Un filo di speranza

Era apparsa alla mattina come un fantasma. Era seduta con le gambe incrociate, gli occhi chiusi e le mani sul grembo, in mezzo alla piazza. I capelli, appiccicati al volto, erano bagnati, come fradicio era il bel vestito sgualcito e le scarpe nere. Asciutta era solo la borsa insieme ad altre cose accatastate davanti a sé alla rinfusa. La gente attraversava guardandola con sospetto. Non capiva. Un uomo le si era avvicinato chiedendole se aveva bisogno di qualcosa, se stava male. Ma la donna non disse nulla, sepolta nel suo mondo capovolto. Il passante le si era finanche accostato, forse per darle una monetina pietosa pur non vedendo il piattino o il cappello che potesse accoglierla. Ma poi si era ritratto, respinto dall’odore pungente e dal disgusto. Venne mezzogiorno e poi il pomeriggio. Una brezza leggera prometteva mal tempo tirando da nord. La donna era sempre rimasta nella stessa posizione: pareva una statua all’orrore, un grido solidificato in bella mostra all’indifferenza della gente. Arrivò quindi la sera e poi la notte. Erano circa le cinque del mattino quando squillò un cellulare seminascosto tra i fagotti della donna. Squillò tre volte poi si aprì in automatico:
«Maria?!? Maria?!? Ci sei?» la voce femminile era incrinata, impastata di rabbia. «Hanno respinto la tua richiesta di urgenza. L’organo è arrivato stanotte… ho supplicato… ho pianto, ho minacciato, ma non c’è stato nulla da fare. Non è andato a lui, ma al primo della lista. E… e avevi ragione. Tuo figlio Paolo senza quel trapianto non ha superato la notte. Non ce l’ha fatta. Mi dispiace, anima mia, non sai quanto…» La telefonata si interruppe. Le ultime parole rotolarono via tra le pietre come se cercassero un posto per nascondersi. La donna aprì gli occhi, erano gonfi; galleggiavano in una pozza di lacrime immobili. Lentamente lei aprì una mano. La luce del lampione si rifletté sull’accendino. L’accese. La benzina di cui i vestiti erano impregnati prese subito fuoco. In pochi secondi la donna era una torcia visibile da centinaia di metri, quasi la segnalazione al mondo per una tragedia compiuta. Da quell’avviluppo furibondo di fiamme neanche un lamento, solo un movimento ritmico del busto in avanti e indietro come se si stesse ninnando. I bagliori rimbalzarono mille volte sui vetri delle finestre, nelle retine di chi sbirciava curioso da dietro le tende. Poi lei crollò d’un lato scoppiettando allegramente come legna verde in un camino.

13 pensieri su “Un filo di speranza

  1. Sono contenta di averti ritrovato …all’inizio dell’avventura blog ricordo un tuo commento, allora non sapevo ancora muovermi, ora so che non perderò l’opportunità di passare di qui …
    Ciao ..

  2. Beh, passavo di qua per rispondere al commento che hai lasciato sul mio blog… ma poi, una volta qui, non ho potuto fare a meno di leggere questo racconto. Che dire? Tragico, intenso, bello… Passerò di certo a leggerne degli altri.

    Riguardo al commento che mi hai lasciato… breve, coinciso… ma giusto!

    A presto…

  3. hey…ma che è successo?
    ti ho lasciato scrivendo racconti divertenti che riuscivano sempre a farmi sorridere…e ora ti ritrovo cosi triste e malinconio….è successo qualcosa?…..

  4. ciao sono approdata qui dopo il tuo commento nel mio blog. Piano piano credo mi leggerò tutti questi bei racconti che scrivi, ma sono meravigliata… da dove attingi cotanta ispirazione?

  5. Se non passo io tu non ti fai più vivo, cattivone! A dire il vero era un pò che non leggevo blogs, ma ora spero di rifarmi.
    Un bacione grande Briciolo.

  6. Ciao..grazie mille della visita…ai nostri “perizomi”..
    Mi sn letta un po’ di storielle del tuo Blog e non riesco + a smettere!!Sn proprio belle..tantissimi complimenti..tornerò presto!

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