Un ciocco, un colpo

Era diventata una specie di ossessione. Amplificata da quei boschi immensi, da quella solitudine d’alta quota, dal vedere il mondo, quello vero, all’ombra della montagna giù nella valle.
«Non toccare la scure spaccalegna» lo ammoniva spesso il padre «bisogna esser uomini per poterla usare. E poi non ho da sciupare legna, io, ho altro da fare».
Quando era appoggiata a testa in giù nella capanna porta attrezzi il ragazzo se la rimirava curioso. Aveva il manico forte, sinuoso, smangiucchiato dal tempo, dal sudore e dai pensieri logori di una vita dura. Non sembrava granché , ma oramai era deciso a provarla, anche se doveva aspettare il momento giusto. Magari che il padre andasse allo Grünspitz o scendesse al paese per acquistare il sale e le medicine. Poi inaspettatamente, un giorno, lo vide spaccare la legna della catasta vecchia. Lo spiò con il batticuore: lo vedeva mettere il ciocco in posizione, inarcarsi alzando di slancio la scure e poi con tutto il peso dello strumento e del corpo colpire con violenza. Il ciocco si spaccava in due, arrendevole, facendo cadere i pezzi ubbidienti sulla catasta che cresceva a vista d’occhio. Un ciocco, un colpo, un ciocco, un colpo, senza mai sbagliare, senza mai un’incertezza. Verso mezzogiorno il padre fece una pausa ed entrò in casa. Günther sgusciò dal fienile. Posizionò un pezzo di legno sopra gli altri e imbracciò la scure. Era pesante, maledettamente pesante. ‘Ma che diamine, certo che lo è,’ pensò il ragazzo eccitato ‘bisogna essere uomini per poterla usare.’ La brandì con entrambi le mani, riuscendo però a sollevarla appena, per poi farla ricadere. Doveva far presto, il padre sarebbe tornato di lì a poco: glielo avrebbe fatto vedere lui se era diventato un uomo. Divaricò le gambe per avere maggior presa sul terreno, serrò le mascelle. Pensò alla mamma, che non c’era più, e la scure si alzò fin sopra le spalle e quindi, con un ulteriore sforzo, sulla verticale della testa. Chiuse gli occhi per un tempo infinito. ‘Non deve oscillare, non deve oscillare’. Con la forza residua vibrò il colpo. Solo all’ultimo istante, nell’aprire gli occhi, vide sul ciocco il suo cane scodinzolante pronto per quel nuovo gioco. Era troppo tardi. Lo aprì in due, senza un lamento, come fosse burro. Scese un silenzio solenne tra i rami di larici e i nidi alti dei rapaci, mentre si allungava lenta su di lui la sagoma imponente del padre. Davanti a sé si apriva l’orrore per quella bestiola che gettava sangue come una fontana e lo sguardo stordito e terreo del figlio. Lui gli diede uno spintone e sbraitò:
«Sei un buono a nulla, non stare lì imbambolato, almeno aiutami, che mi si sta bagnando tutta la legna».

9 pensieri su “Un ciocco, un colpo

  1. mai chiudere gli occhi in queste circostanze! si possono solo combinare guai altrimenti! devo riconoscere a queto padre, il tipico spirito pratico dei montanari! decisamente pulp, ma l’ho molto apprezzato! un saluto Claudia

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