Gli scalini

Il rumore era profondo e nonostante fosse lontano e tenue gli fece aprire gli occhi. Avvertiva ancora sotto la pelle il disagio per quell’incubo strambo che lo aveva inquietato alle prime luci dell’alba. Aveva sognato che alcune persone erano entrate nella sua camera e lo avevano immobilizzato. Gli avevano messo le mani addosso senza però fargli del male o svegliarlo. Una pessima sensazione che gli aveva lasciato una sensazione di sporcizia addosso.
Guardò fuori: il cielo era chiuso, prometteva pioggia. La luce del giorno non riusciva a bucare.
Andò in bagno, scalzo. Il suono si sentiva anche di lì: era monotono, un’eco vaporosa, con una sua cadenza ritmata anche se irregolare. Fece scorrere l’acqua nel lavandino e si accorse che al polso sinistro aveva un braccialetto. Trasalì. Si mise sotto la luce dello specchio, lo ispezionò spaventato. Era un nastro giallo di una sostanza spugnosa e spessa. Non aveva mai visto nulla di simile: la circonferenza era molto più piccola della mano e non aveva una chiusura, né un incastro: come c’era finita lì? C’era un numero, a dodici cifre, sembrava impresso a fuoco. Non c’era modo di toglierlo.
Si sedette sul bordo della vasca girandosi quella striscia tra le mani come se potesse in quel modo farla sparire assieme ai fantasmi di quella notte. Intanto il suono cresceva facendo vibrare l’aria. Lo sentiva dentro sé, come fosse stato un suo stesso pensiero che voleva prevalere su tutti gli altri. Non sapeva che fare. L’occhio corse alla sveglia che aveva sulla mensola. A quell’ora di solito faceva già colazione. Si vestì in fretta. Una volta in strada, anziché voltare per l’ufficio si diresse come un automa verso la fonte del rumore, come se volesse spegnerlo una volta per tutte, prima di ritornare alle sue faccende quotidiane. Non c’era nessuno in giro, né vetture, né persone. Le imposte delle finestre erano chiuse come le serrande dei negozi e dei bar. Man mano che si avvicinava alla piazza, da dove sembrava provenire il rumore, questo sembrava paradossalmente stemperarsi. Ora si capiva che era in realtà una voce, che biascicava… Guardò ancora l’orologio. Si stava facendo tardi, era il caso di tornare indietro. La curiosità però era più forte, anche perché notò all’improvviso che c’erano altre persone che, sbucate dalle vie adiacenti stavano come lui andando dalla stessa parte. La voce adesso chiamava numeri e pareva provenire da un punto indefinito, forse dagli alberi, dai muri degli edifici, dall’asfalto. Arrivato in piazza vide che al centro c’era qualcosa di nuovo. Un piccolo monumento, forse un’impalcatura. Si avvicinò: erano tre gradini e in cima una porta, aperta; era formata da due stipiti e un architrave, niente di più, e non sembrava neppure conducesse da qualche parte. Si vedeva attraverso. Non sembrava ci fosse nulla dall’altra parte, Forse era uno scherzo. Ma le persone a turno, ubbidendo alla chiamata, salivano le scale e poi varcavano la porta sparendo nel nulla. Lui se ne rimase a bocca aperta guardandosi attorno per vedere se qualcuno reagiva o dicesse qualcosa. Diede un’occhiata all’orologio. Era sempre più tardi. Come avrebbe potuto giustificare il fatto che non fosse già alla sua scrivania? Si incamminò deciso anche se nella direzione dei gradini; andò senza esitazione pensando che il suo capo questa volta non gliela avrebbe perdonata. Ma cos’era quella porta? Si avvicinò fino al basamento. La voce scandì il numero che aveva al polso. E lui salì gli scalini.

9 pensieri su “Gli scalini

  1. ecco cos’era quel braccialetto!
    ossignùr, dove l’avrò appoggiato…
    e non mi ricordo nemmeno che numero avevo…
    cosa devo fare briciola?

    sempre bello qui da te.

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