Le casupole imbiancate sembravano briciole di pane dimenticate sulla tovaglia. Un insediamento antico che non era mai meno venuto alla promessa di sorvegliare da vicino la montagna grigia. Imprigionava un gigante maligno, dicevano i vecchi, che in alcune notti borbottava tra le profonde fessure di dolomio maledicendo gli uomini che lo avevano sepolto. Lo si sentiva sospirare per il cielo blu che non poteva vedere e per il calore del sole che non riusciva a penetrare la spessa roccia. E così in quel villaggio viveva solo gente pia, devota al Signore, nata e vissuta lassù per contrastare quel male assoluto o sognare, nelle lunghe sere di inverno, che in realtà non esistesse. Si pregava, perché quei sospiri nessuno li udisse, si cantavano inni perché i lamenti fossero confusi con il rumore del vento. Fino quando un giorno Mariannina bella soffocò nel letto i suoi tre bambini. Un impeto inspiegabile di follia che terrorizzò parenti e amici rendendoli gelidi come la roccia stessa che vigilavano. Si decise di non far sapere nulla alla gente della valle. Non avrebbe capito e si sarebbe messa a giudicare e biasimare e minacciare il loro costante impegno accanto al gigante addormentato. Passarono i giorni e la nebbia attorniò la cima suggellando la rinnovata pace della montagna. Così pensarono. E sarebbe stato così se non fosse stato per un piccolo foro apertosi nella roccia. Il buco era profondo, si disse subito, e qualunque cosa fosse stata messa per chiuderlo scivolava inesorabilmente al suo interno. Provarono con la paglia, il muschio, la terra, i sassi. L’apertura sembrava insaziabile, e più ingurgitava e più si allargava. Dapprima la voce del gigante si sentiva appena, poi iniziò a fuoriuscire potente come lava incontenibile. Si cercò di correre ai ripari costruendo una botola di legno per coprire il fianco della montagna; parve lì per lì un rimedio efficace perché i curiosi che si erano spinti alla radice della montagna attirati da quella voce suadente e terribile se ne erano andati. Ma una notte la botola si mosse tremando di una febbre irrefrenabile. Le assi si spaccarono ad una ad una venendo risucchiate dalla voragine oramai triplicata d’ampiezza. Sparirono ben presto là dentro galline, capre e conigli e poi pian piano i larici imponenti, gli abitanti increduli e persino le case color del pane. Fino a quando non rimase che il vento a soffiare sul nulla e sulle braccia nude del gigante che ritrovava la via del mondo.
Bello, ma troppo tristeIIl male vince a volte, ma la sua vittoria non è mai definitiva.
Sì hai proprio ragione.
Ho programmato che nella prossima vita sarò solo ottimista.
😉
Magnifiko!, kome… kome lenùvole viste dasù, abbòrdo di un aereo.
Ipertrofia della Briciola nei più recenti post. Piuttosto dolci a capofitto nel latte.
Ma Briciola E' Buzzati!
M'assomigli a Buzzati, stavolta.
Bel racconto e ben tornato anche da parte mia. Cari saluti, Lola
Cia Briciola e buon anno. Ma che inizio triste e angosciante, Mariannina
bella che soffoca i sui tre bimbi!! Mi aspettavo da te qualcosa di
più leggero e incoraggiante per iniziare….
a presto
Elena65
Il male vince spesso. Non sempre ma spesso. Valido racconto. Bentornato.
…magari il male si disolvesse così!
Buon inizio, briciola.