Uno chassis pressofuso

Ne aveva sentito parlare. Un passaparola sommesso, da intenditore a intenditore. Quando però volevi saperne di più, l’interlocutore smentiva che si stesse parlando proprio di quello. Un giorno tuttavia riuscì a mettere alle strette l’esperto del suo negozio, involontariamente spiato mentre ne stava discutendo al cellulare. Sì, esisteva. Il superPC esisteva. Si fece dare il numero di telefono per l’ordinazione e, emozionato, provò e riprovò più volte senza fortuna. Poi una notte, nel cuore della notte, ricevette una chiamata. ‘Possiamo procurarglielo’ comunicò una voce secca dall’altro capo. ‘Le ho mandato l’IBAN per il bonifico’ e riattaccò. Dopo una settimana dal pagamento arrivò un pacco anonimo, senza diciture o marchi, unicamente il suo indirizzo. Oddio, il superPC era stupendo! Non un cavo o una modanatura fuori posto, solo una linea ergonomica essenziale. Un monoblocco cubico con il famigerato processore AM5000K all’interno, e un monitor. Lo chassis inspiegabilmente non aveva né viti, né incastri. Un tutt’uno pressofuso, dall’aria eccentrica e impenetrabile. Il mouse non esisteva. Bastava fissare il monitor per più di un attimo per attivare l’operazione desiderata. Sembrava una protesi mentale, un marchingegno dalla velocità sbalorditiva in sintonia con i propri pensieri. Sì, era entusiasta, e visto il prezzo ora poteva anche capire perché fosse stato così difficile averlo.
Trascorsero i giorni e la sinergia con il computer divenne ottimale e l’interattività totale. La risposta adesso era all’unisono e sembrava quasi anticipare i comandi. Poi un giorno il gatto salì sulla scrivania passeggiando sulla tastiera. Dovette aver pigiato con le zampe una sequenza inusuale di tasti perché sentì scattare qualcosa sul monoblocco. Si alzò preoccupato si fosse rotto. Osservò meglio il cubo. Si era come svasato in fondo, lasciando intravvedere trattarsi di un coperchio che parzialmente copriva un vassoio. Prese il coperchio tra le mani facendolo scivolare delicatamente verso l’alto e subito gli apparve una testa rosea, mozzata, senza calotta cranica e con il cervello scoperto. Miriadi di sensori erano collegati al cervello che pareva pulsare in modo impercettibile. Rimase impietrito, con ancora il coperchio in mano, non sapendo che fare. Ma la testa mozzata aprì gli occhi e lo guardò intensamente. E lui si sentì rubare l’anima.

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