La spada di Dio

L’alpinista risaliva il sentiero a passo svelto a dispetto dell’attrezzatura che gonfiava lo zaino sulle spalle. L’altipiano brullo si rispecchiava negli spessi occhiali d’alta quota mentre il respiro si addensava sulle guance appena brunite da un velo di barba. Dopo una roccia, dalla curiosa forma di testa di gatto, gli apparve all’improvviso la montagna: bianca, inaccessibile, incombente come una minaccia. Si arrestò trattenendo il respiro.
«Buongiorno» si sentì alla sua sinistra. Un altro uomo, seduto a terra, dava le spalle ad una tenda. Una testa di capelli disordinati fuoriusciva dal piumino blu, il viso asciugato dal vento secco di montagna. «Un tè caldo?»
«No… no, grazie» rispose l’altro infastidito dalla presenza in quel luogo di un altro essere umano.
«È una montagna che ipnotizza, vero? La ‘Spada di Dio’, la chiamano. Levigata, imponente, senza pietà».
L’uomo in piedi, la osservò in tutta la sua assolutezza e perfezione, poi abbassò la testa:
«Già…» sospirò. «…anche lei, è qui per l’arrampicata?»
«Mi chiamo Mark» fece l’uomo per tutta risposta, sporgendosi per allungare la mano guantata.
«Paul» rispose l’altro stringendogliela a sua volta.
«No, sono arrivato qui sei mesi fa. Avevo l’intenzione di scalarla, ma poi mi sono accampato. Ora mi limito ad ammirarla».
«E perché non hai proseguito?»
Mark ebbe difficoltà a rispondere anche se quella domanda era scontata. «Perché scalare quell’ottomila è sempre stato il mio sogno. Sono salito in cima a tante montagne, ma questa è diversa: è un dito puntato verso Dio, la disperazione della terra per non potersi innalzare al cielo…» Fece una pausa. «E… e se poi non ci riesco?»
«E se poi ci riesci, invece?» lo incalzò subito Paul.
«Peggio ancora. Di cos’altro potrei sognare ancora?»
«Avrai la soddisfazione di essere riuscito nell’impresa…»
«E una simile soddisfazione potrà mai colmare il vuoto che lascerà il non avere più sogni?»
Paul strinse gli spallacci dello zaino tra i guanti. Raspò con lo scarpone la ghiaia fine della mulattiera. Respirò ancora in direzione della sua montagna. Poi disse:
«È davvero caldo, quel tè?»

27 pensieri su “La spada di Dio

  1. e se la vera montagna da scalare fosse quel moto d’animo che ci dice che no, dopo di quello non avremo piu sogni. E se la montagna piu alta fosse la “fede” dell’esistenza di un limite oltre il limite? E se i veri progressi si conquistassero nutrendo sempre questa nostra vena visionaria?
    (Ale)

  2. ho letto che i primi uomini che sono andati sulla Luna , poi, non hanno fatto una bella fine, proprio perchè non avevano sogni che potessero uguagliare la realtà..

  3. scelta importante. rallentare il passo per sapere di poter camminare ancora. solo che magari, una volta in cima, uno potrebbe sempre scoprire una montagna più alta. no?

  4. poi sicuro che se arrivavano in cima ci trovavano Mike Buongiorno con l’elicottero che faceva la pubblicità alla grappa!
    Almeno i sogni non li può rovinare nessuno (però in verità mi trovo d’accordo con Pillow).

  5. …la disperazione della terra per non potersi innalzare al cielo…
    Una interpretazione della montagna davvero da brividi. E non di freddo. Meravigliosa, questa scultura di ghiaccio fatta di parole.

  6. gran cosa la capacità di coltivare i propri sogni, tenendoli un pochino in serbo, protetti da un po’ di ovatta dentro una scatola, come una volta si faceva con gli oggetti delicati

    nina

  7. lo stesso genere di discussione che ho avuto con un’amica. Io mi “lamento” di esser riuscita a realizzare tutti i miei sogni e di esserne, tra l’altro, abbastanza delusa.

    Lei risponde:
    “se li hai realizzati vuol dire che avevi dei sogni di merda”.

    Devo sognare altro.
    Scalare un ottomila, per esempio.
    Correndo sulle mani.

  8. … mi ricorda un pò la mia avventura al passo dello Spluga… beh… non ho scalato una montagna… e non erano 8000 mt… ho fatto però una bella camminata a 1600… fini a raggiungere un rifugio… un freddo boia… e quando sono giunta al rifugio non mi hanno offerto un te caldo… ma una bella grappa.. devo dire che ho gradito lo stesso 😉

  9. beh, in effetti è umano tenere un sogno “nel cassetto” , dà un certa sicurezza la consapevolezza di avere sempre una carta da poter giocare…e se la si gioca, poi?
    meglio tenerla lì, nel cassetto…

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