Un cappuccino all’armagnac

cappuccinoIl suo amico sorbiva il cappuccino al bar al suo solito modo: come fosse armagnac barricato e stravecchio. Lo centellinava guardandosi attorno, posando ogni tanto la tazza e assaporando di nuovo il sapore con tangibile soddisfazione.
«Sarà gelato» gli disse Roberto che lo guardava da un po’.
Paolo sorrise. «Me lo dici ogni volta che facciamo colazione insieme, non ti sei ancora stancato? Raccontami piuttosto come è andato il tuo viaggio a Houston».
«Molto bene. Ogni volta che posso stare qualche settimana con mia figlia, lo sai, per me è una festa». Si aggiustò sulla sedia di finto thonet mettendo le mani dietro la nuca.
«E come sta?»
«Splendidamente. Ora è la vicedirettrice del laboratorio universitario».
«Se lo merita».
«Visto che ero lì, i capoccioni del Centro hanno anche pensato di impiantarmi un microchip sperimentale sotto pelle» fece Roberto indicandosi il polso sinistro. L’amico allungò il collo nella sua direzione.
«No, non si vede niente» precisò subito Roberto. «È un microchip di nuova generazione. Sull’unghia di un dito ce ne starebbero una cinquantina». Fece una pausa. E visto che l’amico continuava a sorseggiare la sua preziosa bevanda senza dargli la soddisfazione di chiedergli di cosa si trattasse, proseguì: «monitorizza le funzioni vitali e il sangue, comparando i dati personali con quelli statistici mondiali per età, indice di massa corporea, razza, attività lavorativa, condizioni ambientali e molto altro. Ha una precisione incredibile. Attraverso un sofisticato algoritmo riesce insomma a dirti, con una probabilità elevatissima, se una certa situazione che stai vivendo sarà o meno l’ultima».
Paolo posò la tazza fissando l’amico. «Stai scherzando, vero? E a che ti serve?»
«Formalmente a nulla. Tuttavia credo che ti consenta, tutto sommato di vivere in modo più consapevole la vita. Se andassi in Canada e il microchip mi dicesse che è l’ultima volta che lo sto visitando nella mia vita, darebbe un significato più forte a quella esperienza. Non trovi?«Non saprei… e il microchip come ti avverte?»
«Si sente una specie di vibrazione. Per l’esattezza sono tre beep vibrati, abbastanza corti, del tutto innocui, ma è impossibile non sentirli».
La faccia di Paolo era perplessa. Gli sembrava una americanata, ma non volle dirlo, l’amico ci sarebbe rimasto male: «E funziona?»
«Direi di sì. Domenica scorsa sono andato a Giocolandia con mio nipote di sei anni. Mi ha portato su quella piattaforma che sale all’altezza di 50 metri e poi piomba giù come un sasso, in pochi secondi, fermandosi a pochi centimetri da terra. Una cosa da pazzi. Lui si è divertito un monte e io mi sono spaventato a morte. Ho giurato a me stesso che non ci sarei più salito. E infatti quando siamo scesi ho sentito i tre beep».
«Tua figlia ne sarà contenta, allora… per il suo successo, dico».
«Sì, molto, le ho già telefonato per farle i complimenti».
Parlarono ancora a lungo di un po’ di tutto, mentre Paolo finalmente finì il cappuccino. Poi si alzarono e come per abitudine si salutarono abbracciandosi, come per suggellare un’amicizia senza tempo.
E in quel momento Roberto sentì i tre beep vibrati al polso sinistro.

12 pensieri su “Un cappuccino all’armagnac

  1. OnlyPatty mi ha fatto interpretare il post in un modo differente, più profondo, imamgino:
    non è l'aggeggino che sussurra "è l'ultima volta"  ma è il cuore.
    E spesso è vero, il cuore "sa".

  2. sapere che è l'ultima volta… non immagino nulla di più triste.
    Non si può uccidere la speranza, anche quando il cuore sa benissimo che si tratta di addio.
    Onlypatty

  3. oh ma finisce male! …io sono da lieto fine!
    non sempre bisogna sapere il futuro, credo che si debba vivere con pienezza a priori, che sia la prima, la seconda o la centesima volta che si fa una cosa… non credi?
    🙂

Lasciami un tuo pensiero