Il portone è aperto

L’androne era arredato come fosse una sala d’aspetto. Un divano, due poltrone, una bella lampada a piantana, un tavolino antico, un kylim dalle delicate sfumature azzurre, un armadio rococò per riporre cappotti. Sul lato sinistro le scale ripide portavano alla casa vera e propria. Il portone, sulla strada gremita di gente, era aperto.
«Don Vincenzo, sono Manuelina» gridò una signora sulla cinquantina affacciandosi dalla via: il profilo era generoso e l’aria spettinata. «Guardate che il portone è rimasto aperto…» poi non avendo ricevuto risposta, «vedo che sul tavolino non avete lasciato nessun messaggio, volete che torno più tardi per la spesa?» Rimase per un po’ in ascolto quindi, con un’espressione interrogativa, accostò la porta e se ne andò. Trascorse una buona mezz’ora.
«Don Vincenzo, sono Pasquale… vengo su per la rasatura?» Il barbiere osservò preoccupato alla luce mattutina il filo del rasoio. Forse avrebbe fatto bene a prendere quello nuovo perché Don Vincenzo era un cliente brutto assai. Così quando dopo cinque minuti non si sentì chiamare dal piano superiore, come accadeva usualmente, ne fu contento. «Quando siete di Vostro comodo, non avete che da telefonarmi in bottega…» disse ad altra voce e se ne andò in fretta e furia. Intanto si era fatto mezzogiorno.
«Don Vincenzo, è permesso?» fece un uomo basso di statura scostando la porta: aveva in mano un cappello mezzo accartocciato a mostrare una vertiginosa calvizie. «Mi manda Don Attilio… è per quella lettera di presentazione che gentilmente… Don Vincenzo, ci siete?» L’uomo si aggirò per l’androne spaesato. La luce soffusa della lampada dava l’impressione di intimità, ma non si sentiva a suo agio, ogni cosa lì dentro parlava di Don Vincenzo. «Aspetto qui, fate pure con comodo…» Verso l’una l’uomo, che era rimasto in piede, mormorò a mezza voce: «forse oggi non è cosa… Don Vince’ torno un’altra volta, tanto non è importante…» rimase ancora in attesa di una risposta e poi senza averla avuta, si allontanò. Verso le sedici passò il postino per il suo ‘giro speciale’ di consegna, quello cioè riservato alle sole persone che contano. Alle diciassette e trenta passò don Attilio, per una visita di cortesia, venti minuti dopo il garzone della tabaccheria, caso mai Lui avesse avuto bisogno di sigari, alle diciotto e dieci il garzone del giornalaio, alle diciannove il parroco per l’eventuale confessione prima di andare a coricarsi. Entrò anche una popolana che si limitò a segnarsi tre volte e a mandargli baci a mani aperte. Il campanile vicino rintoccò le venti.
«Don Vincenzo, sono Manuelina… guardate che il portone è sempre aperto… va bene che a Voi non può succedere nulla, però non si sa mai…» la donna questa volta si inoltrò nell’androne fino alla base della scala. Solo salendo tutti gli scalini avrebbe potuto vedere se c’era qualcuno nell’appartamento. La curiosità era forte, ma non poteva osare tanto. «State bene, vero?» disse ad un volume più alto. Rimase con una mano appoggiata al muro, l’altra a conchetta attorno all’orecchio, protendendosi su un piede verso l’abitazione. Poi si arrese: «beh… Don Vincenzo… se non avete comandi, allora io torno domani…»

18 pensieri su “Il portone è aperto

  1. concordo che sarebbe fantastico se pubblicassi una raccolta di novelle tipo italo calvino..
    sai essere veramente coinvolgente xo ‘resto sempre con il fiato sospeso….uffi..

  2. particolare questo racconto, indicativo di come si vive spesso fra attesa, premura e timore…
    Sei Bravo!
    un sorriso
    veradafne

    ( è tanto che non passo ma qui è sempre un mondo di bei racconti, è vero…quando li pubblicherai?)

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