Un violinista sperduto

La prima volta che lo vidi pensai subito che stesse accordando il violino. Il vecchietto, seduto su uno di quei seggiolini scomodi da pescatore, studiati apposta solo per dare il tormento, lo imbracciava come si può fare con il prosciutto quando, arrivato all’osso, vuoi tagliarne una fetta. Il berretto da baseball calzato alla rovescia, una giacchettina sdrucita su una camiciola a quadrettini evanescenti e, soprattutto, una consistente overdose di anni, completavano il quadro. Ma quando lo incontrai di nuovo, tempo dopo, all’ombra dell’edicola di Tito, ebbi la certezza che suonava sempre la stessa cosa: zigozìgo-gniiik, zigozìgo-gnaaak, intervallando ogni tanto con un pigro saltello di note, tipo: tirù- tirù-trillèro. E poi ancorai: zigozìgo-gniiik, zigozìgo-gnaaak, con grande impegno e massimo trasporto. Questo per ore. Ma era impossibile dirgli di smettere o cacciarlo via: aveva un’aria spaurita, implume, un fisico rinsecchito e ondeggiante al minimo accenno di vento. La gente non solo gli buttava monete nella custodia lasciata aperta, ma gli portava pure il caffè o un qualcosa da mangiare.
«Per me è un bel furbetto quello là» mi disse un passante che si era fermato come me a osservarlo. «Dicono che era il primo violino di una grande orchestra dell’Est, forse della Cecenia. È stato costretto a emigrare qui da noi, senza un soldo, e ora si mantiene con le elemosine. Anziché dare concerti, preferisce suonare in quel modo strampalato… fa tenerezza e tutti lo aiutano e poi nessuno pensa a rispedirlo a casa e soprattutto nessuno gli chiede chi è». Squadrai l’uomo: non c’era un barlume di cinismo nei suoi occhi, parlava sul serio. «Quando è certo che non c’è nessuno in giro, si mette a suonare come Dio comanda» proseguì il tipo. «Chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo ha assistito ad una Sinfonia Concertante di Mozart da far apparire la Madonna e tutti i Santi».
Trascorse un mese e una sera mi trovai a ripercorrere quella stessa strada. Il vecchino era lì, imperterrito, con il suo strumento di tortura: zigozìgo-gniiik, zigozìgo-gnaaak. Era persino rimpicciolito con quel suo collo a tartaruga incassato tra le spalle. Mi venne da sorridere ripensando a ciò che quel tizio mi aveva raccontato. E stavo per proseguire per la mia strada quando il violinista improvvisamente si interruppe. Si guardò attorno con circospezione, si tolse il berretto e si alzò in piedi. Sembrava un altro: più alto, possente, pieno di energia. Appoggiò delicatamente il violino sotto il mento, in una posa elegante ed armoniosa che non gli avevo mai visto prendere, socchiuse gli occhi levando l’archetto pronto per accarezzare le corde. Nello stesso istante sopraggiunsero rumorosamente nella via alcuni turisti. Lui subito si risedette facendo scivolare lo strumento all’altezza del braccio. Zigozìgo-gniiik, zigozìgo-gnaaak, si sentì lamentoso.
Da quel giorno non l’ho mai più rivisto.

13 pensieri su “Un violinista sperduto

  1. Bellissima la vignetta. C’avevo pensato anch’io, e infatti proprio ieri ho detto alla regina madre “andrò a messa solo quando la potrò ascoltare in aramaico”. Ma anche col latino, l’effetto sarebbe lo stesso. Evviva il papa progressista!!!

  2. Hum… difficile lasciare un commento.
    Meglio udirlo e avere la certezza che fosse un fenomeno oppure rimanere nell oblio d’una curiosa supposizione???
    Ci ritornero’ su sto commento… Troppo profondo per esser sbrigato cosi’ alla ben e meglio.
    ciao Mauri

  3. Bellissimo racconto.
    O.T.
    A margine mi hai ricordato il “violino della Valtellina”, cosciotto di agnello essicato al sole dei 2000 metri. Si chiama così perchè si taglia appoggiandolo alla spalla, ed il movimento ricorda quello di un violinista.
    Al prossimo racconto.
    Un saluto.

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