«Non ne ho idea» fece l’uomo mostrandosi il più possibile interessato.
«È che ho una memoria fotografica portentosa. Non dimentico mai nulla di quello che vedo, soprattutto le facce.» Aveva pronunciato quelle parole sorridendo, senza mai alzare lo sguardo dagli elastici annodati ora confusi con altri tutti uguali, come se il prestar loro la massima attenzione ne andasse della sua vita. «Non so che lavoro lei faccia oggi» disse ancora l’impiegato alzando finalmente uno sguardo assente, quasi vuoto «ma otto anni fa lei guidava un autobus di linea.»
«Sì, è vero, ma io…»
«Il 12 luglio 2004, a mezzogiorno circa, arrivai alla stazione ferroviaria di Alvona. Dovevo andare a trovare mio padre che era stato ricoverato d’urgenza in ospedale per un attacco cardiaco. Nonostante mi fossi messo a correre con la valigia in mano, avendo visto l’autobus fermo al capolinea, lei, pur vedendomi arrivare e pur sentendomi gridare di aspettarmi, mi fece il segno con la mano di prendere il bus successivo; mise la freccia e partì.»
«Mi dispiace proprio» fece quello divenendo improvvisamente serio. «Purtroppo non mi ricordo l’episodio.»
«Io sì, perché dopo il suo autobus non ne passò affatto un altro. Come seppi in seguito, era appena iniziato uno sciopero locale di ventiquattr’ore. Quando arrivai in ospedale un’ora e mezza dopo, grazie a un taxi che riuscii fortunosamente a trovare, mio padre era spirato pochi minuti prima.»
«Non è possibile!» fece l’uomo scuotendo la testa.
«È possibilissimo, tant’è vero che è accaduto. Il suo, in altre parole, era l’ultimo bus della giornata su quella linea e lei non poteva ignorarlo. È bastato che lei facesse quel semplice gesto lì con l’indice» fece lui indicando con il mento le mani dell’interlocutore appoggiate sul bancone «e il tempo per me si è fermato.»
A quel punto l’uomo capì che si stava mettendo male e si mise sulla difensiva. «Mi rincresce davvero molto, non ho parole, l’avessi saputo l’avrei attesa: se solo potessi riparare ora, in qualche modo…»
«No, non ci può fare più nulla, purtroppo, proprio nulla» sospirò. «Proprio come non posso farci nulla ora neppure io. Vede, l’ufficio è chiuso da ben cinque minuti e, anche volendo, i terminali sono spenti» disse spegnendo il computer accanto a sé e la stampante. Poi, facendo il gesto dell’indice ruotato nell’aria, disse ancora: «prenda l’impiegato dopo, quello di lunedì.»
E chiuse lo sportello tirando giù una tendina nera.

31 pensieri su “L’ultimo autobus

  1. davanti allo sportello siamo gocce nel fiume
    l’autocertificazione non potrebbe servire, in casi come questo?
    (niente vieta di godersi la festa di nozze in anticipo sulla cerimonia, che si può rimandare a dopo la luna di miele)
    ciao

  2. Ciao, bellissimo post, complimenti. Che dirti i gesti fanno male quando toccano nel profondo e quando possono essere motivo di un cambiamento radicale degli eventi. Il primo è stato fatto con troppa leggerezza, il secondo con cattiveria e intenzionalità. Il primo però provoca una serie di effetti irreparabili come la mancata presenza di un figlio al capezzale del padre e crea rancore e rabbia, sete di vendetta. Credo che siano sbagliati entrambi gli atteggiamenti e, riflettendoci, penso che troppo spesso siamo portati ad agire come l’autista dell’autobus, con superficialità, non pensando alle conseguenze. Quello che succede dopo dipende da come una persona intende la “giustizia”, il regolare i conti e dall’indole di ognuno di noi. E secondo me la vendetta non porta da nessuna parte, soprattutto non riporterà quel figlio dal padre morente. Un saluto 🙂

    • Scusa ho postato due commenti simili, perchè ieri sera non me lo inviava e pensavo che non ti fosse arrivato. E invece adesso dopo averlo pubblicato, sono comparsi tutte e due. Scusa per l’inconveniente e cancella, se vuoi, quello di stamattina. Un secondo abbraccio ciao 😀

  3. Bello il racconto come tutti gli altri. Significativo!
    Ci si sente toccati da un gesto solo quando quel gesto può cambiare il corso degli eventi. Il primo è stato fatto con leggerezza, il secondo con una certa cattiveria e intenzionalità. Il primo però a differenza del secondo crea un evento irreparabile come l’assenza, il mancato arrivo del figlio al capezzale del padre. Riflettendo sulla concatenazione dei fatti, penso che alcune azioni, spesso compiute senza peso, possano provocare effetti inconsapevoli e devastanti. Il resto è tutta una conseguenza, che dipende dal volere e dall’indole di ognuno di noi. Un amichevole abbraccio. A presto 🙂

  4. Devo essere sincero… Spero che la tua intenzione fosse quella di lasciare l’amaro in bocca. La vendetta è un talmente un misero valore… I due protagonisti sono esattamente sullo stesso piano, anzi forse è peggiore il secondo, perché l’autista è stato imperdonabilmente scortese, mentre l’impiegato ha proprio l’intenzione di fare del male.

  5. Effetto, causa, effetto, causa, effetto, alla fine diventa impersonale, tutto si mischia nelle giornate e nella vita quotidiana ed è possibile che all’impigato gli ritorni ciò che ha lanciato all’autista … rimane l’azione che si trasferisce di vita in vita e ci potrebbe “contagiare” un po’ tutti … ma è chiaro che difronte agli affetti siamo fragili, siamo umani. E’ un episodio bello nell’ambito del perdono, mi piace : )
    Andrea

  6. Potessi farlo anche io ogni tanto, di rispedire indietro la gente; ma non posso. O meglio potrei ma ancora non ho un motivo valido per vendicarmi.

  7. è proprio così!! Ma credi!! Rendere pane per focaccia,non serve a cambiare ma, ancora di più, non serve a ridare ciò di cui si è stati privati. Lo dimostra il fatto e, questa è la parte che mi piace di più perchè rende ancora più vero il tuo racconto, ,la risposta dell’uomo ” posso rimediare ?” Questo significa che quell’uomo non ha capito il male che ha causato e non lo capirà mai,secondo la mia opinione.un amichevole saluto e buona serata

  8. La messa in pratica del famoso detto di Confucio secondo il quale stando seduti sulla riva del fiume prima o poi si vedrà passare il cadavere del proprio nemico!

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