L’armata invincibile

Quando apparve sulla sponda del fiume aveva un’aria trasandata e goffa. Nessuno avrebbe potuto credere che fosse un Mago potente, che parlava con gli Angeli Buoni e quelli Maligni con la stessa naturalezza e semplicità con cui avrebbe potuto parlare con te ti avesse incontrato un giorno per via. Aveva con sé il suo asino, mal in arnese, che molti dicevano essere stato il suo Maestro stregone; aveva imparato da lui ogni arte magica e raffinato sortilegio ma non aveva esitato a tramutarlo in un ciuco una volta partorita l’insensata idea di diventare per sempre l’unico uomo davvero sapiente su questa terra. E ora il Mago si trovava al grande fiume a guardar fiero le terre lontane, oltre l’orizzonte, oltre il tempo presente.
«Togliti da sopravento, pezzente» gli comandò il Cavaliere facendo scalpitare lo stallone sulla terra umida. «Mandi un fetore che toglie il respiro…»
Il Mago trasalì e si girò a guardarlo stupito. Il Cavaliere, al di là del corso d’acqua, era maestoso, imponente, la luce del sole faceva brillare gli schinieri lucidi tramutandoli in metallo prezioso. Il Mago si avvicinò:
«Perché m’insulti, mio nobile Cavaliere? Sono un uomo pacifico e non faccio male a nessuno…»
«Invece sì: dai noia al mio naso delicato e mi fai ombra… vattene o dovrai assaggiare il mio dardo…» disse mostrando la balestra.
«Il vento e il sole sono dietro le tue spalle, non posso arrecarti nessun disturbo, Signore; ma nonostante ciò ubbidirò ugualmente al tuo volere: me ne sto già andando, vedi? Ho preso la strada del ritorno. Sono sulla mia terra e attraverso la mia terra subito me ne andrò.»
«Villano d’un bifolco, mi stai dando forse del bugiardo? Come osi?» e rapidamente gli scagliò contro un dardo che solo perché il Mago mosse la testa all’ultimo istante gli strappò via solo un orecchio.
A quel punto il Mago, indispettito e sanguinante, compreso che il Cavaliere non l’avrebbe mai lasciato andar via vivo, batté per tre volte con il suo bastone la terra e dichiarò con voce poderosa: «Tra una settimana tornerò qui con un’armata potentissima e condurrò a morte chiunque mi si parrà innanzi. Porterò distruzione, desolazione e sterminio. Dillo al tuo Re: ha una settimana di tempo per abbandonare le sue ricche terre.»
Il Cavaliere frenò il cavallo quasi avesse voluto di sua iniziativa saltare il fiume da sponda a sponda, proprio in quel punto in cui le onde gonfiavano l’alveo per più di cinquanta piedi. Quella voce così inaspettata e così antica scosse però il Cavaliere nel profondo, come avesse intorbidito d’un tratto la sentina dimenticata dei suoi incubi più cupi. E senza aggiunger nulla, abbassò la visiera dell’elmo, girò il cavallo e lo lanciò al galoppo.
Dopo sette giorni esatti, il Mago tornò su quella stessa riva. Davanti a lui, a perdita d’occhio, migliaia e migliaia di fanti, cavalieri e arcieri, schierati in ordine di battaglia, con complicate e costose macchine di guerra: fremevano di gloria all’ombra di vessilli e porta insegne sgargianti.
«Dov’è il tuo temibile esercito, pezzente?» lo schernì il Cavaliere vedendolo da solo. Il Mago smontò dall’asino e avvicinandosi alla riva adagiò davanti a sé un ramo di frassino affidandolo alle acque. Il Cavaliere che non riusciva a capire cosa stesse accadendo scese a sua volta dal suo superbo lusitano. C’era qualcosa che si muoveva sul ramo approssimandosi sempre di più a lui, ma non era in grado di distinguere meglio. Quando il pezzo di legno gli fu finalmente accanto vide agitarsi su di esso un piccolo roditore che subito balzò tra l’erba scappando tra le gambe degli arcieri. I militari, a quel punto, assistita a quella scena buffa, si misero a ridere sguiatamente facendo battute salaci. Alcuni addirittura lanciarono picche e frecce nel tentativo di colpire la povera bestiola senza però riuscirvi.
«È questo tutto quello che sai fare, meschino? Sarebbe questo topolino la tua armata invincibile?» domandò arrogante il Cavaliere montando nuovamente a cavallo con un balzo.
«Quel ratto apparentemente innocuo sarà la causa della vostra perdizione» sentenziò il Mago voltando le spalle. «Correndo fra di voi sta già seminando morte e disperazione. Voi ancora non conoscete questa nuova sciagura che sta per annientarvi, ma ben presto imparerete a chiamarla con il suo vero nome: è peste nera, miei miserabili, una malattia feroce e terrificante che quel topo vi ha appena trasmesso. Quando tornerò, di voi non rimarrà che un pallido ricordo.»

14 pensieri su “L’armata invincibile

  1. Una delle prime armi chimiche.
    Mi pare che, durante gli assedi, qualcuno ha tirato dei cadaveri al di là delle mura nel tentativo di contagiare gli assediati.
    Armi chimiche.
    Un appiglio di riflessione:
    L’umanità cambia?

  2. Una delle prime armi chimiche.
    Mi pare che, durante gli assedi, tirassero cadaveri con le catapulte oltre le mura per contagiare gli assediati.
    Armi chimiche…
    Gancio di riflessione: L’umanità cambia?
    Ciao.
    Adimer.

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