La macchia opaca

La ragazza era a cavallo della bicicletta, le mani sul manubrio e un piede a terra. Era pallida, le labbra sottili ed esangui.
«Cosa è successo? Dimmi!»
Il ragazzo guardava di lato, l’espressione indecifrabile. Poi si girò verso di lei.
«Ti ricordi quando la settimana scorsa mi hai accompagnato a fare la lastra per questa tosse che non mi passa?»
«Sì» fece lei in modo impercettibile.
Lui sembrava cercare le parole giuste che non venivano, si morse le unghie.
«Mi hanno trovato un brutto male… parto domani… anziché tornamene a casa, andrò a Berna. I miei hanno un buon amico là, un oncologo, mi ricovereranno per ulteriori accertamenti».
La ragazza scoppiò a piangere mettendosi una mano di traverso sulla faccia. Singhiozzava così forte che pareva doversi soffocare da un momento all’altro. Lui era impietrito. Avrebbe voluto confortarla, ma si trattenne.
«Voglio che ci lasciamo così…» fece lui conclusivo.
«Ma io…» disse lei tra le lacrime che gocciolavano sulla t-shirt.
«No, Anna… è meglio, lo preferisco» la zittì asciutto con le parole che gli uscivano a scatti. «Anche se è durato solo un mese d’estate, ci siamo amati più di quanto fosse per me immaginabile. Sei una persona stupenda. Sarà bello portare il tuo ricordo dentro di me». Si girò per allontanarsi. Tossì.
«Umberto… No! Ti supplico».
«Voglio rimanere solo» fece lui voltandosi risoluto. Poi recuperando le tonalità della dolcezza: «Sono io che ti prego, devo farcela da solo». Lei scoppiò nuovamente a piangere. Il ragazzo riprese a camminare sorridendo dentro di sé per come fosse stato facile. Lei l’avrebbe lasciato finalmente in pace con tutti i suoi mi ami?, staremo sempre insieme?, senza di te non posso più vivere. Negli ultimi giorni aveva cercato di scrollarsela di dosso, ma lei aveva sempre fatto finta di non capire. Ora il colpo di genio.

Nello stesso istante, una ventina di chilometri più lontano, in una stanza bianca dietro ad una scrivania semisepolta da documenti sparsi un uomo stava scrivendo. Quando entrò il collega, lui alzò lo sguardo.
«È questa che volevi farmi vedere?» si sentì chiedere per la lastra davanti a sé. Annuì. Il medico dai capelli brizzolati, ma dalle ciglia bianchissime esaminò con cura il referto:
«Uhmm… Hai proprio ragione… è… è… Sì, lo so. Non mi dire nulla, dispiace sempre quando sono così giovani… E’ questo qui il numero di telefono di quel ragazzo? Poverino, mi stava pure simpatico… Va bene, ci penso io, lo chiamo subito».

31 pensieri su “La macchia opaca

  1. O_o

    oddio come ci sono rimasta maleeeeee!

    E’ lo stesso motivo per cui non svicolo mai da impegni indesiderati con scuse tipo “non posso che mamma sta poco bene” o cose del genere….
    …ho sempre paura che la bugia non sia menzogna del tutto, alla fine.

  2. Cattivissimo e tagliente come sempre!
    Ma non riesco a trovare una morale…
    Chi la fa l’aspetti?
    Il diavolo fa le pentole e non i coperchi?
    °__°
    rif #8 Mauro, commento geniale!
    Ciao Brì

  3. Grazie allora del tuo passaggio. Anzi mi spiace non essere passata prima ma sono stata impegnata più del solito.
    Sei sempre originale nei tuoi racconti, e scrivi davvero bene, una dote non da poco …un bacione

  4. …Già sarebbe troppo semplice sfuggire a tutto ciò che ci fa paura…Alla fine sono riuscita ad affrontare la situazione e anche se non è stato il massimo sono felice di averlo fatto!!!
    Grazie del sostegno…
    Un saluto…

    D.N.

  5. Te lo avevo già scritto una volta: Kafka, Buzzati…
    Chiariamo: non intendo assolutamente dire che copi o ti ispiri eccessivamente a loro; ma possiedi lo stesso potere angosciante, percorri strade che all’improvviso si fermano davanti a un burrone. E tu, lettore, sai che in quel baratro precipiterai.
    Inoltre, la cifra stlistica, come sempre, è di altissimo livello.
    Grande.
    Un bacio.

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