L’albero della cuccagna

La lunga tavolata era stata messa per obliquo in modo da farla stare nel cortile della cascina.
«Mangia!!!» gli intimò il capocaccia con la bocca piena «che dopo andiamo all’albero della cuccagna.»
«Albero della cuccagna?» chiese Paolo sorpreso «nessuno me ne aveva parlato.»
«Si divertirà» s’intromise l’anziana madre del padrone di casa. «Si divertono sempre tutti.» E così dicendo gli fece scivolare nel piatto dell’altro capriolo sepolto subito dopo da abbondanti mestolate di polenta servite da una seconda donna con in mano un paiolo fumante. Paolo era felice di aver accettato quell’invito dell’ultimo momento alla cinque giorni della Festa dei Monti. Era gente cordiale, anche se semplice e spiccia. La cena durò tuttavia ancora un paio d’ore, poi il capocaccia si alzò, visibilmente alticcio, e disse a gran voce:
«Bene, ora si va all’albero.» Si alzarono rumorosamente anche altre persone, tutti uomini e, quasi all’unisono, si infilarono il giaccone pesante.
«Ma è tardi e fa pure freddo…» cercò di protestare Paolo. Ma non sentirono ragione. Pochi minuti dopo, con una borraccia di grappa e una scure, era già sul sentiero, diretto verso la montagna attorniato dalla vociante compagnia degli altri commensali. Dopo mezz’ora di marcia arrivarono in una radura dove erano stati conficcati nel terreno alcuni pali di abete, puliti e lisci, di un considerevole diametro.
«Sono altissimi questi pali, non se ne vede neppure la fine» osservò Paolo con il naso all’insù cercando di bucare il buio della notte. Poi, rivolgendosi al capocaccia, gli domandò: «Ma il gioco in cosa consiste?»
«È semplice» spiegò quello biascicando con la lingua impastata «ognuno di noi, a turno, dà un colpo di scure alla base del palo. Chi lo fa cadere per primo ha perso.»
Paolo stava per dire che gli sembrava un gioco scemo, soprattutto a quell’ora di notte, quando uno della compagnia vibrò il primo colpo di scure. E subito, dappresso, rispettando il proprio turno, tutti gli altri fecero altrettanto, emettendo, prima di ogni colpo, un verso gutturale, primitivo, ancestrale, come per darsi la carica. Dopo un po’ il palo cominciò a vacillare e i colpi si fecero più accorti, fino a quando Paolo, mal dosando le proprie energie, lo abbatté. In quello stesso istante si sentì un urlo agghiacciante provenire dall’alto a stracciare l’aria fina dei monti.
«Ma c’era qualcuno lassù» disse Paolo come per avvertire gli altri. Gli uomini lo guardarono ridacchiando. Il loro fiato ora si distingueva bene sotto uno smerigliato quarto di luna «Ehi… un momento!» rimarcò facendo un piccolo passo indietro. «Cosa succede a chi perde?» L’interrogativo rimase senza risposta perché alcuni uomini già gli erano addosso per legarlo stretto con una robusta fune di canapa, mentre altri due lo issavano velocemente a un altro palo. Per qualche secondo si udirono ancora le sue grida poi, quando arrivò in cima, più niente.
«Sì, domani sera però, il primo colpo di scure lo do io» si lamentò il capocaccia prendendo il sentiero del ritorno seguito dagli altri. «Mi spetta di diritto.»

7 pensieri su “L’albero della cuccagna

  1. Eh! Ma si sa che alla Festa dei Monti son tutti un pò strani… basta vedere come son vestiti e come se le suonano mentre ballano. :o)

  2. Brrr, inquietante…
    da un po’ di tempo ce l’hai con l’altra metà del cielo, eh? Voglio dire, quella che va dai dieci metri in su…
    Ma sei sempre forte, un piacere la tua lettura!

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