Mai più

L’aveva aspettata a lungo. Aveva lasciato che il cuore si liberasse dagli affanni, sgombrando la mente dai sogni opprimenti. Pioveva, il cielo pioveva. Lavava i marciapiedi, gli sguardi distratti dei turisti che attraversavano di fretta. Aveva aspettato quella donna in modo ineluttabile, come si aspetta che sbocci una gemma per rendere vivo il ramo indurito dal freddo; l’aveva attesa tra una goccia e l’altra, senza poterle contare, quelle gocce, meravigliato dell’immensità del tempo che si sposta nell’anima trascinando via ogni cosa. Non c’era sedia o letto che potesse contenere quell’attesa. Si era accorto che anche le proprie mani erano piccole e anche le braccia e il cielo attorno. Lo sguardo giù dalla sponda lisciava a raso le onde grigie, una dopo l’altra, senza poterle contare, quelle onde, stupito dalla vastità della propria tristezza che spostava i monti e riempiva le valli. E ora che lui era lì, dentro di lei che si avvinghiava attorno a quell’amore finalmente possibile, lui di colpo aveva capito che non l’amava più. Senza un perché, senza una ragione spiegabile, senza una giustificazione cui aggrapparsi. La sua vita era semplicemente migrata altrove, senza preavvertire, senza scusarsi, prosciugandolo di emozioni e sentimenti e lasciandolo così come una pietra che respira. Più lei lo guardava con passione, più lui si sentiva perso, più lei lo avvolgeva con il suo amore grato, più lui si sentiva soffocare dentro alla sua l’angoscia montante. Faceva ancora l’amore, lui, ma era già un estraneo persino a se stesso, con nella mente solo la strada del ritorno. E la strada del ritorno nella sua mentre si era fatta lucida. Sembrava davvero fossero piovute lacrime sul selciato ottuso, anziché la pioggia indifferente; sembrava che la gente avesse smesso di parlare o di pensare, mettendosi a piangere al suo passaggio, mentre lui percorreva una via che non l’avrebbe portato mai più da nessuna parte.

14 pensieri su “Mai più

  1. “La donna era rimasta sul letto. Tra le dita l’odore di lui. Tra le cosce il suo seme. Lui era andato via. Per sempre. Lei lo sapeva. Lo sapeva già mentre gli stringeva le cosce lungo i fianchi. Quasi come catene. Lei l’aveva vista quella vita che scivolava via. Lo aveva stretto ugualmente. Lo aveva amato ugualmente.
    Ora era sola.
    E accarezzava la saliva di lui mischiata alle sue lacrime. Tra i seni.
    L’attesa adesso cominciava per lei.”

  2. l’aveva attesa tra una goccia e l’altra, senza poterle contare, quelle gocce, meravigliato dell’immensità del tempo che si sposta nell’anima trascinando via ogni cosa

    La sua vita era semplicemente migrata altrove, senza preavvertire, senza scusarsi, prosciugandolo di emozioni e sentimenti e lasciandolo così come una pietra che respira

    Sembrava davvero fossero piovute lacrime sul selciato ottuso

    è bellissimo 🙂

    un saluto

  3. E’ scritto così bene che fa male. L’ho riletto mille volte. E ciascuna l’ho poggiato, alternativamente, su uno dei miei tre seni. Uno per ciascuna notte. Il mio primo seno piange latte, il secondo abbraccia, il terzo accende candele nel tentativo di far luce ad una via che non porta da nessuna parte. Con una dedizione tutta propria di una lettrice scrittrice donna, abituata a sentirsi scambiare, nella vita, per un orecchio maschile. Ma questa è un’altra storia.
    Sono lettrice attenta, briciola, e ricordo un passato tuo commento in cui dicevi che a volte non c’è consolazione migliore di un seno di donna.Leggo affacciata al monitor, mi sporgo da una finestra, ché non so fare commenti di un rigo, mi spiace. Mi poggio sul cuscino dei miei seni, mentre leggo, ché non so leggere tenendo le distanze dai blog che leggo.Sono prolissa pure quando leggo.Ho letto mille molte, con gli occhi, con la testa, col ventre e con il petto.
    Il primo seno ha urlato rabbia, il secondo si è sospeso nello sgomento, nella meraviglia, il terzo si protende e accarezza le spalle tenere di quest’uomo umido di angoscia. Perché una donna abbraccia anche quando graffia. Quando non lo sa dire. E se io potessi parlare alla donna di questa storia le spiegherei che è necessario un quarto seno, quello dove scivola via il proprio dolore per far posto alla tenerezza accesa dalla solitudine di chi ha tristezze così ampie da spostare le montagne e riempire le valli.

  4. Si fa davvero così in fretta a non amare più? Come dentro questa storia terribile scritta con una melodia di parole così bella da essere struggente fino a morirne dentro. Dov’è l’equivoco? E’ nella volta che la carne affonda nella carne e si convince forse troppo affrettatamente – per le cose che si dice/sente dire – d’amare? Nelle parole che affondano nelle parole e si convincono/vogliono sentir dire, di amare? O l’equivoco è nella volta che a guardarsi negli occhi mentre si fa l’amore dalle due sponde di due corpi che diventano un fiume solo ciascuno legge un messaggio diverso, l’una una conferma d’amore, l’altro un presagio di pioggia? E non si dovrebbe dare un’opportunità alla pioggia di farsi ancora sole dando alle voci voce, per una volta voce, finalmente? Trovare per sussurrare una carezza esplicita d’addio lo stesso coraggio che c’è stato nel gridare l’ipotesi, forse ancora troppo embrionale di un ti amo?

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