Mama Sunta

Lo spostamento d’aria si riversò sulla banchina spettinando capelli e arruffando giornali, proprio mentre il serpente metallico sbucava dalla galleria come per prendere una boccata di ossigeno. Le luci neutre della stazione illuminarono le lamiere opache fotografandone l’istante in cui, gemendo tra sé e sé, iniziò progressivamente a frenare.
Le porte automatiche della metro si spalancarono sui viaggiatori che entrarono a frotte trascinando con sé, tra gli altri, una ragazza sui quindici anni con in braccio un fagotto di stoffe sporche da cui usciva il viso addormentato di un neonato.
La giovane zingara, dalla faccia anonima, si avvicinò senza perder tempo alle persone già all’interno dei vagoni, la mano tesa, biascicando parole in una cantilena incomprensibile. Si fermava davanti a ognuno, nel compimento zelante di un rituale stanco e antico, ogni volta toccando la gente, ogni volta ripiegando la testa da un lato sì che la treccia di capelli, stretta in fondo da una fettuccia rossa, si raccoglieva unta sulla testa del bambino senza svegliarlo.
La gente la vedeva arrivare, ma ostentava indifferenza, continuando a parlare o a fingere di guardare il buio fuori dal finestrino mentre in realtà ne seguiva con la coda dell’occhio i movimenti.
Dopo circa venti minuti, da che era stata inghiottita dal ventre caldo della metro, la ragazza se ne tornò indietro, spedita, come avesse fretta. Si dispose silenziosa davanti alle porte e alla successiva fermata incrociò nell’uscire un’altra giovane, simile a lei in quei tratti di una giovinezza già svigorita e mai veramente sbocciata.
Senza salutarsi, la ragazza che usciva consegnò il bambino all’altra.
«Brutta giornata oggi, non si alza niente…» disse guardandosi in giro.
«È il bimbo dell’Ajsha?» chiese l’amica aggiustandosi il pargolo al seno.
«Non lo so, credo sia di Yadranka o di Sceba. Comunque quando torni al campo dallo a Mama Sunta, ci penserà lei, come al solito, a riconsegnarlo» e si confuse tra la gente di quel mattino qualunque.
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4 pensieri su “Mama Sunta

  1. La differenza tra chi ha e chi non ha è oggi la tragedia del mondo e si riproduce in forme minime quando la mano tesa di un mendicante si avvicina, suscitando in noi questi pensieri, accompagnati da un vago senso di colpa. Dopo pochi minuti, però, arriva un altro mendicante con la mano tesa, poi un altro e un altro ancora. E’ così che si diventa man mano insensibili e, alla fine, infastiditi li si rifiuta… TT

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