Viperione

Viperione lasciò la domus di Lucio Cestio Rufo che era notte. Il padrone gli aveva dato una vecchia giumenta grigia che, pur se in là con gli anni, era veloce e resistente; destinazione: Valerio Lemnio di stanza nella Mesia Inferiore.
«Sfianca pure il cavallo» gli aveva ordinato il padrone «ma il messaggio deve arrivare entro sette giorni». Lo schiavo aveva cercato di far capire al suo dominus che una settimana non sarebbe stata sufficiente neppure a coprire metà percorso, considerati i briganti di strada e le truppe sempre più numerose di Goti che, con alterna fortuna, oltrepassavano impunemente il Danubio ghiacciato. «Sette giorni» aveva urlato Rufo fuori di sé mentre guardava la schiena del suo schiavo diventare sempre più piccola «o non tornare». Così Viperione aveva galoppato per campi e foreste facendo ricorso a tutta la sua esperienza di ex militare per evitare imboscate e spazi aperti. Aveva galoppato la notte e dormito solo qualche ora di giorno, senza darsi tregua né respiro. Quando finalmente giunse alle porte di Abrittus era la sera del settimo giorno. Lui era stremato e la povera cavalla, irriconoscibile nel suo bozzolo di schiuma appiccicosa e biancastra, sbandava da una parte all’altra della via. Per fortuna le insegne consolari di Lucio Rufo ebbero subito ragione del cipiglio sospetto delle guardie del Generale. Ed era ormai notte fonda quando venne portato nella gelida sala d’armi al cospetto di Lemnio. Il Comandante era in piedi, minuto, parato con la pesante lorica e gli schinieri di bronzo, come fosse appena giunto dal campo di battaglia nonostante il buio. Se lo sarebbe aspettato meno giovane, pensò Viperione, lo sguardo meno fiero che non incutesse tanta soggezione e timore.
«Dammi il messaggio, schiavo» gli comandò brusco Valerio Lemnio mentre Viperione si prostrava. «Forza, non farmi perdere altro tempo!»
«Generale, il messaggio che vuoi leggere, affinché non cadesse in mani nemiche, il mio padrone me l’ha tatuato sul cranio. I capelli sono nel frattempo abbastanza cresciuti per poterlo nascondere a occhi indiscreti.» Valerio Lemnio, si fece più vicino al messaggero, come per comprendere meglio. Il fuoco del braciere, nella penombra della stanza, lo illuminò e per un istante si notò il volto di chi pareva non dormire da giorni. «Comandante» insistette Viperiore indicandosi la nuca «se fai venire il tuo tonsor a rasarmi i capelli potrai leggere cosa ti manda a dire di così urgente Lucio Rufo». Valerio Lemnio, non aggiunse altro. Batté forte le mani per due volte provocando una strana eco tra quelle pareti di pietra e subito un giovane schiavo comparve da dietro un tendaggio. Il Comandante gli mormorò qualcosa e appena dopo arrivò di corsa un tonsor che, con pochi rapidi gesti delle abili mani, fece sedere Viperione e lo rasò a zero. Il Generale poté finalmente leggere il messaggio.
«Bene!» esclamò l’ufficiale per nulla soddisfatto assestando una leggera pacca sul cranio pelato dello schiavo. «Guardie!» E due legionari con il gladio sguainato entrarono rumorosamente nella stanza e presero in consegna Viperione, assecondando il movimento inequivoco della testa del Comandante.
«O valente Lemnio, ti prego, risparmiami!» supplicò lo schiavo che aveva già capito cosa sarebbe stato di lui. «Ho fatto tutto quello che il mio padrone mi ha chiesto, sono passato attraverso mille pericoli per poterti recare per tempo il messaggio: cosa potevo fare di più? Non ho colpa io se porto cattive notizie: che ragione hai di uccidermi?»
Valerio Lemnio, lo guardò con sufficienza e poi disse. «Non ho proprio nulla contro di te, schiavo. Anzi, hai fatto un ottimo lavoro: sei stato un servo fedele. L’amico Rufo dovrà essere contento di te. È che purtroppo devo distruggere il messaggio: non posso correre il rischio che sia letto anche dai miei nemici. Però, se riesci a vivere senza testa, buon per te.»

17 pensieri su “Viperione

  1. L’inizio mi aveva lasciato perplesso ma man mano che avanzavo nelle righe lo trovavao sempre più intrigante come il finale davvero sconvolgente.
    E’ sempre piacevole leggerti e arrivare alla fine con una sorpresa.
    Un caro saluto

  2. Un bellissimo racconto, però una brutta fine per questo schiavo che portato a termine con grande sacrificio l’ordine impartitogli, poi si ritrova a dover pure pagare con la vita. Mi fa pensare tanto come la vita delle persone per coloro che sono al potere valgano veramente poco…
    Ciao, Pat

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