Ti ho aspettato tanto

finisterre

Si erano conosciuti per caso. Lei saliva le scale di quel bed and breakfast e lui stava cercando quale fosse la porta della stanza assegnatagli. Si erano scambiati poche parole, ma era stato sufficiente perché lui il giorno dopo la cercasse con lo sguardo nell’ampio salone spoglio della colazione. Si erano seduti subito accanto come fosse ineluttabile che fossero lì l’uno negli occhi dell’altra. Lei era una donna molto bella, i capelli rossi tiziano, un corpo morbido e profumato e un modo di cercare il mondo come fanno le onde trasparenti tra gli scogli scuri. Tu sei la risposta a una domanda che mi sono fatta dieci anni fa lei gli diceva spesso. E si amarono, intensamente, ogni volta che era possibile abbandonare il proprio lavoro, i loro mondi opposti e correre, correre sui binari con un treno sempre troppo lento per l’urgenza dei loro baci. Poi un giorno lui, all’ultimo momento, le comunicò che non sarebbero più potuti partire per quella vacanza tante volte progettata. Lei pensò che fosse una scusa e gli disse cose terribili, per amore, per passione, ma terribili e irreparabili. Il filo si spezzò e non si cercarono più. Alle tante mail appassionate che un tempo si erano scambiate non ne seguì più nessuna, ai tanti messaggi complici si sostituì solo un silenzio prima pesante, poi apatico, poi l’oblio.
E ora lui e lei si erano di nuovo incontrati, ancora una volta per caso, in quel lembo di terra improbabile del Finisterre, dove la terra sembra l’ultimo urlo prima dell’infinitezza del mare. Erano passati quindici anni. Lui l’aveva però subito riconosciuta perché era sempre tanto bella anche se i capelli erano corti e castani e lo sguardo più severo e rabbuiato. Anche lei lo salutò, dapprima piacevolmente sorpresa, poi preoccupata che il marito, rimasto poco più avanti a scattar foto all’oceano inquieto, la vedesse parlare con uno sconosciuto.
«Ti trovo molto bene» si dissero pressoché all’unisono. Lei si velò di tristezza, osservò il cielo caliginoso e disse:
«Ma che fine hai fatto? Ti ho aspettato tanto». Il tono era di rimprovero quasi si fossero lasciati il giorno prima. Lui non seppe cosa rispondere. Non rammentava più nulla delle ragioni del loro litigio. Ricordava solo quel grande amore e la dolcezza devastante dei loro incontri. Una marea montante di malinconia gli annegò l’anima. «Ora devo andare» tagliò corto lei con parole nette come le ombre su un muro assolato: il vento burrascoso subito le portò lontano per sparpagliarle al largo sul luccichio delle onde increspate.
«Aspetta» le disse prendendola per un braccio. Lei lo guardò con aria di sfida aspettandosi quel gesto improvviso. «Aspetta Alberta, ti prego, devo sapere…, devo assolutamente sapere: tu mi dicesti un giorno che io ero la risposta a una domanda che ti eri fatta tanto tempo prima… ma qual era la domanda?»
La donna si voltò verso il marito che si era spostato sugli scogli a fotografare un albatro sospeso nell’aria, tenuto immobile da fili invisibili.
«Qual era la domanda?» chiese quasi a se stessa. «Lo vuoi davvero sapere?» e abbassò gli occhi per raccogliere i pensieri. «La domanda era se sarei potuta innamorarmi ancora dopo tanti sacrifici.«Sacrifici? Non ne sapevo nulla. Quali sacrifici?»
«Sì, ora te lo posso dire. Tanto tempo fa mi sono fatta operare, tempestandomi di cure ormonali. Mi chiamavo Giulio. Ho dovuto superare mille difficoltà in famiglia, sul lavoro, con gli amici. Per tanto tempo non sapevo più neppure chi io fossi. Ma poi ho conosciuto te e ho capito che ne era valsa comunque la pena.»

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