Il piccione

Era difficile concentrarsi con tutto quel baccano. Ma ciò che gli dava più fastidio non era il rumore del mercatino o dei vucumprà che cercavano di attirare l’attenzione di passanti distratti, era piuttosto quel maledetto piccione che si ostinava ad appollaiarsi sulla cassetta dei gerani, appena fuori dalla finestra, tubando con il suo verso fastidioso. Il ragazzo stava rileggendo per la quarta volta la stessa riga quando decise di fare qualcosa. Andò alla finestra e vide che il piccione lo osservava tranquillo, con il collo un po’ storto e l’occhio vuoto. Non aveva paura, tanto da seguitare con il suo lugubre ‘gurugù… gurugù…’ Il ragazzo allora sbatté forte con il palmo della mano sul vetro. Il suono rimbombò nella stanza e il piccione pigramente spiccò il volo sparendo sopra i tetti. Il ragazzo, sbuffando, si rimise a tavolino. Detestava quelle interruzioni che contribuivano a rendere arduo il suo studio. Squillò il telefono. Non rispose. Non aveva tempo da perdere. Si rituffò nella lettura, afferrandosi la testa tra le mani come se quel gesto potesse aiutarlo, quando il piccione dalla sua vaschetta riprese il suo verso: ‘gurugù… gurugù…’. Chiuse gli occhi e si alzò di scatto. Si accorse che ora i piccioni erano due, un maschio e una femmina: tubavano da due vaschette diverse. Il maschio andava avanti indietro sui gerani mentre la femmina, con finta indifferenza, guardava da un’altra parte. Il ragazzo picchiò ancora una volta sul vetro, in modo così forte che sembrò potesse spezzarsi sotto la sua pressione. I due piccioni si limitarono a osservarlo con l’occhio inespressivo, senza muoversi. Smisero solo di fare il loro verso. A lui montò invece la rabbia. Aprì di scatto la finestra cercando di scacciarli con le mani. Ma fu solo quando sfiorò il maschio che questo decise di buttarsi nel vuoto e di aprire le ali seguito contro voglia dalla femmina. I gerani erano tutti rovinati e alcuni rami erano spezzati. Andò in cucina a farsi un tè. Doveva calmarsi o di quella giornata non ne avrebbe fatto più niente. Ma appena tornò nella stanza i due piccioni erano già lì. Li sentiva tubare dalla soglia della porta. Poi gli venne l’idea. Afferrò il gatto che se ne stava appallottolato sulla poltrona a dormire profondamente; senza farsi vedere si avvicinò alla finestra. Lo posò sul davanzale da un lato, ma fu sufficiente perché appena il felino vide i due uccelli balzò sul vetro con le unghie aperte, soffiando. I due piccioni volarono così veloci che lasciarono un gran mucchio di piume tra i gerani. E non tornarono più.

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