Era stato appena assunto e sapeva che sarebbe stato importante far bella figura. Sulla copertina campeggiava la scritta in rosso: ‘urgente’, ma ogni qualvolta pensava di essere pronto per relazionare su quella pratica trovava che qualcosa ancora non andasse e che bisognasse piuttosto approfondire alcuni aspetti cruciali del problema o effettuare alcune fondamentali verifiche, se non limare la sua prosa forse un po’ pesante. Per essere sicuro di non sbagliare si era anche rivolto a proprie spese a un esperto che lo aveva però ben consigliato. Alla fine ci mise una settimana in più rispetto a quanto prefissato, tuttavia ne era venuto abilmente a capo e poteva ritenere di aver fatto un buon lavoro. Preso il suo incartamento, si fece annunciare dalla segretaria al Capo Divisione. Gli avevano detto che avrebbe dovuto relazionare solo a lui e così aveva intenzione di fare. Attese per quasi un’ora, in anticamera, rigirandosi tra le mani la relazione ben rilegata. Ogni tanto leggeva una riga, ma subito la richiudeva per paura di trovarvi qualche errore. Era in riunione, gli aveva riferito la biondina avvenente ma dall’aria delicata e fragile, e ci voleva un po’. Poi l’interfono fece una sorta di sbuffo sonoro e la segretaria gli fece un rapido cenno con la testa e lui si alzò. Era molto emozionato. Quella era prima volta che incontrava il suo diretto superiore.
«Vieni vieni…» fece il Capo, cordiale, non appena lo vide comparire sulla soglia. Era alla scrivania. Nell’avvicinarsi sentiva l’ansia crescergli nel petto anche se quell’uomo non lo stava affatto guardando: era infatti intento a scrivere e continuò a farlo anche quando lui gli arrivò davanti. Non gli restò che rimanere in piedi, impacciato, ad ammirare quel Direttore, forse più giovane di lui, con la relazione che gli stava sgusciando tra le mani sudate. E solo dopo una decina di minuti, il Capo alzò lo sguardo facendo emettere al cappuccio infilato alla penna stilografica il rumore tipico di un oggetto costoso.
«Tu sei?»
«Marcello Fanti, signore» e fece il gesto di allungare la mano.
«Avevi chiesto di vedermi?» chiese il Capo, tagliando corto
«Sì, è per la pratica Navarra Acquisizioni & Co. …» disse cercando di abbozzare un sorriso e mostrando nel contempo il dossier.
«Ah sì… mettila pure lì» e indicò un punto indefinito della vasta scrivania. «E grazie per la tua preziosa collaborazione» aggiunse con affettazione rimettendosi a scrivere. Dopo un po’, accortosi che il dipendente non se ne era andato, riposò gli occhi su di lui. «C’è dell’altro?»
«Pensavo che avrei dovuto relazionare…»
«No, non ce n’è affatto bisogno. Immagino che sia già scritto tutto lì dentro».
«Sì, certo» rispose deluso facendo calare un silenzio imbarazzante. Il Capo lo scrutò ancora, questa volta in modo visibilmente seccato. «Non mi assegna un’altra pratica?» chiese Marcello volenteroso.
«Un’altra pratica?» ripeté il Capo come se cercasse di richiamare alla mente un concetto complicato. «Già, hai ragione. Prendila tu stesso. Vedi quella porta? Scegline una, sono tutte importanti e urgenti. E grazie per la tua preziosa collaborazione.»
Marcello fece un leggero inchino di cui il Capo neppure si accorse. Si avvicinò alla porta e girò la maniglia. Di là dalla soglia era tutto buio. Non sentendosela di tornare sui suoi passi entrò con una certa titubanza chiudendosi la porta alle spalle. Non vedeva nulla e andò a tastoni. Quando cominciò a sentirsi soffocare per il caldo fece per riaprire la porta da cui era entrato, ma non aveva maniglia. Non si perse d’animo nonostante sentisse una stretta alla bocca dello stomaco e avesse cominciato ad ansimare. Fece luce con il telefonino scoprendo così che alla sua sinistra c’era un’altra porta, più piccola e in metallo. L’aprì lentamente, con un certo sforzo e dopo diversi tentativi. Non doveva essere stata usata di recente. E all’improvviso si trovò di fronte a un magazzino enorme, alto decine di metri senza riuscire a distinguerne profondità e larghezza. Era pieno di ampi scaffali, con scale in ferro, di cui non vedeva la cima, agganciate ai vari ripiani come vie di fuga verso il cielo, e schedari grossi e solidi come armadi sotto lampade che spiovevano una luce polverosa; su ogni ripiano erano ammonticchiate migliaia di pratiche tutte esattamente identiche a quella che aveva appena evaso.
(In memoria di José Saramago)
si, si, ci siamo!
Un calcio nel sedere ai capi!
modearto, come il blog. Hai tutta la mia invidia e qualche bacio,Allegra
Karl Popper diceva che “Tutta la vita è risolvere problemi” qui è il caso di dire insieme a Saramago che tutta la vita è sbrigare pratiche… surreali e urgenti!NostraDannus
Cecità m'ispira. provvederò nel prossimo we e poi ti saprò dire….Grazie, Bric!TT
@ Teneramentetua: "Cecità" o "Tutti i nomi", direi, per cominciare 🙂
Ma perchè, ogni tanto, i miei commenti restano anonimi?TT
Beh, ammetto la mia ignoranza. Non ho mai letto niente di José Saramago, mi piacerebbe conoscerlo. Un consiglio su…. "Da dove iniziare?"TT
un giusto omaggio a un grande uomo intelligentegrazie briciolasempre bravo tuse penso che hai scritto 700 racconti in sette annivuol dire quindi facendo un po' di conti che ne hai scritti 100 in un annocomplimenti davvero!!spero non arrivi crisi del 7° anno ma vedo che è già stata ampiamente superataciao
neanche troppo surrealista… la burocrazia dello stivale me la immagino più o meno così :-)))O.T. Abbi fede: ho ripreso a scrivere, tra poco arriverà quel famoso articolo. Buona settimana! 🙂
Bello questo racconto, la fantasia nn ti manca mai…… Lavinia