Un tipo superstizioso

Era sempre stato un tipo superstizioso. Ne aveva di difetti, anche se non li ammetteva, ma quello era il più penoso. Così quando nello svegliarsi si accorse che un grumo di lenzuola stropicciate aveva creato un gioco di luci e di ombre tale da farlo sembrare un teschio, rabbrividì. Era un chiaro avvertimento, pensò. Davanti allo specchio si ispezionò minuziosamente per cogliere altri segnali evidenti della fine imminente. Forse gli occhi erano un po’ rossi, forse era un po’ troppo pallido, ma nulla che potesse far presagire il peggio. Si misurò la pressione con lo sfigmomanometro elettronico, ma era regolare come pure la temperatura corporea. Si sentiva bene, dopo tutto, eppure sapeva che i segni non mentivano, quasi mai, almeno. Quando fu in strada si sforzò di pensare ad altro, al lavoro, agli appuntamenti della mattina, sapeva che se si fosse fissato su quella visione funesta sarebbe stato peggio. Alzò gli occhi al cielo e scorse proprio sopra la propria testa una nuvola scura. Non c’era dubbio: era a forma di teschio. Era la morte che lo reclamava avvertendolo di tenersi pronto. Il cuore gli sparì dentro alle scarpe e lui sobbalzò con tutto il corpo quando il cellulare gli vibrò nel taschino. Era la segretaria che gli chiedeva se andava bene il solito posto accanto al finestrino sull’Eurostar del martedì successivo. Ma lui non riusciva a rispondere. Stava pensando a come fosse stata breve la sua vita, a quante poche soddisfazioni si fosse preso, di quanti pochi affetti si fosse circondato. Si sentì solo, con un macigno cresciutogli addosso come un bubbone maligno. Chiuse la comunicazione che ancora la segretaria gli stava parlando: era rimasto immobile sul marciapiede, le braccia abbandonate, guardando il semaforo verde che dall’altro marciapiede lo invitava ad attraversare la strada. La gente lo sfiorava, la gente lo urtava. «Che fai lì imbambolato?» gli chiese l’amico prendendolo a braccetto per portarlo con sé; lui fece resistenza e non si mosse. «Hai un aspetto orribile» seguitò: «sembra che ti sia morto il gatto…»
«Non puoi capire…» gli mormorò abbassando gli occhi e scorgendo accanto alla propria scarpa un’altra macchia dalla chiara forma di testa di morto.
«Se lo dici tu…» fece l’amico attraversando la via senza di lui, proprio mentre un furgone gli arrivava di lato investendolo in pieno.

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