Appuntamento alle venti

Quella sera Adelmo era determinato ad andare fino in fondo. Era una settimana che alle venti precise qualcuno suonava alla porta senza poi farsi trovare. Questa volta si sarebbe appostato e avrebbe sorpreso quel buontempone; voleva fargliela passare la voglia di far scherzi. Ingannò il tempo sdraiato sulla sua poltrona a guardare la televisione e a mangiare le sue solite noccioline salate. Poi alle 19.58, come indicava il display del videoregistratore, si alzò per piazzarsi dietro alla porta con un ombrello in mano. Alle venti in punto, come d’abitudine, suonò il campanello. Adelmo, che già aveva la mano sul pomello, spalancò all’improvviso la porta pronto a colpire. Tuttavia fu solo in grado di intravedere con la coda dell’occhio qualcuno che stava correndo così svelto verso le scale da sentirlo poco dopo sbattere, quattro rampe più in giù, il portone dello stabile. Stava rientrando deluso in casa quando lo spostamento d’aria provocato dal portone gli chiuse la porta di casa. L’uomo si trovò in quel gelido corridoio in slip e canottiera, senza chiavi. Provò a girare incredulo la maniglia, anche se lo sapeva che era una serratura a scatto e non si sarebbe mai aperta in quel modo. Cercò di adoperare un’unghia a mo’ di chiave e persino un fiammifero trovato per terra. Niente da fare. Né francamente se la sentiva di bussare ai vicini, né poteva uscire dal condominio vestito in quel modo. Cominciò a preoccuparsi. Poi, preso dalla rabbia iniziò ad assestare calci e pugni alla porta. E la forza dovette quadruplicarsi per la disperazione perché a una spallata poderosa il battente si spalancò facendolo finire lungo disteso per terra. Era ancora bocconi quando sentì una donna ai suoi piedi urlare: «Renzo, Renzo un maniaco, presto, vieni!»
«E lei che ci fa a casa mia?» chiese Adelmo alzandosi dolorante.
La donna, una bionda sulla trentina, non rispondeva, si limitava a gridare come se un topo stesse minacciando di salirle per una gamba. Nel frattempo un uomo grosso come una montagna, che fino a quel momento era rimasto stravaccato davanti alla televisione a mangiare noccioline salate, sopraggiunse a darle manforte. Adelmo non aveva fatto in tempo a domandare anche a lui cosa stesse facendo in casa sua che l’energumeno gli assestò un violento pugno in un occhio.
«Cosa volevi, fare eh? Mascalzone che non sei altro. Tornatene al tuo paese» e così sbraitando spinse Adelmo con tanta forza verso il corridoio da fargli fare una piroetta all’indietro. Adelmo rimase per un po’ immobile sulla moquette del corridoio non riuscendo a capacitarsi. Quello era senza dubbio il suo ingresso, i suoi mobili, le sue noccioline. Che ci faceva quella coppia in casa sua? Si sentì montare dentro una rabbia sorda. Si alzò benché intontito deciso a riconquistare quello che era indubbiamente suo e, brandendo l’ombrello che gli era caduto per terra, bussò con il manico. La porta si schiuse lentamente. Adelmo si inoltrò con circospezione pronto a colpire chiunque gli si fosse parato innanzi. Ma nella casa non c’era più nessuno. Ispezionò le stanze come un marine in avanscoperta, ma erano vuote. Si precipitò allora a serrare la porta dall’interno con il chiavistello e la catena; poi, per un attimo, si guardò allo specchio dell’atrio: era ancora pallido e l’occhio gli si stava gonfiando.

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