Raccontami una storia

Mi trovavo a casa del mio amico Maverick. Lo avevo appena informato, parlando del più e del meno, che in piazzetta di Lughi forse avrebbero dovuto tagliare il platano secolare perché malato. Lui si è fatto pensoso, poi mi ha detto:
«Ti ho mai raccontato di quando anni fa vivevo a Chattawannahotta, nei Territori del Nord, in Canada?» Non aspettò la mia risposta. Si piazzò davanti alla finestra della sala a guardare giù attraverso la finestra che strapiomba sulla valle.
«Anche lì, nel centro del paese, c’era una stupenda quercia, vanto e orgoglio di tutti gli abitanti della zona. Un giorno, un certo Frank ‘Ozzy’ Owen è arrivato a passo svelto con la sua ascia e ha cominciato a dar fendenti alla base della pianta. Noi siamo subito accorsi cercando di fermarlo. Ma lui gridava, aveva gli occhi fuori dalla testa e roteava minaccioso quell’ascia enorme che sembrava volesse tagliar la testa a tutti in un colpo solo. ‘Lasciatemi stare, lasciatemi stare’ urlava come un forsennato ‘devo liberarlo di lì, sennò mi muore’. Ozzy, un uomo di centoventi chili fra muscoli e cattiveria, era convinto che dentro alla quercia ci fosse suo figlio e che doveva tirarlo fuori prima che soffocasse. Non è stato facile convincerlo che il figlio ventenne riposava invece nel cimitero sulla collina. Era morto l’anno avanti cadendo dalla trebbiatrice, mentre lavorava i campi: Ozzy non riusciva a farsene una ragione e lo vedeva e sentiva per ogni dove. Dopo ore di schiamazzi, insulti e lividi grossi come fazzoletti, siamo riusciti a mandarlo a casa».
Qui Maverick si azzittì. Ora fissava il cielo che si era fatto di un azzurro brillante per il sole diafano autunnale.
«E allora?» feci io, certo che quel racconto non fosse finito.
«E allora, quella notte stessa, il pover uomo è morto di infarto. E subito dal taglio laterale che aveva praticato alla quercia è cominciato ad uscir sangue in una emorragia che non si riusciva ad arginare. Dopo una settimana l’albero è seccato».
In casa Maverick si era fatto silenzio. Si sentiva in lontananza solo il piccolo Phil che giocava nella sua camera.
«Questa storia te la sei inventata adesso, vero?» gli chiesi che mi dava ancora le spalle. «Vero?!?»

16 pensieri su “Raccontami una storia

  1. …poi mi spieghi come faccio ad abbracciarti tramite commento…ahhhhhhhhh, ma è in senso metaforico!
    che oca che sono! :/
    beh, il ficus che mi aveva regalato il mio ex dopo che l’ho mollato si è suicidato…la pianta, non l’ex! ha risentito della mia negatività temporanea o semplicemente dimenticavo di annaffiarlo…mistero!
    non c’entra nulla, vero?
    pardon…

  2. non ho compreso il tuo commento nel mio blog…però devo farti i complimenti, il tuo è davvero speciale! (fortissima quella dei fischi a prodi)….a presto e torna quando vuoi

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