Alle proprie spalle

Nel sentire alle proprie spalle il rumore della chiave nella serratura, girata non so quante volte, il giovane sacerdote pensò che non si sarebbe mai abituato. E più si inoltrava nel carcere e più sentiva allontanarsi il cuore da sé come se lo avesse lasciato al sicuro nella propria parrocchia. Forse il ruolo di cappellano non gli si addiceva.
«Mi hai fatto chiamare?» chiese, varcando la sua cella, al detenuto 059742 disteso sul letto. Il vecchio si girò appena.
«Sì, padre, grazie».
«Vuoi confessarti…? So che stai molto male».
Il vecchio fece una smorfia che nelle sue intenzioni sarebbe dovuto essere un sorriso. Cercò di deglutire, ma non ci riuscì.
«Sto molto più che male…» sbuffò a fatica «sto morendo. Tutta colpa dell’AIDS». Il sacerdote si sedette sul letto con una espressione contrita. Il viso del detenuto era consunto, inaridito dalla malattia; gli occhi, due fiori scarlatti in uno stagno di latte, le labbra, sabbia grumosa e pallida. «No, non voglio confessarmi, padre. Voglio solo che risponda a una domanda».
«Certo, se posso».
«Tanti anni fa…» cominciò a dire quello facendo larghe pause «…tanti anni fa sono stato condannato per un fatto orribile. Secondo loro avrei sterminato la mia famiglia. Mia moglie Claudia…» e qui si interruppe per la sensazione dolce che ancora gli procurava il sentire l’eco di quel nome «… e mia figlia Katia».
«Non darti pena, oramai non ci puoi fare più niente, pensa solo alla tua anima» lo consolò il prete con trasporto.
«Non è la mia anima che mi preoccupa, è che sono innocente, padre, a mio carico hanno trovato solo scarni indizi e una giuria troppo frettolosa nel volermi dare l’ergastolo. Io… le giuro, non ho fatto niente. Le amavo entrambe, perdutamente».
«Io ti credo».
«No, lei non mi crede affatto, glielo leggo nello sguardo, non mi ha creduto nessuno, del resto. Faceva comodo così e mi hanno rubato la vita. Ho pregato… ho pregato il buon Dio tutti i santi giorni che sono stato qui dentro. Che mi desse la forza di dimostrare a tutti la mia innocenza. Non ho mai smesso di chiederlo, per mesi, per anni, nonostante la malattia, nonostante quanto abbia patito qua dentro… l’ho scongiurato… fino all’altro giorno».
«Perché cosa è successo l’altro giorno?»
«Guardi lei stesso…» e tremando il vecchio scostò lentamente le coperte. Il corpo era rinsecchito, martoriato in più punti; le lenzuola erano madide di sangue: alle mani, ai piedi, al fianco.
«Oh gessummio!» esclamò il prete. «Ma queste sono stimmate!»
«Potrebbe mai un assassino avere le stimmate?» chiese il detenuto in un soffio. «No, non credo. La beffa è che non provano comunque nulla. E poi è troppo tardi. Non ho più tempo».

10 pensieri su “Alle proprie spalle

  1. Sniff! Questo poveretto mi sembra che incarni (ops!) il sentimento amplificato che proviamo un po’ tutti noi quando ci accorgiamo di ciò che ci fanno sopportare in Italia: impotenza di fronte all’ingiustizia frammista a sopportazione giunta fino al masochismo!
    Che bello il capoverso del cappellano che sente il cuore allontanarsi!

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